ECONOMIA
I tassi sui prestiti sono stati subito corretti al rialzo. Mentre gli interessi sui depositi della clientela restano vicini allo zero. Così i profitti degli istituti di credito hanno preso il volo
di Vittorio Malagutti
La Borsa festeggia a suon di rialzi. Analisti e commentatori annunciano la svolta, mentre un esercito di azionisti verrà presto premiato con ricchi dividendi. Ecco, ci siamo, il lungo letargo della finanza è finito davvero. Dopo anni di tassi d’interesse vicini allo zero, e spesso anche sotto, l’aumento del costo del denaro ha messo il turbo ai profitti delle banche. Salvo poche eccezioni, notevole quella del Credit Suisse, tutti i colossi europei del credito hanno appena annunciato risultati record nei bilanci del 2022. A tal punto che in Spagna, il governo a guida socialista di Pedro Sanchez ha deciso di imporre un’imposta supplementare su questi utili miliardari con l’obiettivo di finanziare, tra l’altro, i sussidi alle famiglie per il caro bollette.
La logica del provvedimento spagnolo è simile a quella che un anno fa giustificò un prelievo extra sui profitti dei produttori di energia, premiati dall’impennata delle quotazioni del metano. Allo stesso modo, i rialzi dei tassi decisi nei mesi scorsi dalla Bce spiegano l’anno d’oro del credito. In Italia, però, la linea dura di Sanchez trova pochi sostenitori tra i politici, mentre sembra ormai improbabile anche la preannunciata (e temuta) recessione economica, che avrebbe potuto innescare un aumento dei crediti in sofferenza. D’altra parte, le riserve accantonate nel patrimonio degli istituti di credito sembrano più che sufficienti ad assorbire l’impatto negativo del rallentamento della crescita, già evidente dall’autunno scorso e destinato a proseguire ancora almeno per qualche mese.
Per il momento, quindi, sono i clienti delle banche a pagare il conto del nuovo scenario. La crescita repentina dei tassi si è rivelata un toccasana per i bilanci dei gruppi finanziari, ma ha prodotto un netto aumento del costo dei prestiti a carico di famiglie e imprese. Gli interessi sui mutui già a novembre avevano superato la soglia del 3 per cento, oltre due punti in più rispetto a un anno prima, e ormai viaggiano verso quota 4 per cento. Le aziende invece, in base alle rilevazioni dell’Abi (Associazione bancaria italiana), a gennaio dovevano far fronte a un onere medio sui finanziamenti intorno al 3,7 per cento, contro l’1,2 per cento del dicembre 2021. Questi dati, come da tempo evidenziano tutti gli analisti, segnano in qualche modo il ritorno alla normalità, dopo la lunga parentesi, senza precedenti nella storia, del denaro a costo zero. Altrettanto eccezionale, però, è anche la raffica di rialzi dei tassi con cui la Bce, negli ultimi dodici mesi, ha cercato di arginare la crescita dell’inflazione, dopo averla a lungo erroneamente liquidata come un fenomeno «transitorio».
La fiammata dei prezzi non si è ancora esaurita, anche se il carovita ha un po’ rallentato la sua corsa. Nel frattempo, però, la stretta monetaria ha dato fuoco alle polveri dei bilanci bancari. L’aumento dei profitti si spiega infatti in buona parte con la crescita del cosiddetto margine d’interesse, che misura la redditività della gestione caratteristica della banca, ovvero la differenza tra quanto incassato prestando denaro e gli oneri per remunerare i depositi della clientela.
La forbice tra ricavi e costi si è molto allargata nel 2022, soprattutto nell’ultimo trimestre dell’anno. Il motivo è semplice. Tutti gli istituti di credito hanno più volte aumentato il costo dei prestiti adeguandosi quasi in tempo reale alle decisioni dalla Bce. D’altra parte, invece, i tassi riconosciuti ai titolari dei conti correnti sono rimasti molto vicini allo zero, con ritocchi di qualche decimale al massimo. Secondo l’Abi, a gennaio (ultimo dato disponibile) gli interessi sui depositi non superavano in media lo 0,49 per cento, mentre sei mesi prima viaggiavano intorno allo 0,3 per cento. L’incremento si misura in una ventina di centesimi, mentre nello stesso arco di tempo famiglie e imprese hanno visto crescere i tassi sui finanziamenti di oltre un punto percentuale, dal 2,21 di giugno al 3,51 per cento di gennaio.
Questi numeri giustificano in buona parte la crescita record dei profitti delle due banche leader sul mercato italiano, Intesa e Unicredit. Entrambe sono riuscite a guadagnare quasi il 20 per cento in più alla voce margine d’interesse grazie anche a un particolare meccanismo finanziario messo in moto dalla Bce. A partire già dal 2014, infatti, l’istituto di Francoforte ha concesso prestiti miliardari alle banche europee a tassi vicini allo zero. Lo scopo di questi finanziamenti, arrivati a 2.100 miliardi a metà del 2022, era quello di aumentare la liquidità degli istituti di credito destinata a sostenere l’economia reale. Una parte di questo denaro è però tornata là dove era partita, cioè nei forzieri della Bce. Per i banchieri era infatti diventato conveniente parcheggiare il denaro a Francoforte, che nel frattempo aveva aumentato i tassi sui depositi.
Per mesi, quindi, la liquidità fornita dalla Bce ha garantito profitti extra alle banche della zona euro, comprese quelle italiane. Nell’ottobre scorso, però, sono cambiate le regole del gioco. L’istituto presieduto da Christine Lagarde ha allineato il tasso dei propri finanziamenti a quello sui depositi, azzerando così i facili guadagni incassati fino ad allora da decine di istituti di credito europei. Poco male. Con il costo del denaro in continua ascesa, per le banche era già cominciata una nuova età dell’oro, come dimostrano i dati dei bilanci pubblicati nei giorni scorsi.
Il gruppo dei cinque più importanti istituti nazionali, che oltre a Intesa e Unicredit comprende anche BancoBpm, Monte Paschi e Bper, ha chiuso il 2022 con utili netti per 12,7 miliardi, con una crescita del 65 per cento rispetto al 2021. La metà di questi profitti, circa 6,4 miliardi, arriva da Unicredit, che ha festeggiato il miglior risultato del decennio. Il solo Mps viaggia in perdita per circa 300 milioni, ma il rosso in bilancio si spiega con gli oneri straordinari per 925 milioni sborsati come incentivo all’esodo di oltre 4 mila dipendenti prepensionati.
Com’era prevedibile, la pioggia di utili ha messo le ali ai titoli bancari, prolungando una cavalcata al rialzo che aveva preso il via già nell’autunno scorso, con la svolta di politica monetaria della Bce. Negli ultimi sei mesi, l’indice dei titoli del credito ha guadagnato quasi il 50 per cento alla borsa di Milano, 15 punti in più rispetto alla media del listino, e i conti record di Unicredit, pubblicati il 31 gennaio, sono stati premiati da un balzo della quotazione di quasi il 20 per cento in una decina di giorni.
Per gli azionisti ora sono in arrivo ricchi dividendi. Tenendo conto dell’acconto di novembre scorso, Intesa distribuirà 3 miliardi, Unicredit arriverà a 1,9 miliardi ed entrambe le banche hanno anche annunciato programmi di riacquisto delle azioni proprie per un totale di oltre 5 miliardi, una somma che di fatto si andrà ad aggiungere alla cedola destinata ai soci.
Per i clienti, invece, il futuro prossimo non sembra altrettanto promettente. Gli interessi sui conti correnti continueranno a crescere al rallentatore, mentre spese e commissioni varie fanno segnare aumenti ben più consistenti. Secondo un recente rapporto dell’Osservatorio Sos Tariffe, l’incremento dei costi allo sportello è stato pari al 7 per cento tra febbraio 2022 e lo scorso gennaio. Qualche soddisfazione in più arriverà dai conti di deposito. Gli istituti di credito hanno aumentato il rendimento di questi particolari prodotti fino al 4 per cento (al lordo delle tasse), nel tentativo di renderli competitivi con i Btp.
Sul fronte della raccolta, comunque, i banchieri possono stare tranquilli. A fine 2022 i risparmi di aziende e famiglie parcheggiati nei conti correnti ammontavano ancora a oltre 1.800 miliardi. E con i tassi d’interesse che in prospettiva, come già annunciato dalla Bce, potrebbero far segnare nuovi rialzi, anche i profitti degli istituti di credito alla voce margine di interesse sembrano destinati ad aumentare ancora.
Nel futuro prossimo, però, non mancano le incognite. La crescita economica è minacciata dalle conseguenze della guerra in Europa, dall’inflazione e dai prezzi ancora elevati dell’energia. Non per niente, nei giorni scorsi l’Autorità bancaria europea (Eba) è tornata a raccomandare prudenza e nuovi accantonamenti in bilancio per far fronte a uno scenario ancora pieno di rischi. Di questi tempi però, tra profitti alle stelle e rialzi in Borsa, in banca nessuno sembra disposto ad ascoltare le Cassandre di turno.