Nel nostro Paese solo chi ha ottenuto il permesso di soggiorno umanitario o l'asilo politico può essere inserito in uno dei (pochi) programmi di ospitalità in famiglia

È un’impresa ardua. Un migrante ?per essere aiutato deve manifestare ?il desiderio di rimanere in Italia, chiedendo in questura asilo politico. Ma la maggioranza dei migranti in arrivo nell’ultimo biennio sono in transito verso la Germania e il nord Europa. Ufficialmente sono clandestini. E se le autorità chiudono un occhio ?sul loro passaggio e su centri come il Baobab a Roma che li soccorrono, certo non possono creare programmi legali di ospitalità in famiglia.

Diverso è il caso dei richiedenti asilo. Nell’80 per cento dei casi sono giovani uomini dell’Africa sub-sahariana ?e sono ospitati in uno dei centri ?di prima accoglienza sparsi nella Penisola fino all’arrivo del giudizio
della Commissione. Anche per loro il soggiorno in famiglia, legalmente fattibile, non si è mai concretizzato, osteggiato dalle onlus che reputano l’accoglienza breve di uno sconosciuto rischiosa per ospitante e ospitato.

Invece chi ha già ottenuto il permesso di soggiorno umanitario o l’asilo politico può essere incluso in uno ?dei pochi programmi di ospitalità in famiglia. Torino, capitale italiana dell’accoglienza, si è mossa già dal 2008 in tal senso. La Caritas nel 2013 ha lanciato in alcune diocesi un programma (“Un migrante in famiglia”) che ripartirà tra qualche settimana. Infine lo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) ha da poco lanciato un progetto di accoglienza in famiglia a Parma, a Fidenza (con la onlus Ciac) e a Firenze. Roma (dove l’Arci ha avuto successo solo con due migranti ospitati da due anziani), Asti e Brescia stanno pensando se e come parteciparvi.

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