Editoriale

Giorgia Meloni usa la sua agenda della paura per accaparrarsi i voti

di Enrico Bellavia   18 marzo 2024

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L'accordo sui migranti con l'Albania è una gigantesca operazione da campagna elettorale. Che costerà milioni alle tasche degli italiani

Lasciamo le lezioni di giornalismo a chi ha cattedre da cui impartirle e prendiamo umilmente nota. Per rispetto dei lettori che non hanno condiviso la penultima copertina ci limitiamo a ribadire che la scelta di rappresentare il lato oscuro degli affari di Chiara Ferragni era dettata unicamente dall’idea di raccontare, come facciamo anche qui, un pezzo del potere. Che non ha genere. Essere donna, se si ha un ruolo pubblico e una posizione di potere, non fornisce alcun salvacondotto. Tentare di rovesciare su L’Espresso accuse di sessismo per cercare di bloccarne la pubblicazione è solo un espediente per una manovra degna di tempi bui.

L’Espresso, e non solo per l’8 marzo, fa della battaglia contro il patriarcato e il divario di genere uno dei capitoli imprescindibili della difesa dei diritti civili. Chi ci legge lo sa. E questo continuiamo a fare. Con l’uso anche di copertine irriverenti, come questa, tratto distintivo della storia del settimanale.

Lo fa, coltivando la memoria attiva, ricordando, per esempio, le vittime di mafia e non solo il 21 marzo. E che stare con l’Ucraina aggredita non significa dimenticare che l’attesa di giustizia per l’uccisione in Donbass del fotoreporter Andy Rocchelli (24 maggio 2014) rischia di essere tradita dall’imbarazzo dei governi. O che la luce su quel che è accaduto a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi a Mogadiscio il 20 marzo di 30 anni fa, è ostacolata da una coltre di omissioni e perduranti depistaggi di Stato.

Lo fa con l’inchiesta di copertina, raccontando come si sia arrivati a impegnare in una forsennata corsa contro il tempo quasi un miliardo di euro perché Giorgia Meloni possa celebrare la propria campagna elettorale per le Europee all’insegna del “nascondiamoli altrove”: i soldi andranno, insieme con i migranti che arriveranno sulle nostre coste, in Albania.

Il protocollo, negli intenti, non è diverso da quello che il centrosinistra concluse con la Libia di Serraj: “Teneteli voi”. Adesso, per racimolare i soldi e allestire i campi prigione fuori Tirana sono stati compiuti tagli ai trasporti, alla scuola, alla sanità, alla cultura. Si comincia sempre con il lanciare un allarme, non importa se vero o presunto – e la «invasione» di migranti obbedisce alla seconda categoria – per concludere con una soluzione muscolare – decreto Cutro – e drenare consenso dalle paure indotte. Attraverso un bulimico autoconsumo di risorse, dettato da un’agenda indifferente alle urgenze del Paese. Che un’opposizione spaesata non è in grado di confutare fino in fondo. Almeno fino al punto di farsi ascoltare dalla metà che non va a votare – periferie, centri minori, «i territori» – come accaduto in Abruzzo. Lì, la premier ha rinsaldato la propria supremazia, polverizzato la Lega salviniana – pallido ricordo di un partito nazionale, ostinatamente teso a scavalcarla a destra – e stabilito una coabitazione pacifica con una Forza Italia centrista in ripresa, polo d’attrazione moderato, nutrito dai signori del voto.

Sul fronte opposto, gli spazi per centristi e moderati rasentano l’irrilevanza e l’alleanza perde, scontando la volatilità di un’intesa Pd-M5S. Che l’elettorato, nonostante gli sforzi di Schlein e le oblique dichiarazioni di Conte, percepisce come costantemente in bilico, distante in politica estera e sospesa tra slanci unitari e aspirazioni all’egemonia. In un’eterna, irrisolta, questione di leadership.