Editoriale
I malati psichiatrici in cella o legati: l’Italia è rimasta a cinquanta anni fa
L’Espresso torna a denunciare il degrado delle condizioni dei pazienti reclusi: una situazione - illegale - di cui parliamo ormai da decenni. Che ancora una volta la Corte Costituzionale ha sanzionato, chiedendo al Parlamento una riforma urgente
Nel carcere di Pescara, in quello di San Vittore a Milano, e a Rebibbia e Regina Coeli a Roma ci sono dei “repartini” in cui sono chiusi una decina di pazienti. Molti di loro sono segregati in celle singole o massimo di due persone. E poi in altre strutture ci sono i malati che in piena crisi vengono contenuti nel letto, legati mani e piedi per impedire di far del male a sé o agli altri. Insomma, il racconto, corredato da immagini eclatanti e significative scattate da Valerio Bispuri, denuncia una situazione di degrado umano e sociale che credevo fosse stato spazzato via con la cancellazione dei manicomi, compresi quelli criminali. E invece mi devo ricredere. Le persone affette da patologie psichiche vengono ancora rinchiuse in cella. E nelle Rems, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, gli ex Opg, che di fatto sembrano delle piccole carceri.
Le foto scattate da Bispuri - in questo secolo - ci fanno calare non solo dentro questo mondo, ma ci riportano indietro nel tempo. A quando Gad Lerner con Franco Zecchin raccontarono su L’Espresso nell’ottobre del 1988 le condizioni disumane in cui si trovavano i 375 ricoverati nell’ospedale psichiatrico di Agrigento. Era una drammatica scoperta fatta da questo giornale e documentata da immagini a colori. Era un’inchiesta condotta assieme all’allora senatore radicale Franco Corleone e riguardava i malati di mente che allora popolavano i manicomi, tenuti in funzione “a esaurimento” dalla legge 180 che era stata approvata dal Parlamento nel 1978, fino a quando erano in vita le persone di cui era stata giudicata impossibile la dimissione. Era la rivoluzione di Franco Basaglia.
A causa dei gravi problemi di funzionamento l’attuale sistema delle Rems non tutela in modo efficace né i diritti fondamentali delle potenziali vittime di aggressioni, che il soggetto affetto da patologie psichiche potrebbe nuovamente realizzare, né il diritto alla salute del malato, il quale non riceve i trattamenti necessari per aiutarlo a superare la propria patologia e a reinserirsi gradualmente nella società. Questo aspetto è stato sottolineato lo scorso gennaio dalla Corte costituzionale nella sentenza con cui ha rivolto un monito al legislatore perché intervenga con urgenza con una riforma. Che ancora attendiamo.
La Consulta ha osservato come la totale estromissione del ministro della Giustizia da ogni competenza in materia di Rems, e dunque in materia di esecuzione di misure di sicurezza disposte dal giudice penale, non è compatibile con l’articolo 110 della Costituzione, che assegna al Guardasigilli la responsabilità dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.
La Corte ha tuttavia ritenuto di non poter dichiarare illegittima la normativa in questione, perché da una simile pronuncia deriverebbe «l’integrale caducazione del sistema delle Rems, che costituisce il risultato di un faticoso ma ineludibile processo di superamento dei vecchi Opg», con la conseguenza di «un intollerabile vuoto di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti». Di qui il monito al legislatore affinché proceda, senza indugio, a una complessiva riforma di sistema. Una riforma che deve assicurare innanzitutto un’adeguata base legislativa alla nuova misura di sicurezza, e insieme la realizzazione e il buon funzionamento, sull’intero territorio nazionale, di un numero di Rems sufficiente a far fronte ai reali fabbisogni, nel quadro di un complessivo e altrettanto urgente potenziamento delle strutture sul territorio in grado di garantire interventi alternativi adeguati alle necessità di cura e a quelle, altrettanto imprescindibili, di tutela della collettività.
La Rems, come dice Franco Corleone, va rimodellata. Lui continua a ritenere «che abbiamo fatto una rivoluzione gentile, ma alla luce anche della sentenza della Corte Costituzionale serve una riforma». Sì, occorre una riforma, ed evitare in tutti i modi che quelle persone malate chiuse in carcere, quando non dovrebbero starci, siano condannate all’inferno già su questa terra.