Bancomat

La tassa sugli extraprofitti è stata una fregatura doppia per i risparmiatori

di Alberto Bruschini   20 marzo 2024

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La remunerazione dei depositi è stata congelata, mentre gli istituti si sono ricapitalizzati. Un effetto perverso che ha premiato senza alcun affanno le banche e i loro azionisti

L'imposta sugli extraprofitti delle banche disposta con il decreto legge del 24 agosto 2023 e stimata in 2,4 miliardi da destinare alla riduzione fiscale di famiglie e imprese si è risolta in una bolla di sapone. Il provvedimento, modificato a seguito delle critiche della Bce, invece di colpire  gli extraprofitti generati dalla differenza di circa il 4% tra i tassi attivi sui prestiti e quelli passivi sui depositi a risparmio, è stato trasformato in una doppia regalia alle banche.

 

La legge di conversione del decreto del 9 ottobre 2023 ha dato loro, infatti, la facoltà di non assoggettarsi all’imposta straordinaria qualora, in sede di approvazione del bilancio 2023, avessero accantonato in una riserva non distribuibile un importo due volte e mezzo l’imposta ipoteticamente dovuta.

 

Nel 2023, i 12 maggiori gruppi bancari in forza del rialzo dei tassi deciso dalla Bce per riportare l’inflazione al 2% hanno realizzato una crescita “innaturale” del margine di interesse stimata in 49,4 miliardi che è stata determinante nel  generare gli utili record. La crescita “innaturale” di tale profittabilità deriva dall’insensibilità  riservata alla rimunerazione dei 1.300 miliardi di risparmio finanziario depositati presso le banche. I due terzi, facenti capo alle famiglie, sono stati rimunerati dello 0,35%, quelli delle imprese dello 0,98%. Il rialzo dei tassi, deciso dalle Bce a decorrere da luglio del 2022, ha portato, in tempi rapidi, il costo del denaro per famiglie e imprese al 4,5%, mentre il costo dei depositi a risparmio è rimasto  pressoché pari a quello corrisposto prima dell’inizio della stretta creditizia.

 

Una manna caduta dal cielo per i banchieri non solo italiani, ma per l’intero Occidente. Le banche, senza modificare l’operatività, hanno visto salire il margine di interesse in modo crescente, innalzando solo il costo dei prestiti e lasciando invariato quello dei depositi a risparmio. La ragione di tale sperequazione è stata giustificata con il fatto che i 1.300 miliardi erano investiti in depositi di risparmio a vista, e non a tempo, ritirabili in qualsiasi momento. Una giustificazione di parte rispetto alle condizioni  del mercato interbancario. Le banche, infatti, per finanziarsi su detto mercato attraverso l’accensione di depositi a vista (overnight) pagano il tasso di interesse di mercato intorno al 4,5%.

 

I risparmiatori, in fin dei conti, sono stati beffati due volte. Dal congelamento della remunerazione dei loro depositi nonostante la perdita di valore per effetto dell’inflazione e dall’avere finanziato la ricapitalizzazione delle banche con la destinazione a riserva non distribuibile dell’imposta straordinaria, agevolandone l’aumento del valore. Un effetto perverso che ha premiato senza alcun affanno le banche e i loro azionisti anche per la notevole crescita del valore delle azioni quotate in Borsa. 

 

Resta, comunque, da domandarsi perché un provvedimento di tale natura abbia consentito alla Spagna di destinare l’imposta straordinaria sugli extraprofitti (1,45 miliardi) a famiglie e imprese, mentre il governo italiano, atterrito dalle critiche della Bce, abbia fatto marcia indietro. Nonostante l’enfatizzazione del “libero mercato”, grazie all’improvvisazione del governo, ha prevalso ancora una volta la rendita di posizione.