Economia

I cambiamenti climatici nel piatto: così si stravolge anche la pasta

di Antonia Matarrese   6 settembre 2023

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Nel nostro Paese si è raccolto meno grano e, a causa dei mutamenti atmosferici, gli effetti si sono fatti sentire anche sulla trebbiatura e sui costi del prodotto finale

Quest’anno in Italia è stato prodotto meno grano. E l'andamento climatico ha creato un’inversione di tendenza ormai consolidata: se in alcune aree del Centro-Nord si raccoglieva prima il tenero e poi il duro, ovvero quello impiegato per la lavorazione della pasta, nell’estate 2023 è successo il contrario. «Nelle ultime stagioni i cambiamenti climatici, spesso imprevedibili, hanno generato grandi criticità sulla quantità e sulla qualità. Ci aspettavamo un raccolto abbondante ma le piogge intense di aprile e maggio hanno stravolto lo scenario», spiega Massimo Menna, presidente del Consorzio di Tutela della Pasta di Gragnano IGP che raggruppa 16 aziende campane per una produzione complessiva pari a centomila tonnellate di pasta nel 2022 e un valore al consumo di circa 400 milioni di euro.

 

Nei giorni scorsi, alla riapertura delle Borse Merci di Bari e di Foggia, sono state registrate flessioni nelle quotazioni del grano comprese fra i 43 e i 60 euro a tonnellata. Decisamente meno consistente il calo del grano duro di importazione canadese: -10 per cento. Ma le quotazioni della materia prima incidono del 20 per cento sul prezzo finale della pasta che acquistiamo al supermercato. Prezzo che dipende da più fattori.

 

«Come prima cosa va detto che quest’anno la trebbiatura è iniziata con 15-20 giorni di ritardo sull’abituale tabella di marcia. La resa in molitura è stata minore ma venivamo da due annate di raccolto molto buone», racconta Giovanni Battista Girolomoni, presidente della Gino Girolomoni Cooperativa Agricola di Isola del Piano, in provincia di Pesaro-Urbino, che raggruppa trecento associati della regione oltre a un centinaio di aziende in filiera. Una realtà che impiega solo grano biologico, con molino e pastificio attigui ai campi. Spaghetti a centimetri zero. «Possiamo contare su circa quattromila ettari coltivati a grano duro e su mille e cinquecento a grani antichi o storici cioè quelle varietà come la Senatore Cappelli o la Kohrasan Graziella Ra che non hanno subito manipolazioni in epoca moderna. A fronte di una riserva dell’anno precedente, un pacchetto di pasta è aumentato di 30 centesimi sugli scaffali dei nostri distributori». Non molto, tenendo conto che si tratta di grano bio coltivato in Italia.

 

«Quella della pasta è una filiera complessa anche perché le attività di trasformazione dei cereali come la nostra risultano particolarmente energivore, sia nella fase di molitura sia in quella di produzione. Servono acqua calda ed elettricità. Nell’ottica della sostenibilità che ci contraddistingue, qualche tempo fa abbiamo investito in una moderna caldaia a legna ed essicchiamo la pasta a temperature non troppo elevate», sottolinea Girolomoni. E conclude: «Siamo in un mercato globale in cui sta giocando un ruolo primario la Turchia che ha notevoli scorte di grano duro ma dove la produzione della pasta ha una regolamentazione diversa dalla nostra: per esempio possono usare grano tenero in percentuali variabili. Ma sappiamo bene che una pasta di qualità ha bisogno del grano duro». In attesa della campagna di semine autunnale, sul futuro del grano non si accettano scommesse.