Dati & futuro

L’intelligenza artificiale non è intelligente come vogliono farci credere

di Gianni Prandi   6 maggio 2024

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L’Ia non è capacità cognitiva, non riproduce i processi e le attività mentali che generano le nostre conoscenze. È una formidabile archivista: un secchione, non un genio

Chi ha vissuto gli anni Ottanta ricorda come l’arrivo dei primi pc venne vissuto come un momento messianico. C’era l’illusione che quelle macchine fossero in grado di fare qualsiasi cosa. Ho impressa nella memoria l’immagine di uno zio anzianotto che davanti a un futuristico Olivetti M24 domandava: «Chiedigli cosa pensa di me…». Quella confusione tra realtà e fantascienza è stata deleteria, diffondendo una nebbia in cui è rimasta imprigionata una generazione: pochi, smanettando sulla tastiera del Commodore 64, hanno colto l’opportunità offerta da quella innovazione, la maggioranza è rimasta imprigionata di fronte agli schermi fino ad assumere una passività rispetto allo strumento informatico.

Questo viaggio a ritroso serve solo a mettere in guardia sull’innovazione più discussa e più malintesa del presente: l’intelligenza artificiale. Se ne parla più o meno negli stessi toni dedicati quarant’anni fa all’avvento del pc: senza alcuno sforzo di comprensione, la trattiamo come l’inizio e la fine di tutto quello che avverrà. Uno zibaldone di concetti assortiti che classifichiamo a casaccio sotto l’etichetta di intelligenza artificiale, per arrivare a una conclusione che è diventata già un luogo comune: non c’è bisogno di preoccuparsi del futuro, tanto farà tutto l’intelligenza artificiale. Bisogna invece cominciare subito a chiarire che l’intelligenza non è intelligente: non è capacità cognitiva, non riproduce i processi e le attività mentali che generano le nostre conoscenze. Il suo mestiere è un altro, come se fosse uno straordinario archivista: sa incamerare quantità formidabili di dati e catalogarli con una rapidità eccezionale in modo da poterli confrontare. Usando il termine che si usava per distinguere le doti degli studenti: è un secchione, non un genio.

Gianni Prandi

 

È indubbio che queste prestazioni rappresentino una grande svolta. Il cervello elettronico ha la capacità di processare quantità colossali di informazioni in un tempo infinitesimo e in questo surclassa il cervello umano. L’esperienza di Vidierre in questo campo è illuminante grazie al nostro sistema avanzato di Media Intelligence WOSM©: in trent’anni di monitoraggio della rete Internet l’abbiamo vista accumulare miliardi e miliardi di byte. Se ci guardiamo intorno, vediamo che negli ultimi anni c’è stata una crescita vertiginosa sia della tecnologia applicata sia delle persone che la utilizzano, tanto che si ipotizza che nel 2050 i dispositivi connessi supereranno i 300 miliardi. Il problema è che si affronta un cambiamento così profondo in maniera superficiale. Si mescolano fantascienza e paure creando una nuvola di caos tale da lasciarci privi persino di una definizione di intelligenza artificiale.

 

Qual è la scienza che se ne occupa? Non c’è, ma sappiamo tutto delle applicazioni, che si tratti di robotica o dei testi di ChatGpt. E sappiamo che l’unione tra potenza di calcolo, montagne di dati e correlazione statistica hanno aperto i cancelli di una nuova frontiera. Nonostante la mia azienda si occupi di elaborare dati, la mia impostazione resta quella di umanista. Non posso non farmi domande su dove ci porterà l’intelligenza artificiale, che non ha la sua forza nella capacità di comprendere, ma in quella di agire: è azione senza intelligenza, questo caratterizza la sua rivoluzione. Come intendiamo utilizzarla? Siamo alle porte di una civiltà del fare perché l’intelligenza artificiale è fulminante nel dare soluzione ai problemi, completare le mansioni assegnate, imparare e perfezionare le sue prestazioni? Come per tutte le innovazioni, se non vengono governate finiscono per schiacciare l’uomo. Per questo credo che sia importante stabilire regole e principi. Il rischio è che comprima l’autonomia, l’indipendenza e la capacità di decidere: un percorso che trasforma l’essere umano in un mezzo, mentre dovrebbe restare il fine.

 

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