Restare al passo con transizione green, digitalizzazione e intelligenza artificiale richiede un aumento degli investimenti pubblici e privati. Oltre a un’azione coordinata tra gli Stati e i produttori

Il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta in una lectio magistralis all’Università Roma Tre del 23 aprile «sul futuro dell’economia europea tra rischi geopolitici e frammentazione globale» ha sostenuto che debba essere rafforzata l’area euro attraverso «il riequilibrio del modello di sviluppo, la tutela dell’autonomia strategica e l’adeguamento della propria sicurezza esterna». Per il riequilibrio del modello di sviluppo è necessaria l’espansione della domanda interna mediante la valorizzazione del mercato unico, rispetto al traino svolto dalla domanda estera negli ultimi due decenni. La proposta del governatore Panetta non rinchiude l’Europa nel ristretto ambito del guscio europeo, ma apre un nuovo fronte degli scambi commerciali globali nelle relazioni tra i continenti, e nei continenti, in cui ogni area dovrà giovarsi della propria autonomia.

 

Per l’Europa, la trasformazione dell’economia mondiale dovuta alla transizione green, all’economia digitale e all’intelligenza artificiale richiede un consistente aumento degli investimenti pubblici e privati. Si rende inevitabile sia la mobilitazione di una rilevante massa finanziaria d’intervento sia un’azione coordinata di azioni tra gli Stati e i produttori. La Commissione europea, infatti, ha stimato in 800 miliardi annui fino al 2030 le risorse finanziarie necessarie per assicurare la competitività e l’autonomia strategica dell’economia, compreso l’aumento della spesa militare al 2% del Pil. Un tale impegno richiede la maturazione di una volontà politica collettiva degli Stati che rifugga ogni meschino tentativo rivolto a rinchiudersi in ambiti nazionali.

 

Va, invece, rafforzato il bilancio dell’Ue per sostenere l’emissione di eurobond in grado di assicurare il reperimento delle risorse finanziarie necessarie. Guai a pensare che con l’impiego di tutte le risorse del Pnrr si possa accompagnare la grande trasformazione dell’economia che il nostro Paese dovrà affrontare. Ammesso che si riesca a spendere i 194 miliardi del Pnrr entro il 2027, gli investimenti avranno toccato solo marginalmente la grande trasformazione. Più che altro avranno irrobustito l’attrezzatura infrastrutturale pubblica, che non sarebbe poco.

 

Nei propositi del governo tale problematica di fondo è ignorata. Lo stesso per l’opposizione anche se le responsabilità sono diverse. Si discute solo sugli spazi che il nuovo patto di stabilità potrà consentire in modo che il governo possa reperire le risorse finanziarie necessarie a mantenere lo sconto contributivo sul lavoro dipendente e il rifinanziamento della miniriforma fiscale. L’incidenza del debito pubblico, secondo le previsioni del Def, si stabilizzerebbe, fra l’altro, al 139,8% nel 2027. Tale prospettiva secondo gli economisti del Fmi «alza il premio al rischio dell’Italia (i tassi del debito pubblico) che fa da freno agli investimenti del settore privato».

 

Stante questi dati, non sussiste alcuna possibilità che il nostro Paese possa disporre delle risorse finanziarie minime persino per sostenere con gli aiuti di Stato anche alcuni aspetti marginali della grande trasformazione. Le elezioni europee per la presidente Giorgia Meloni, per il bene dell’Italia come spesso ama ripetere, attese le prospettive sui nostri conti, dovrebbero prevalentemente focalizzarsi sulla possibile formazione della Commissione che abbia come obiettivo il finanziamento comune della grande trasformazione dell’economia europea, lasciando, una volta per tutte, ai sovranisti la battaglia sul nazionalismo fine a sé stesso.