Il cambiamento climatico colpisce con frequenza crescente il nostro Paese. Con danni enormi in termini umani ed economici. Conseguenze aggravate dalla cementificazione senza regole e dall'assenza di cura del territorio, a cui governi e amministrazioni non hanno mai posto rimedio

Piove sempre sul bagnato, si dice. Non è vero. Almeno in questo ventunesimo secolo. Piove sempre più spesso, e più forte, in aree circoscritte del Paese. E ogni scroscio d’acqua si trasforma in un disastro. L’ultimo è del 2 novembre scorso con l’alluvione nella piana fiorentina e pratese con propaggini fino alla costa pisano-livornese. Otto morti, i danni che superano già il miliardo. Un pezzo importante del Pil della Toscana e del Paese è finito sott’acqua.

 

La sciagura toscana viene al seguito di quella romagnola degli inizi di maggio, preceduta dall’alluvione nelle Marche tra il 15 e il 16 settembre 2022 e da quella di Ischia del 26 novembre 2022. Ovunque morti, devastazioni, danni che ammontano a circa 15 miliardi. Un aumento esponenziale se si pensa che dal 1946 a oggi la media dei danni causati dai disastri ambientali in Italia era di 4,5 miliardi all’anno. Secondo la società di consulenza Bain & Company l’Italia potrebbe subire ogni anno circa 10 miliardi di danni entro il 2050 a causa del cambiamento climatico. Forse è un calcolo per difetto.

 

Tutto è cominciato nel 1996 quando un’alluvione che il meteorologo Giampiero Maracchi definì anomala, con il primo temporale autorigenerante, si abbatté sull’alta Versilia: tutte le previsioni meteo davano bel tempo e invece dal cielo venne giù il diluvio universale. È stato il segnale dell’inizio del cambiamento climatico in Italia. Fenomeni come quello della Romagna o della Toscana, fino al 20esimo secolo si verificavano una volta ogni 10/15 anni, oggi si verificano tre o quattro volte all’anno. Si tratta di eventi estremi in aree ridotte. In Italia si calcola che siano circa un centinaio all’anno di portata più o meno rilevante, con i casi estremi degli ultimi mesi.

 

L’Italia è il Paese più giovane del mondo. Il nostro “stivale” è emerso circa 600/500 milioni di anni fa rispetto ai 4 milioni di anni di gran parte del pianeta. Il terreno è molto fragile, sabbioso, per due terzi composto da montagne e colline e sottoposto alle maggiori precipitazioni d’Europa. Ogni anno, sotto forma di pioggia e neve, cadono sul nostro suolo circa 300 miliardi di metri cubi d’acqua. E i terreni franano a valle. In tutta Europa sono state censite 750 mila frane, di cui 628 mila in Italia, secondo l’Ispra. Pazzesco. In compenso, nel 1956 il territorio italiano urbanizzato era il 3,8%, il risultato di 2000 anni di civiltà. Dagli anni ’60 del ’900 a oggi, sempre secondo l’Ispra, i terreni urbanizzati sono passati all’8,3%, quasi tre volte.

 

Dal 1966, dopo la grande alluvione di Firenze che riguardò anche un altro migliaio di piccoli Comuni, il Parlamento varò la legge-ponte che obbligava i Comuni ai piani regolatori. Peccato che quella legge rimase per un anno e mezzo nei cassetti del Parlamento, periodo durante il quale venne triplicata la cubatura del costruito. La crescita economica andava di pari passo con l’edilizia e nessuno aveva intenzione di fermare la corsa al benessere. Oggi paghiamo il conto. Roma è la capitale europea a più alto rischio idrogeologico con 350 mila persone sottoposte al pericolo alluvione.

 

Se ogni anno in Italia si devono pagare 10/15 miliardi di danni ambientali bisognerebbe fare più manutenzione e prevenzione a cominciare dai piccoli corsi d’acqua. Ma ogni anno si spendono solo tra i 400 e i 600 milioni per le opere. Un venticinquesimo di quanto rischiamo di pagare per danni. Quindi, quando accadono questi fenomeni, l’acqua cade dal cielo, ma le colpe risiedono sulla terra.

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