Potenze a confronto
L'asse tra Germania e Cina converrebbe ai tedeschi. Ma è ostacolato dall’Unione Europea
Per risollevare gli affari interni, Berlino punta su Pechino. Ma Bruxelles minaccia sanzioni qualora le regole sulla concorrenza fossero violate. E il Cancelliere è sempre più in difficoltà
La Germania punta sulla Cina per risollevare le sorti della sua economia in affanno, ma è molto più complicato rispetto al passato. E non sono solo le tensioni geo-strategiche tra gli Stati Uniti e la Cina a frenare. Anche la Commissione europea pone dei paletti attraverso la commissaria per la Concorrenza, Margrethe Vestager, che minaccia Pechino di sanzioni se le regole europee sulla concorrenza non saranno rispettate. In più, stavolta Berlino si trova a tenere il coltello decisamente non dalla parte del manico nei confronti di Pechino.
Nonostante abbia avuto imprese come Volkswagen spiate per anni da hacker cinesi, benché sia ricattata sulle condizioni di accesso al mercato interno cinese e sia sottilmente ammonita a prendere le distanze dalle posizioni europee sulla concorrenza, l’economia tedesca non può fare a meno di inchinarsi alla Cina e l’ultimo viaggio del cancelliere Olaf Scholz è lì a dimostrarlo. Il corridoio, però, è stretto e il governo tedesco dovrà giocare di equilibrismo per dare nuovo impulso ai rapporti vitali con Pechino, senza compromettere l’ugualmente necessaria convivenza all’interno dell’Unione europea.
A due anni e mezzo dalla sua prima visita di poche ore a Pechino, nel novembre 2022, e a meno di un anno dall’incontro interministeriale nella Capitale tedesca, il cancelliere è partito alla volta dell’Oriente con una nutrita delegazione di ceo, la crema del mondo economico tedesco. Il primo viaggio in Cina del cancelliere aveva turbato per mesi i rapporti franco-tedeschi per la fuga in avanti della Germania rispetto all’Europa.
Stavolta, invece, Xi Jinpingvolerà a Parigi a maggio dopo la visita del cancelliere tedesco, per ristabilire l’equilibrio e non sollevare rivalità. Di diverso rispetto a due anni fa c’è un’altra cosa: lo scenario economico in Germania è sensibilmente peggiorato e la situazione politica interna, che vede in sella un cancelliere debole, ostaggio di una coalizione litigiosa e irresoluta, lascia poche speranze sulla gestione della frenata.
Il peggioramento dello stato di salute dell’economia tedesca – con un Pil già in segno meno nel 2023 – è sotto gli occhi di tutti. Il 28 marzo scorso i cinque maggiori istituti economici tedeschi hanno rivisto al ribasso le previsioni di crescita per il 2024, passando da un +0,3% a un +0,1%. «La ripresa economica prevista in autunno non si è concretizzata», ha detto Stefan Kooths, a capo dell’istituto economico di Kiel.
Della stessa opinione anche il Fondo monetario internazionale che di recente ha ribassato le previsioni di sviluppo della prima economia dell’eurozona di 0,3 punti, stimando un +0,2%. A questo si aggiungono tensioni irrisolte tra le principali associazioni economiche – la Confindustria tedesca (Bdi), l’associazione dei datori di lavoro (Bda), la Confartigianato e le Camere di Commercio e Industria (Dihk) – e il cancelliere. In un dialogo tra sordi le associazioni di categoria ripetono che la crisi economica va affrontata con nuove misure, mentre Scholz replica di avere già fatto quanto doveva. «Al cancelliere rimbalza tutto», ha commentato un partecipante ai colloqui.
Per uscire da cul-de-sac la Cina era un’ottima opportunità. Il dragone è il primo partner commerciale di Berlino con un interscambio commerciale che nel 2022 è stato di 253 miliardi. Per alcuni settori la Cina è un mercato di sbocco importante, per altri è addirittura essenziale per l’acquisto le materie prime o semilavorati. Per esempio, per la chimica, l’industria meccanica, l’automotive e la farmaceutica. Senza contare che nel primo trimestre di quest’anno la Cina è cresciuta oltre le attese del 5,3%.
D’altra parte, fare affari con la Cina pone non pochi problemi. L’accesso al mercato cinese delle aziende straniere non è facile, lamentano i tedeschi. Secondo un sondaggio della Camera di Commercio tedesca, nella Cina dell’Est due terzi delle aziende tedesche si sentono svantaggiate dalla concorrenza interna delle aziende cinesi.
«In tutte quelle situazioni dove è necessario avere a che fare con le autorità locali (è il caso di concessioni, permessi, autorizzazioni, agevolazioni fiscali, ndr) le nostre aziende si sentono sorpassate dai concorrenti cinesi», dice Maximilian Butek, responsabile della Camera di Commercio tedesca in Cina. L’altro aspetto problematico è la sovrapproduzione cinese, cioè la produzione in eccesso rispetto alle capacità di assorbimento del mercato interno, che genera un effetto “inondazione” sui mercati stranieri di prodotti a basso costo, in special modo di auto elettriche.
La Ue al momento sta verificando se si tratti di dumping. Il 10 aprile scorso, la Commissione ha pubblicato un report di oltre 700 pagine, “Sulle distorsioni indotte dallo Stato nell’economia cinese”, dove si aggiorna un analogo rapporto del 2017 e si mettono in evidenza le pratiche di dumping e le sovvenzioni di Stato delle aziende cinesi. Dal 2020 al 2022, per esempio, il finanziamento pubblico ad aziende come Byd (che produce auto elettriche) è cresciuto di 10 volte, sostiene Handelsblatt. Mentre l’istituto economico di Kiel parla di un 99% di aziende cinesi finanziate dalla Stato. Notizie che la Cina respinge come «fake news».
La commissaria alla Concorrenza Vestager, intanto, ha dato il via a un’indagine sui parchi eolici e solari di aziende cinesi in Spagna, Grecia, Francia, Romania e Bulgaria per verificare se siano state rispettate le leggi europee per la concorrenza, preannunciando sanzioni in caso di abusi. La risposta cinese non si è fatta attendere: «Indagini ulteriori avviate dall’Unione europea interferiscono con la reciproca e benefica cooperazione tra Europa e Cina», ha detto la Repubblica popolare l’11 aprile scorso in una nota.
In questo clima surriscaldato da veti incrociati e linee rosse si è svolta la visita di Scholz. Difficile anche perché gli esponenti del mondo economico aggregati al viaggio, soprattutto i ceo dell’automotive, premevano per un atteggiamento tutt’altro che cauto. I vari Oliver Blume (Volkswagen), Ola Källenius (Mercedes), Oliver Zipse (Bmw) erano molto più interessati agli affari che alle minacce di dazi Ue sulle auto elettriche.
Alla fine della tre giorni di Scholz a Pechino, il comunicato affidato all’agenzia di stampa cinese di Stato Xinhua è un manifesto evidente dei risultati del viaggio e del vincitore: Xi Jinping. Il governo cinese «si appella a quello tedesco per un nuovo livello di relazioni bilaterali» – riferisce la nota cinese – con «l’espansione di una reciproca comprensione e per risultati win win attraverso il dialogo».
Tradotto dal linguaggio diplomatico, il messaggio potrebbe suonare così: la Germania si presenti da sola alle trattative, non accompagnata dall’Unione europea, e risolva i contenziosi «attraverso il dialogo» e non attraverso le sanzioni. «La Cina spera che la parte tedesca allenti le restrizioni sulle esportazioni di alta tecnologia in Cina e adotti misure concrete per fornire un ambiente commerciale equo, trasparente e non discriminatorio». In sintesi, alle critiche tedesche sull’accesso al mercato cinese, sulle sovvenzioni di Stato e sulla sovrapproduzione, il governo di Pechino risponde rimandando le accuse al mittente.
L’altro messaggio in arrivo da Pechino riguarda gli aiuti di Stato. I cinesi – riporta la stampa tedesca – avrebbero ammesso le sovvenzioni statali, aggiungendo di non fare né più né meno di altri Stati concorrenti. Alla luce di tutto questo, il bottino tedesco della visita in Cina è magro. Archiviato nei fatti il capitolo derisking, non rimane che accettare ciò che c’è, senza pretendere di dettare condizioni da posizioni subalterne.