Gli Stati Uniti alzano i dazi. L’Europa invece sembra voler collaborare con i potenti produttori asiatici. La speranza è di sfruttare quel mercato. Ma la realtà è che intanto loro si prendono il nostro

Immaginate uno di quei traghetti enormi per la Sardegna con la pancia piena di macchine e camion, in formato gigante. La “Explorer No.1” ha fatto il suo ingresso nel porto di Brema, Germania, all’alba di martedì 14 maggio. Immensa, maestosa. Dal suo interno sono uscite 7.000 macchine, tutte elettriche, distribuite in una rete europea di bisarche, treni, concessionari. È la nave - varata all’inizio di quest’anno, lunga 200 metri, alimentata a gas liquefatto - fatta costruire dalla Byd, la più grande azienda cinese del settore che ha venduto nel 2023 un milione e mezzo di auto elettriche. 

 

La Byd sta per varare altri sette giganteschi vascelli della stessa stazza, capacità di carico e destinazione: l’Europa. Ha appena preso il mare anche la Anji Eternity, stesse dimensioni, di proprietà dalla Saic, altra primaria compagnia del Dragone. E la Chery di Wuhu, Anhui, ha commissionato la costruzione di un “freighter” altrettanto imponente per portare in occidente le auto elettriche. Il disegno delle case cinesi (decine di nomi come Li Auto, Geely, Avatr, Denza e così via) è di entrare in forze sfruttando il vantaggio competitivo in un mercato rimasto indietro dal punto di vista tecnologico ma dotato di una forte domanda. 

 

In Italia la quota di auto “full electric” sul parco circolante è del 2,8%. Ci sarebbero le ibride, ma qui il discorso si complica: «Esistono diverse categorie di ibride per un totale di quasi il 40% di mercato, ma le uniche che comportano un’effettiva consistente riduzione di emissioni, e quindi sono da affiancare correttamente alle “full electric” a batteria, sono le “plug-in hybrid” (3,2% del mercato) che si ricaricano con la spina di corrente e le “full hybrid” che si ricaricano col motore (10,6%)», puntualizza Luca Ciferri, direttore di Automotive News Europe. «Le “mild hybrid” (28%) in realtà non raggiungono lo scopo, anzi possono inquinare anche di più delle macchine a benzina».

 

Altrove la situazione è migliore: le “full electric” costituiscono il 15% del parco circolante in Uk e Germania, a cui si aggiungono a vario titolo le diverse ibride. Lo spazio per chi detiene la tecnologia d’avanguardia per l’elettrico è enorme, visto che incombono le scadenze europee: entro il 2035 non si potranno più vendere auto a combustione interna. «Una scadenza che però - spiega Antonio Sileo, direttore di programma presso la Fondazione Mattei - sarà verificata nel 2026 e se prevarrà lo schieramento conservatore in Europa, che comprende un bel po’ di negazionisti climatici, sarà probabilmente prorogata, anche per i ritardi infrastrutturali nell’installazione delle colonnine di ricarica e per la mancata soluzione del problema dello smaltimento delle batterie». Posticipare la scadenza, osserva Gabriel Debach, analista di eToro - offrirebbe ai produttori europei il tempo necessario per sviluppare alternative competitive».

 

Ma i cinesi mordono il freno (è il caso di usare questo termine). Malgrado abbiano un’ottima possibilità di farla franca al passaggio del Mar Rosso perché contro le loro navi (come quelle russe), i guerriglieri Houthi non sparano, scelgono per essere sicuri la rotta del Capo di Buona Speranza. Sette-otto dieci giorni di più non fanno la differenza: l’importante è l’assalto ai mercati europei. Con le nuove tecnologie di navigazione dell’Explorer N.1 e delle sue sorelle, è stata studiata una rotta che da Shanghai, appena entrati nell’Oceano Indiano si “tuffa” verso il Sudafrica. È più lunga ma non di tanto, di Suez.

 

Le case cinesi avevano attaccato con uguale assertività in America, ma gli ha fatto terra bruciata il presidente Joe Biden annunciando l’11 maggio che i dazi sulle auto cinesi quadruplicano dal 25% al 100%. Non contento, il presidente ha triplicato dal 7,5% al 25% le tariffe sulle batterie al litio per le vetture elettriche, alzato da zero al 25% quelle sulla grafite e creato un dazio del 50% su siringhe e aghi, chissà cosa c’entrano. È una pietra tombale sulle speranze cinesi di sfondare in Nordamerica. 

 

«Biden si è comportato come neanche Donald Trump (che promette in caso di rielezione di portare i dazi sulle auto al 60%, ndr), a riprova che il partito democratico in America è diventato spesso più reazionario dei repubblicani, perfino i più estremi», commenta Nancy Fraser, filosofa e sociologa, autrice di “Capitalismo Cannibale”, in Italia per una serie di conferenze su invito di Roberto Mordacci, prorettore all’Università Vita e Salute del San Raffaele.

 

Così, per valorizzare la propria extra-produzione (il 48% delle auto circolanti in Cina è elettrico) le case del Dragone puntano sull’Europa e rinunciano agli Usa, Paese in cui malgrado le incomprensioni, precisa Maurizio Melani, lunga esperienza in diplomazia e oggi docente di economia internazionale alla Link University, «l’interscambio rimane dell’ordine di 750 miliardi di dollari, poco meno degli 850 miliardi di import/export Ue-Cina, che però è raddoppiato negli ultimi dieci anni». Nel 2023 sette nuovi marchi cinesi sono entrati nel mercato europeo, unendosi ai 23 già disponibili nel 2022. 

 

Fra elettrico e non, le case cinesi nel Vecchio Continente hanno venduto 321.918 unità nel 2023, in crescita del 79% su base annua (su 5 milioni di auto all’estero). Per approntare le difese contro l’invasione annunciata di auto elettriche, la presidente dell’Ue Ursula von der Leyen ha lanciato nello scorso autunno un’indagine conoscitiva sugli aiuti di Stato, con l’intento di valutare eventuali aumenti dei dazi che oggi sono del 10%. «Per ora sono tollerabili per il venditore visti i bassi costi del lavoro e delle materie prime in patria», commenta Angelo Baglioni, economista della Cattolica. 

 

La Commissione si è data alcuni mesi di tempo e sta acquisendo gli elementi. Il nodo è sempre lo stesso: l’occidente accusa la Cina di aiuti di Stato spropositati e quindi di concorrenza sleale. «Il problema - dice Baglioni - è che per la maggior parte le aziende cinesi sono di proprietà dello Stato o spesso delle municipalità, così è arduo contestare la presenza pubblica: se non si viene aiutati a investire dai propri azionisti a chi ci si dovrebbe rivolgere? Sono sistemi economici completamente diversi». 

 

Una diversità peraltro che è andata diminuendo negli ultimi anni, obietta l’economista Innocenzo Cipolletta: «Rispetto a quando inizialmente venivano contestati gli aiuti, in America e in Europa sono partiti massicci programmi di incentivazione e di sussidio che assomigliano a quelli cinesi. È meglio smetterla con queste controversie e rendersi conto che i cinesi hanno conquistato una supremazia tecnologica e adesso vogliono valorizzarla. E una Cina più ricca significa un grande mercato per gli esportatori italiani».

 

Una visione condivisa oltre Oceano: «La Cina produce il l’80% dei moduli solari del mondo, il 60% delle pale eoliche, il 60% dei veicoli elettrici e delle relative batterie», afferma Dani Rodrik, economista della Harvard Kennedy School. «Nel solo 2023 la loro capacità di energia solare è cresciuta di più del totale installato negli Stati Uniti. Allora, basta con questa guerra fredda e utilizziamo le loro tecnologie per migliorare le emissioni del pianeta». Contro le volontà bellicose di Washington e Bruxelles, è poi schierato il Paese più forte d’Europa, la Germania: «Non credo nelle tariffe», ha tagliato corto Thomas Schafer, capo della Volkswagen Auto Division che costruisce auto elettriche (e non) in gran quantità in Cina. 

 

Forti sono gli interessi anche della Bmw: la Mini elettrica, parte del gruppo bavarese, è costruita in joint-venture con la Great Wall a Zhangjiagang nello Jiangsu, e la Bmw iX-3 è fatta dalla Brilliance a Shenyang nella provincia del Liaoning. Infine le nuove Smart escono dalla fabbrica di Shaanxi, vicino Xian, in virtù di una società 50-50 fra la Mercedes e la Geely, che controlla Volvo, Polestar, Lotus e London Taxi. La Mg, invece, è della Siac.

 

Una collaborazione con i cinesi, per ora di altro genere, la stanno cercando anche gli italo-francesi di Stellantis: comincerà in settembre la vendita in nove Paesi europei, destinati ad aumentare rapidamente di auto costruite dalla Leapmotor di Hangzou. A curare la commercializzazione, che comincerà con una compatta, T03, e il Suv C10,  sarà una nuova società, la Leapmotor International, di cui il 51% sarà di Stellantis e il 49 della casa cinese. Se non puoi battere il tuo nemico, alleati con esso.