Il rito dei Battenti di Verbicaro e quel dolore che attrae gli spettatori - Il video

Una riflessione tra la violenza rituale e il bisogno moderno di contenuti scioccanti. In un tempo in cui la sofferenza altrui scivola via con la stessa facilità di uno “scroll”

In un’epoca marcatamente laica, i rituali di purificazione delle comunità religiose continuano a esercitare un’irresistibile attrazione amplificata dai social media. Nella notte del Giovedì Santo, un capannello di uomini vestiti di rosso si colpisce le cosce nude con un tappo di sughero infilzato da schegge di vetro, fino a farle sanguinare. La processione si ferma davanti alle chiese del paese, dove per tre volte i penitenti marchiano con il sangue porte e scalinate: sono i Battenti di Verbicaro, in provincia di Cosenza. Un rito simile si tiene anche a Nocera Terinese, sempre nel Cosentino, ogni Venerdì di Pasqua. Qui i penitenti indossano una maglia nera e portano sul capo una corona di spine poggiata su un fazzoletto scuro. Si battono le gambe nude mentre sono legati con una corda a un bambino che regge una croce di legno rivestita di tessuto rosso. A Guardia Sanframondi, in provincia di Benevento, invece, la tradizione si rinnova ogni sette anni, nel mese di agosto. I flagellanti, sfilando tra le vie del paese incappucciati e vestiti di bianco, si feriscono il petto con una spugna piena di chiodi.

Si tratta di rituali risalenti al Medioevo che continuano a rievocare, in forme diverse, la Passione di Cristo, con una devozione sorprendentemente intatta. La Settimana Santa italiana è ricca di manifestazioni religiose, da sempre molto partecipate dalla popolazione locale. Al di là della fede, questi riti secolari sono suggestivi per chiunque si trovi ad osservarli, dal vivo e online. È inevitabile chiederselo: come mai non riusciamo a distogliere gli occhi da immagini tanto violente e dolorose? Sarà per la crudezza delle scene, o forse per la potenza simbolica che le accompagna?

Già Eraclito nel Cinquecento a.C. parlava di enantiodromia, ovvero la corsa verso l’opposto: l’attrazione per ciò che, in teoria, dovrebbe respingerci. Nei secoli arte, cinema e media hanno alimentato questa fascinazione, abituandoci a una violenza sempre più estetizzata. Anche lo spaventoso e il raccapricciante possono risultare visivamente attraenti e spettacolari, talvolta persino “belli”.

Chi non si sente ancora più attirato dalla visione del video dopo aver letto l’avviso “le immagini che seguono potrebbero turbare la vostra sensibilità”? Forse è il momento di spostare la riflessione visuale dal concetto di estetizzazione a quello più inquietante di anestetizzazione. Perché, dietro all’antico desiderio voyeuristico, si nasconde sempre più spesso il bisogno di dosi maggiori di contenuti scioccanti. È come se il bombardamento quotidiano di video e immagini crudeli avesse indotto uno stato di apatia. E così, se un tempo commuoveva o creava empatia, oggi la sofferenza altrui scivola via con la stessa facilità con si “scrollano” i post. Il dolore, nell'era dei social, si è fatto mero intrattenimento visivo per occhi desensibilizzati.

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