Industria

La crisi della Marelli (ex Magneti Marelli) non conosce fine

di Maurizio Di Fazio   5 settembre 2023

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La vecchia insegna Magneti Marelli

Nata nel 2019 dalla fusione con la giapponese Calsonic Kansei, l’azienda di componentistica ha dieci stabilimenti in Italia, con centinaia di operai in cassa integrazione o già indicati come esuberi. A pesare è l'eccessiva dipendenza dalle commesse di Stellantis

C'era una volta la nostra Magneti Marelli, pioniera nella componentistica per l’automotive (e del mondo radiotelevisivo), fondata nel 1919 e da sempre tra i satelliti di punta della Fiat. Dalle sue ceneri è nata nel 2019 Marelli, dopo la fusione con la giapponese Calsonic Kansei. Una multinazionale da 50 mila dipendenti e 170 stabilimenti. Dieci sono in Italia, diversi versano in una condizione di crisi. Come l’impianto di Sulmona, che dà lavoro a circa 500 persone. L’esubero è di 90 persone e aumenterà a 135 nel 2024. A dicembre, dopo un periodo di cassa integrazione ordinaria, per provare a mantenere il posto è stato firmato un contratto di solidarietà valido per tutto l’anno corrente. Una formula destinata a proseguire nel 2024 e prorogabile nel 2025.

 

Nella città di Ovidio e dei confetti i problemi perdurano da tempo. A incidere negativamente, soprattutto la contrazione dei volumi del Ducato, il furgoncino commerciale realizzato su scala planetaria in un’altra fabbrica abruzzese, l’ex Sevel nella Val Vibrata (dal primo luglio si chiama “Stellantis Europe Spa Atessa”). Marelli era e resta un suo fornitore privilegiato: si spera tornino a fioccare le commesse, complice la ripresa ipotetica dell’intero comparto. Una di queste, dai contorni ancora sfumati, dovrebbe denominarsi «piattaforma large». Sarà determinante insomma, mutatis mutandis, lo sbocco dei negoziati con Stellantis, nonché «il supporto della Regione Abruzzo con la possibilità di un impegno economico per investimenti futuri legati proprio a tale commessa», hanno spiegato le Rsa di Cgil e Cisl.

 

Secondo loro, «il legame pressoché esclusivo con Stellantis» è un blasone a doppio taglio. Bene la sua continuazione, ma occorrerebbe coinvolgere le istituzioni in un percorso di economia circolare, «trovando risorse per un investimento di riqualifica dello stabilimento volto a valorizzare le alte competenze acquisite dalle maestranze». Il 10 luglio, durante lo sciopero dei metalmeccanici, ha preso corpo un presidio davanti alla struttura sulmonese. Qui ha incrociato le braccia l’80% della manodopera.

 

E non è l’unica industria tricolore Marelli a vivere un momento di difficoltà e incertezza. L’occupazione scricchiola. A fine giugno, le sigle di settore dei sindacati confederali più rappresentativi hanno sottoscritto un documento congiunto che ha dato il via al tavolo romano col management. Non pochi i nodi che destano allarme. La fabbrica (torinese) di Venaria Reale si avvia verso i titoli di coda: «chiuderà alla fine del secondo trimestre 2024, ma gli 81 dipendenti attuali saranno riassorbiti all’interno del gruppo. La produzione residua andrà in parte a Caivano e in parte in Polonia».

 

Bisognerà annotare quanti accetteranno di essere spostati, di punto in bianco, a centinaia di chilometri da casa. A Melfi «una parte della trattativa con Stellantis si è conclusa positivamente… Sono in corso approfondimenti per capire come prorogare gli ammortizzatori sociali. Gli esuberi sono quantificati in 80». A Bari «ci sono al momento 87 esuberi, che saliranno a 162 nel 2024 se non verranno colte le potenziali opportunità commerciali». Il dialogo ripartirà a settembre. Sperando che carburi.