Adesso che è al governo deve fare i conti con le norme che ha propugnato e che impediscono una immigrazione regolare. A chiederne una profonda revisione non sono solo Ong e sinistra, ma la stessa base elettorale di piccoli e medi imprenditori

Ci sono oltre cinque milioni di stranieri regolarmente residenti nel nostro Paese, una cifra superiore a quella dello scorso anno. Sono aumentati anche i titolari di permesso di soggiorno. E nel 2021 si è registrata un’impennata di richieste per motivi di lavoro. Lo scrivono i vescovi italiani nel loro Rapporto sull’immigrazione: “Costruire il futuro con i migranti”, redatto da Caritas italiana e Fondazione Migrantes. Sono dati che ci devono far riflettere. E l’inchiesta che pubblichiamo questa settimana ci mostra come le piccole e medie imprese del Nord, per poter portare avanti i loro affari, hanno bisogno di milioni di lavoratori. Che devono venire dall’estero perché in Italia non ne trovano. Ma la legge Bossi-Fini impedisce l’immigrazione regolare e la destra che adesso non è solo maggioranza in Parlamento, ma anche a Palazzo Chigi con il futuro governo di Giorgia Meloni, è chiamata a cambiare i suoi provvedimenti bandiera se vuole dare una mano a imprenditori e commercianti in difficoltà, non solo per il caro bollette, ma anche perché non trovano lavoratori.

 

«La crisi del movimento operaio crea condizioni favorevoli per uno spostamento verso l’estrema destra di settori interi del proletariato, in particolare di vittime della crisi o di quanti temono di diventarlo», diceva il sociologo francese Alain Bihr, autore di importati studi sulla storia del movimento operaio e sulle trasformazioni del capitalismo europeo, il quale lanciava questo allarme già all’inizio degli anni Novanta nell’ambito di una ricerca dedicata all’emergere in Francia del Front National di Jean Marie Le Pen, il primo partito d’Europa a fare esplicitamente della xenofobia e del rifiuto dell’immigrazione il proprio fondo di commercio elettorale.

Bihr spiegava come proprio presso i ceti più deboli la rabbia e il disorientamento provocati dalla perdita dei posti di lavoro, dalla ristrutturazione produttiva che privava molti operai dell’«identità di classe» attraverso la quale si erano percepiti per molto tempo e che gli aveva al contempo conferito una sorta di status sociale particolare avrebbero costruito un potenziale bacino di ascolto per le parole d’ordine di Le Pen che indicava negli «stranieri» i responsabili di tutti i mali della società, offrendo così un facile capro espiatorio su cui sfogare il malessere che si andava diffondendo nel Paese. E da questo punto di vista è facile comprendere come il Front National abbia fatto scuola un po’ ovunque, o meglio abbia anticipato caratteristiche e forme della propaganda e del vocabolario di una nuova politica di destra che oggi appare perfino banale, tanto e tale è stato il suo sviluppo nell’intera Europa.

 

Adesso andiamo verso il governo Meloni, definita dal Financial Times «una populista di destra, anti-immigrazione, una dura conservatrice e una nazionalista euroscettica» la cui vittoria «preannuncia guai per Bruxelles e problemi per molti aspiranti immigrati nell’Ue». E il capitale umano, oggi, è quello di cui le aziende hanno bisogno, che però è in contrasto con i respingimenti in mare. E le leggi della destra sull’immigrazione.