I programmi per tenere sotto controllo mestruazioni e periodi di fertilità hanno spesso una gestione dei dati delle utenti molto lacunosa, denuncia un'indagine inglese. E la cancellazione del diritto all'aborto negli Stati Uniti allarga i rischi di un uso "politico" e giudiziario di queste informazioni

Nessuno tollererebbe che il proprio diario segreto venisse letto di nascosto da estranei. Eppure è quello che può accadere ogni volta che una donna scarica sul proprio cellulare una delle centinaia di applicazioni per la salute riproduttiva. Registrano cambi d’umore, sintomi, eventuali perdite. Fanno persino da calendario per ricordarsi di prendere i contraccettivi o per capire il periodo di maggiore fertilità. Utilizzate ovunque nel mondo, da anni queste app per tracciare mestruazioni e gravidanze vengono accusate di essere delle "spie". 

 

Grafiche accattivanti, spesso tendenti al rosa con pop-up continui che promuovono articoli informativi riguardo sesso, igiene intima e fertilità, dietro a questi “cari diari” però c’è una gestione dei dati personali opaca e, in alcuni casi, scorretta. In Canada è stata presentata una class-action proprio contro una di queste applicazioni, accusata di aver inviato informazioni sulla salute degli utenti a società come Facebook senza il consenso delle dirette interessate. 

 

A instillare timori sulla natura di questi software, in particolare negli Stati Uniti, è stato l’annullamento della sentenza Joe vs Wade, la legge della Corte Suprema che dal 1973 rendeva legale l’interruzione volontaria di gravidanza e che ora è al centro di diversi scontri giudiziari con i governatori repubblicani in rima fila per vietare l'aborto negli stati che amministrano: l'ultimo esempio è lo scontro in corso tra l'amministrazione Biden e l’Idaho, uno dei paesi in cui ci sono le leggi più severe sull’interruzione volontaria di gravidanza che vuole vietare l'Ivg anche in casi di emergenza (Moyle v. United States ).

 

Ѐ proprio dall’eliminazione del diritto all’aborto negli States che migliaia di donne hanno iniziato a cancellare e disinstallare le applicazioni per la salute riproduttiva femminile. Il timore? Che quei dati appuntati nel sistema possano essere utilizzati dalle forze dell’ordine. Il sospetto infatti è che, in caso di aborto ad esempio, le informazioni registrate nelle app possano essere utilizzate per rafforzare eventuali procedimenti penali negli Stati che lo hanno vietato.

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Le app mHealth (o mobile health) femminili raccolgono dati sensibili su cicli mestruali, vita sessuale e benessere fisiologico delle utenti, oltre a conservare una serie di informazioni personali che permettono di risalire direttamente alle persone, come nomi e indirizzi email. Come qualsiasi altra applicazione, chi le utilizza si espone a una serie di criticità per quanto riguarda informazioni sensibili. In questo caso però si parla di una vera e propria sorveglianza intima. 

 

I timori non riguardano solo gli Stati Uniti, ma anche il Regno Unito. Il King's college di Londra ha pubblicato uno studio condotto su 20 applicazioni di monitoraggio della fertilità e del ciclo mestruale in relazione alla privacy. «Le app per la salute femminile sono vitali per la gestione della salute delle donne in tutto il mondo, ma i loro benefici sono attualmente compromessi da problemi di privacy e sicurezza. La gestione o la divulgazione impropria dei dati sulla salute riproduttiva - ha dichiarato alla Bbc la dottoressa Ruba Abu-Salma del King's College - può portare a conseguenze gravi, con ricatti, discriminazioni e violenze» nelle peggiori delle ipotesi. 

 

Quel che emerge dallo studio è la vaghezza con la quale vengono comunicate informazioni riguardo i dati delle utenti. Su 20 applicazioni prese in esame, 18 forniscono effettivamente informaziooni sulla gestione della privacy. Ma come? Si tratta spesso di policy che «menzionano i diritti degli utenti, come il diritto di accedere, modificare ed eliminare i propri dati personali. Tuttavia, non sempre vengono fornite istruzioni dettagliate su come esercitare questi diritti, e in alcuni casi manca completamente una procedura per l'eliminazione dei dati». Inoltre 12 delle policy analizzate nel report dichiarano che la app importa automaticamente nome e dati del profilo dell'utente, attività e liste di contatti direttamente da Google o Facebook. In 9 casi i dati possono essere importati anche da Apple HealthKit o Google Fit, includendo informazioni sulle attività sportive dell'utente, peso e frequenza cardiaca. 

 

Infine, secondo lo studio del King’s college, è evidente che tutte le app analizzate condividano dati con inserzionisti terzi, «inclusi dati demografici, numeri di telefono e, in un caso, l'indirizzo di casa dell'utente». Ma solo in quasi la metà dei casi viene dichiarato esplicitamente. Un po’ come successo nel caso denunciato dalla class-action canadese. Insomma, le prospettive nell’era post-Roe sono tutt’altro che rosee. «È vitale - conclude Abu-Salma - che gli sviluppatori inizino a riconoscere i rischi unici per la privacy e la sicurezza degli utenti e adottino pratiche che promuovano un approccio umanistico e attento alla sicurezza nello sviluppo delle tecnologie sanitarie».