Agro Pontino, schiavi al lavoro tra i rifiuti tossici

Dai lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sugli infortuni sul lavoro emerge la situazione drammatica dei braccianti indiani nelle campagne laziali. La prima ispezione alla cooperativa ‘Centro Lazio’ ha portato alla luce violenze e condizioni di sicurezza inesistenti

Trentuno fusti da 200 litri con la scritta Telone e 70 da 50 litri di Didiclor, liquidi tossici e pericolosi abbandonati tra serre di pomodori e carote; e poi 107 braccianti assoldati con un appalto che potrebbe essere illecito e persino un caporale che avrebbe preteso denaro per assicurare il lavoro. Un lavoro pagato appena 3 euro l’ora. Ogni giorno dall’alba al tramonto i braccianti indiani stanno piegati sui campi, sotto ricatto, costretti a vivere in condizioni disumane a pochi metri dalle ville di Sabaudia, seminando e raccogliendo la frutta e la verdura che arriveranno sulle nostre tavole.

E’ questo il quadro di assenza di diritti e dignità che emerge dai lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sugli infortuni sul lavoro dopo la prima ispezione compiuta, proprio lo scorso maggio, nei 150 ettari di coltivazioni della ‘Centro Lazio’, una cooperativa che si presentava come attenta a “curare la qualità della produzione e della distribuzione”. 

«Abbiamo ascoltato alcuni lavoratori retribuiti un terzo di quanto preveda il contratto di lavoro provinciale a fronte di un terzo di ore lavorate in più, sottoposti a violenze fisiche e continue intimidazioni. Manca ogni tipo di formazione e informazione sanitaria, le condizioni di sicurezza sono inesistenti», denuncia la presidente della Commissione, Camilla Fabbri.

La ‘Centro Lazio’, con un fatturato nel 2014 di 14 milioni di euro e negli ultimi tre anni ben un milione e 440mila euro di fondi agricoli europei, avrà molto da chiarire all’Autorità Giudiziaria. A partire dalla presenza di quei fusti tossici. Perché erano lì? Per cosa venivano impiegati? Così come dovrà spiegare perché 107 lavoratori figurano come dipendenti della Evolution Services, una srl con la sede legale a Napoli e quella operativa proprio all’interno della ‘Centro Lazio’. «Manca il documento di valutazione del rischio interferenziale in ordine ad eventuali contratti di appalto ed è un fatto particolarmente grave. Il sospetto è che si tratti di intermediazione illecita di manodopera”, spiega la presidente della Commissione.

Di certo mettendo a confronto i registri anagrafici dell’Inps con quelli della Camera di Commercio della provincia di Latina la regola sembra essere quella di non essere in regola. A fronte di 16.827 lavoratori iscritti vi sono solo 3.400 aziende in grado di assumerli stabilmente, in pratica non più di una media di 5 braccianti per azienda. Una cifra evidentemente insostenibile considerando anche la complessità di tutte le fasi produttive e che può essere spiegata solo con un’irregolarità diffusa.
 
Non è la prima volta che ‘Centro Lazio’ finisce nei guai, come l'Espresso aveva già raccontato in passato. La rappresentante dell’impresa Fiorella Campa, insieme alla sorella Stefania (anche lei socia della cooperativa), era infatti già stata denunciata nel 1994 per sfruttamento, riporta l’archivio dell’Agi. Il padre, Luigi, «tuttora impegnato a sostenere le figlie con una presenza costante e vigile sul campo», come si legge in un’intervista con cui le sorelle presentano i loro progetti per diventare «un colosso dell’ortofrutta», era stato arrestato nel gennaio del 1993 con l’accusa di occultamento di cadavere e violazione della legge sugli stranieri.  
 
‘Centro Lazio’ è una delle 140 aziende associate del consorzio ‘Italia ortofrutta’. Subito dopo l’ispezione il presidente, Gennaro Velardo, aveva assicurato: «Verificheremo per capire l’origine del problema. Lo sfruttamento è inaccettabile». Ma aveva messo anche le mani avanti: «niente è giustificabile però sappiamo cosa può capitare quando la grande distribuzione chiede prezzi sempre più bassi». In seguito ha scritto anche una lettera al ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Maurizio Martina, e rilasciato un’intervista. "Non crediamo di meritarci l’appellativo di schiavisti e sfruttatori" aveva detto "anzi rivendichiamo con forza il ruolo essenziale svolto per le politiche di integrazione. Aziende che pur avendo difficoltà economiche danno lavoro agli immigrati contribuendo a impiegarli in un’attività produttiva e a limitare comportamenti sociali negativi e la delinquenza".

Un’affermazione inaccettabile per Marco Omizzolo, sociologo, presidente della cooperativa 'In Migrazione' e profondo conoscitore dello sfruttamento che vivono ogni giorno i braccianti indiani. «In questa zona le violazioni in termini di retribuzione e di sicurezza sono continue. Nell’ultimo periodo sono in aumento i braccianti che si presentano ai pronto soccorso degli ospedali della zona con sintomi tipici da intossicazione per l’uso di pesticidi che, per legge, dovrebbero essere impiegati seguendo regole e concentrazioni prestabilite e solo da operatori che hanno conseguito il patentino regionale. Lo stesso vale per le continue aggressioni che i lavoratori subiscono da “padroni” che non accettano la loro richiesta di legalità. Inoltre proprio la ‘Centro Lazio’ si era impegnata a riassumere circa venti lavoratori indiani ingiustamente licenziati dopo lo sciopero e i controlli della Commissione. Ad oggi quegli impegni risultano disattesi». 

Lui da anni raccoglie prove e denuncia e qualche settimana fa s’è trovato le gomme dell’auto squarciate. Non vi è alcuna prova che ci sia un nesso, ma è già la terza volta che ignoti lo prendono di mira. Intanto il primo agosto di quest’anno il Senato ha approvato il disegno di legge sul caporalato. Un passo in avanti significativo perché prevede finalmente di colpire i patrimoni di chi sfrutta con la confisca, ma il lavoro non è finito. «L’attività imprenditoriale agricola è paradigmatica delle condizioni di sfruttamento in totale assenza di sicurezza», spiega la Fabbri. «I controlli previsti dall'ordinamento risultano ancora poco efficaci e si deve porre rimedio estendendo le competenze dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro alla sicurezza del lavoro agricolo e punendo non solo chi fa intermediazione illecita ma anche l’imprenditore che la utilizza tale manodopera».

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