Da L'Espresso numero 6 del 17-02-2005
Chiòve, chiòve, mannaggia 'o muorto quanno chiove. La tramontana ha lucidato il cielo sopra Napoli. Ma quaggiù gli uomini gridano come se arrivasse il temporale. Un trentenne appare al cancello arrugginito della Vela Gialla, un triangolo verticale di appartamenti anni '80, 15 piani con gli ascensori rotti e i tubi che gocciolano un po' dappertutto. «Chiòve», piove, grida ancor più forte, sfilandosi dal volto abbronzato gli enormi occhiali da sole.
E dalla Vela Rossa, il condominio scrostato lì di fronte diverso solo nel colore, salgono altre grida. Finestre e ballatoi si riempiono di spacciatori e sentinelle, loggionisti in questo spettacolo allucinato che sfila sotto di loro. Si cammina senza guardarsi intorno. Ogni piccola occhiata a destra o a sinistra scatena altri passaparola: «Chiòve, chiòve», urlano dall'alto. La curiosità non è ammessa quando si entra nella fabbrica di soldi che il clan Di Lauro ha allestito a Scampia. Bisogna aver pazienza in coda, lo sguardo fisso sulla punta delle scarpe come gli schiavi davanti al loro signore. Si paga. Si ritira la bustina di eroina. E si va via.
L'unico modo per vivere qualche giorno qui, e uscirne indenni, è unirsi agli Intoccabili: il livello più basso della casta della camorra, i più disperati in questa Calcutta tutta italiana. Sono i tossicomani che ogni mese rovesciano milioni di euro nelle casse del clan: 8 mila, ma è solo una stima della Asl, gli eroinomani napoletani. Poi ci sono quelli che vengono dalla provincia, da tutta la Campania, perfino da Roma. Sono gli unici ad affollare le strade del quartiere, in questi giorni di guerra infinita tra scissionisti e bande fedeli al boss. Tonino, forse 25 anni, intoccabile lo è davvero. L'ultima roba se l'è iniettata sul dorso delle mani e le infezioni gli hanno aperto piaghe che continuano a lacrimare sangue. Mimmo, la faccia ancora da adolescente, si nasconde i buchi sulle braccia con maglioni di lana spessa. Gli altri tre compagni di viaggio li seguono in silenzio. Insieme, ora camminano in fila verso il retro del caseggiato, la dose appena comprata nascosta nei risvolti del giubbotto. Passi brevi, nervosi. E lo sguardo sempre basso.
Ci sono più siringhe usate che cicche di sigarette sui marciapiedi di Scampia. Le scarpe di Tonino calpestano all'improvviso il suo volto, sulle schegge di uno specchio abbandonato. Gli altri già corrono impazienti. È pieno di rifiuti tutt'intorno. Si attraversa una strada e ci si butta in un grande fossato. Non si vede niente, finché non ci sei dentro. Un alberello, la recinzione di un cantiere a sinistra, il muro che protegge un parco giochi sempre chiuso, un tappeto di aghi, bustine, confezioni, fiale rotte, un debole falò. E in mezzo, 22 persone. Tre stanno ancora scaldando la dose sul fuoco. Gli altri sono impietriti, gli occhi spalancati, la bocca semiaperta, le ginocchia piegate. Un lentissimo movimento li porta sempre più vicini all'erba. Sulla strada appena sopra, passano due auto della polizia. Si buttano nel fossato altri tossicomani, srotolano le bustine di eroina. Subito dietro, li seguono due ragazzi in piena forma. E infatti non sono venuti a drogarsi: sono spacciatori scesi a controllare. Parlano con tutti i loro clienti ancora capaci di rispondere. Domande in napoletano stretto. Meglio inginocchiarsi, rannicchiarsi, fingere di non sentire. Uno dei due tira un calcio. Nessuna risposta. «Chisto è fatto», dice ridendo.
Anche Tonino si è afflosciato sull'immondizia che lo circonda. Gli mancano pochi centimetri per finire a faccia in giù. Non aveva la siringa, ne ha raccolta una usata e adesso la sua mente è persa nell'effetto dell'eroina. Non c'è un'ora precisa per vedere gli zombie che camminano lungo le strade di Scampia. Basta prendere l'autobus R5 in piazza Garibaldi a Napoli, davanti alla stazione Centrale. Quarantacinque minuti per arrivare al feudo del clan Di Lauro. Una corsa ogni 20 minuti, dalle 5.30 a mezzanotte. E ogni corsa ha il suo carico di disperati. Chi ha raccolto nella notte i soldi con furti e rapine, si mette in viaggio già all'alba. Gli altri li seguono dalle dieci in poi.
Il pomeriggio si uniscono gli studenti. Facce insospettabili, allegre all'andata. Stonate al ritorno. Avanti così, tutti i giorni. Il sabato e la domenica i ragazzi in cerca di droga sono addirittura la maggioranza dei passeggeri. Li riconosci dagli occhi gonfi, ma soprattutto dai discorsi. Il passaparola su chi vende la qualità più forte, il taglio più scadente, o il retroscena sull'ultima esecuzione in strada. Non parlano solo di eroina. Perché lassù, tra i palazzoni controllati dalla camorra, si compra anche cocaina e cobret, l'eroina da fumare come il crack. L'autobus si è appena infilato in corso Novara, la salita subito dopo la stazione, e già il viaggio si fa movimentato. Carmela, 41 anni, si alza in piedi e con tutta la voce che ha nei polmoni invita i tossicomani a pregare la Madonna e ad ascoltare Radio Maria. Una cantilena che non sembra convincere i ragazzi seduti in fondo.
Qualcuno ride. Domenico, il più giovane del gruppo, risponde alle domande della predicatrice: «Ho vent'anni, vengo da Benevento, perché ti interessa?». Lei insiste con altre domande. «Vado a Scampia, sì, e allora? Faccio un giro con gli amici». Gli manca mezzo indice dalla mano sinistra: «Un'incidente sul lavoro, facevo il carpentiere in Toscana». «E adesso vieni a Napoli a comprare droga?», chiede Carmela. Lui non risponde. Lei gli offre un libro di preghiere del papa. «Ma cosa me ne faccio?», replica il ragazzo. «Solo 7 euro: è il biglietto per il viaggio verso la tua salvezza», insiste lei. Ma Domenico non le dà più ascolto. I soldi che ha in tasca sono destinati ad altri viaggi. L'R5 arranca nel traffico di corso Secondigliano. Nei finestrini scorrono le facciate squadrate delle Case celesti. Proprio lì davanti, il 15 gennaio, è stata uccisa Carmela Attrice, 47 anni: condannata a morte perché mamma di Francesco Barone, uno dei capi degli scissionisti. Le avevano chiesto di andarsene ad abitare altrove, in ossequio alla pulizia etnica decisa dal clan Di Lauro.
Ma Carmela Attrice non ha voluto lasciare la sua casa. Poco dopo ecco via Monte Rosa, via Fratelli Cervi, via Ghisleri, via Baku. Omicidi, sparatorie, un corpo decapitato fatto ritrovare dentro un'auto in fiamme. Gran parte degli agguati porta il nome di queste strade: 54 morti finora, una decina di feriti e un quartiere completamente sconquassato, anche se i finestrini dell'autobus non mostrano nulla di diverso dai giorni della pace criminale. Le vedette e gli spacciatori sono sempre ai loro posti. Sotto i portici dei palazzoni del lotto T. Davanti ai piccoli condomìni che qui chiamano le Case dei Puffi. Perfino di fronte all'ingresso del Sert, il servizio sanitario che dovrebbe sotrarre i tossicomani all'eroina. A volte non si vedono, ma basta guardare meglio per scoprire che si è sempre sotto lo sguardo di qualcuno. Le tre Vele, rossa, gialla e celeste, arrivano subito dopo, in via Labriola. Domenico e gli altri passeggeri seduti in fondo all'R5 scendono qui. Mani in tasca e passi veloci, sfilano davanti a due poliziotti che stanno controllando il bagagliaio di un'auto.
Da una sentinella nascosta sale il grido che annuncia l'arrivo di estranei: «Chiòve». E il gruppo sparisce in uno dei palazzi. Polizia e carabinieri da settimane fanno controlli a campione. Fermano auto. Verificano documenti. Quasi ogni giorno sequestrano dosi, proiettili e pistole. Anche bombe a mano, nell'ultima settimana: segno che nella loro guerra, i clan sono pronti a tutto. Da queste parti perfino l'applicazione del codice della strada diventa una sfida tra Stato e camorra. «Ai posti di blocco», racconta un agente, «chi va in moto senza casco viene fermato e multato». Una banalità a Roma e Milano. Ma a Scampia gli spacciatori bloccano chi si avvicina con il casco in testa. Il loro è semplicemente un consiglio: meglio toglierselo se non si vuole correre il rischio di essere scambiati per killer avversari. Con chi stare? Una scelta quotidiana quando si vive da queste parti. Un confronto che condiziona il comportamento già dalla scuola.
Il bullismo è considerato un problema normale nella crescita dei ragazzi. Ma qui rischia di essere l'anticipazione di un consenso alla camorra: la massima espressione di un sistema regolato dalla legge del più forte. Alcuni insegnanti della zona hanno distribuito un questionario nelle classi delle medie. Tra le domande, c'era anche questa: «Nella vita bisogna essere prepotenti?». Il 66,3 per cento degli studenti ha risposto di sì, anche se «solo in certi casi». La violenza è spesso una regola di sopravvivenza fuori della scuola. E la difficoltà più grossa diventa proprio seguire i bambini delle elementari e i ragazzi più grandi quando tornano a casa. Un gruppo di volontari della Comunità di Sant'Egidio ci ha provato 25 anni fa. E l'esperienza sta ancora funzionando. Si chiama Scuola della pace. Una volta alla settimana i bambini del quartiere, anche quelli che vivono nei rioni più dimenticati, si improvvisano maestri per i bimbi di un vicino campo rom. O assistenti, il sabato pomeriggio, per gli anziani di un istituto della provincia. «Coinvolgere questi ragazzini a prendersi carico degli anziani o dei bambini più poveri di loro», spiega Enzo Somma, 40 anni, insegnante a Secondigliano e coordinatore del progetto di Scampia, «aiuta a crescere con un'idea della vita diversa. Noi vogliamo far capire che la felicità non è solo legata al successo e alla forza, ma è anche far felice qualcuno che sta peggio. Vogliamo far capire ai bambini di Scampia che la loro vita non è irrilevante, ma è importante. Abbiamo bimbi che a scuola vanno male, ma davanti agli anziani scoprono un altro volto di loro stessi».
«L'irrilevanza della vita è la nostra battaglia quotidiana», racconta Goffredo Miano, 42 anni, sociologo e dirigente del Sert di Scampia, il servizio per le tossicodipendenze: «I ragazzi che curiamo sono i bambini di ieri che non hanno trovato spazio nella loro vita. Spacciatori e tossicomani alla fine provengono dallo stesso ambiente. Qualche giorno fa è venuto qui un ragazzo e mi ha detto: dottore, io faccio il muratore e guadagno mille euro al mese, mio fratello si è messo a spacciare e si prende 500 euro al giorno. Quando uno si fa certe domande è perché nella sua testa sta prendendo delle decisioni: o diventano spacciatori o magari tornano a drogarsi». Come Francesco, 35 anni, un viaggio sull'autobus R5 da Napoli a Scampia passato a spiegare agli amici come era riuscito a smettere, una volta. Adesso è alla fermata di via Ghisleri con le vene piene di eroina: «Francé, mannaggia», urla l'amico che lo accompagna e lo prende a schiaffi: «Mannaggia, Francé, svegliati». Lui apre gli occhi, li richiude e si addormenta di nuovo.
Altri due ragazzi si stanno afflosciando come Francesco all'incrocio di via Baku. Altri quattro illuminati dai lampioni, sul lato opposto della strada. È ormai tardi, i due bar e l'unica pizzeria dell'isolato sono rimasti deserti tutta la serata. Scampia è così da quando si è cominciato a sparare. Restano in giro solo facce allucinate dalla droga. Stesse scene al capolinea degli autobus. Una fermata buia tra due muraglioni di cemento armato. Sui sedili in fondo, due ragazzi inalano i fumi di cobret e il suo odore intenso di gomma bruciata. Uno non avrà più di 12 anni e conclude così la sua domenica. Altri due stanno preparandosi una siringa. Altri sette ciondolano con gli occhi chiusi. Si parte a mezzanotte in punto, verso il centro di Napoli. Un'altra giornata da zombie per i passeggeri dell'R5. Un altro incasso record per i camorristi di Scampia.