
Il Tav è l’esempio macroscopico ma non unico. Oltre al nodo ferroviario, il nuovo aeroporto e la tramvia sono il tridente keynesiano dell’amministrazione da almeno dieci anni, quando un ex scout Agesci di Rignano destinato a diventare Matteo Renzi venne eletto sindaco.
Il successore, l’ex scout Cngei Dario Nardella, si prepara al voto locale del 26 maggio. Chiunque sia il prossimo sindaco, si troverà con investimenti già fatti per circa 1,5 miliardi di euro complessivi (Tav e tramvia), con altri 1,5 miliardi da spendere (Tav, tramvia, aeroporto) e centinaia di milioni di extracosti che incombono soprattutto sull’alta velocità e sulle quattro linee di tram. In questa massa di denaro solo 350 milioni di euro sono privati, quelli che la filiale italiana di Corporación América (gruppo Eurnekian) annuncia di investire nella nuova aerostazione e nella nuova pista di Peretola. Il resto viene dallo Stato, direttamente oppure attraverso Rfi (gruppo Fs).
A prima vista lo schieramento della politica, del sindacato, dell’impresa e delle professioni è compattamente favorevole alle tre opere. La dissidenza targata M5S è un ricordo. Da quando i grillini sono al governo a Roma, i loro attivisti a livello locale sono scomparsi dall’orizzonte e anche il ministero delle infrastrutture, guidato da Danilo Toninelli, tace dopo avere affidato l’alta velocità fiorentina alla commissione costi-benefici di Marco Ponti, con Francesco Ramella e Paolo Beria in prima fila per la valutazione del nodo ferroviario.
Ma Firenze ha una tradizione civica secolare che riaffiora. Qui i comitati, i movimenti e le associazioni civiche potrebbero dare lezione di democrazia diretta sia ai seguaci del teorema Grillo-Casaleggio, sia a una sinistra che da queste parti per troppo tempo ha camminato mano nella mano con il centrodestra di Denis Verdini, politico, editore, banchiere ai comandi del fallito Credito cooperativo fiorentino, e neosuocero di Matteo Salvini.

COMITATI CONTRO TUTTI
Firenze è una città problematica sotto il profilo idrogeologico. Non c’è bisogno di risalire all’alluvione del 1966. Uno dei ponti sull’Arno, il Vespucci, a pochi passi dalla stazione di Santa Maria Novella, è chiuso da mesi per lavori. Si stanno verificando le condizioni generali della struttura progettata dall’ingegner Riccardo Morandi, dopo la tragedia di un altro ponte di Morandi, crollato a Genova lo scorso agosto. Sempre in zona centrale c’è quello che i fiorentini chiamano il lago di viale Belfiore, un buco dove una volta sorgeva l’area Fiat. Quindici anni fa, dopo la demolizione, la falda ha creato un pittoresco specchio d’acqua che a novembre Nardella ha annunciato di risanare per farci housing sociale ma anche un albergo e uffici.
Da un buco all’altro, in qualche minuto di strada si arriva alla zona della nuova stazione sotterranea ideata come nuovo hub dell’alta velocità con banchine a 25 metri sotto il livello della città. È un’area di deindustrializzazione, con i grandi edifici dismessi dei macelli e della centrale del latte. Proprio all’ingresso della vecchia Centrale di via Circondaria è affisso un cartello malinconico. È la pubblicazione dell’appalto dell’Av fiorentina che elenca la data di inizio lavori (10 marzo 2010), la data di completamento (15 novembre 2016), l’importo totale dell’opera (768,3 milioni di euro), la committenza (Rfi), l’alta sorveglianza (Italferr) e il contraente generale (Nodavia), oltre ai nomi di progettisti e direttori vari.
A cinquanta metri in linea d’aria ci sono le case di via Zeffirini, prima linea del fronte del cantiere. Dalla terrazza dei palazzi si vede il solaio della stazione. I lavori sono fermi e la spianata di cemento è popolata da una mezza dozzina di operai che sembrano aggirarsi senza meta. Fanno quel poco di manutenzione che si può fare insieme al personale della confinante linea 2 della tramvia, inaugurata due mesi fa. Lì vicino scorre il Mugnone, affluente dell’Arno esondato per l’ultima volta nel 1992 la cui messa in sicurezza ha provocato ritardi e spese impreviste. Oggi l’avanzamento dei lavori è al 20 per cento per la stazione sotterranea progettata dall’archistar Norman Foster, che avrebbe dovuto ospitare un’area commerciale di 30 mila metri quadrati.

Il tunnel di attraversamento della città, invece, non è avanzato di un centimetro diversamente da quanto si dice per alimentare la logica del fatto incompiuto. I pochi lavori sullo sbocco a nord, nella zona di Castello, per quanto di modesta entità, hanno già creato crepe ai palazzi vicini e contenzioso con alcuni residenti.
L’importo dell’appalto vinto dal general contractor Nodavia nel 2007 con un ribasso d’asta del 25 per cento è stato quindi ampiamente speso in cambio di quasi niente e i lavori sono sostanzialmente fermi dall’aprile del 2018, quando dovevano essere finiti da mesi.
Ma quanto sta costando davvero l’alta velocità a Firenze? Il 9 gennaio 2019 Maurizio Gentile, amministratore delegato di Rfi dal 2014 sopravvissuto al rimpasto grillino-leghista a differenza del numero uno del gruppo Fs Renato Mazzoncini, ha mandato una lettera all’associazione Idra, una delle più combattive sul fronte delle infrastrutture fiorentine. Gentile riferisce di 784 milioni già spesi più riserve per 130 milioni. Una scheda del Mit aggiornata a marzo parla di 1,612 miliardi in totale, escluse riserve ed extracosti. In altre parole, le spese sono fuori budget e fuori controllo. «Lo stesso Mazzoncini», dice Tiziano Cardosi del comitato No tunnel tav ed esponente di Potere al popolo, «aveva sottolineato che i viaggiatori preferiscono scendere a Santa Maria Novella, vicino ai monumenti principali. Così alla Foster arriverebbero i treni della Roma-Brescia o Roma-Bolzano che ora fermano a Campo di Marte. Parliamo forse di tremila persone al giorno. È il traffico di Pontassieve, una stazione di campagna. I sindacati dimenticano che, come dice Ponti, questo tipo di opera è capital intensive. Significa molti investimenti per pochi posti di lavoro, a differenza della manutenzione che sarebbe necessaria sulle linee esistenti». Del resto, lo stesso Maurizio Landini, contrario all’Av da numero uno dei metalmeccanici Fiom, da segretario nazionale Cgil si è adeguato al mainstream sindacale.
Eppure l’alta velocità fiorentina porta male anche ai lavoratori. Nel consorzio di imprese vincitore dell’appalto, Nodavia, si sono susseguiti stipendi non pagati, fallimenti, liquidazioni e concordati preventivi. Sono andati in crisi prima la reggiana Coopsette e la fiorentina Coestra, poi Condotte. La seconda classificata della gara, la Btp dei fiorentini Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei, ha chiuso i battenti e il gruppo è finito in bancarotta. Sul nodo ferroviario ci sono due inchieste aperte a Firenze, una per le terre di scavo e una (l’indagine “Sistema”) per l’assegnazione dell’appalto. Una terza è a Roma e riguarda la prima fresa che doveva scavare il tunnel, battezzata Monna Lisa e strapagata anche se era mal funzionante perché assemblata con materiali di scarto. Fra gli altri, sono finiti agli arresti un ex governatore dell’Umbria e presidente di Italferr (Fs), Maria Rita Lorenzetti, e Duccio Astaldi di Condotte. A dicembre un’inchiesta di Emiliano Fittipaldi sull’Espresso ha svelato il sistema di consulenze di Condotte a favore dei renziani.
Anche l’Anac di Raffaele Cantone nel 2015 ha pubblicato una relazione molto critica sull’opera. «Il 7 marzo scorso», aggiunge Girolamo Dell’Olio, presidente di Idra, «abbiamo incontrato il capo della segretaria tecnica del ministero dell’Ambiente, Tullio Berlenghi, e gli abbiamo fatto presente che manca la valutazione di impatto ambientale (Via) della stazione Foster. Quella presentata è un adattamento del progetto precedente, firmato Bruno Zevi, e bocciato. La stazione nuova obbligherebbe i turisti a prendere la tramvia verso il centro. Ma le vetture, in arrivo dall’aeroporto, sarebbero già piene».
INVASIONE AVIOTRASPORTATA
Più che un derby interno alla sinistra la vicenda dell’aeroporto di Peretola è una riedizione delle lotte medievali. Qui però non ci sono guelfi bianchi o neri. Sono tutti in sfumature diverse di rosso. La Regione guidata da una giunta di sinistra conserva una quota di minoranza (5 per cento), mentre l’azionista di maggioranza di Aeroporti Toscani (At) è il gruppo privato fondato da Eduardo Eurnekian. La seconda famiglia più ricca dell’Argentina è vincolata da un patto di sindacato con i fratelli Panerai (gruppo Class editori) e Martín Eurnekian, l’under 40 incaricato dallo zio Eduardo di occuparsi degli affari italiani, è il rappresentante del socio straniero nella holding che mette insieme Peretola e lo scalo pisano.
Ma il presidente operativo della società, quotata in borsa, è dal 2013 Marco Carrai, uno dei rappresentanti più in vista del Giglio magico renziano. A Firenze si dice che le vicende infrastrutturali abbiano visto tanti cambiamenti di opinione perché mancava l’accordo politico fra le due anime della sinistra locale, quella renziana di matrice Dc e quella cooperativista bersaniana di radice Pci. Da una fase iniziale in cui il gruppo del governatore Enrico Rossi spingeva per il Tav mentre Renzi era tiepido e Nardella era apertamente contrario, si sarebbe passati all’intesa a tutto campo: tu Regione mi dai l’aeroporto nuovo, partecipando da azionista all’investimento, e io Comune smetto di dire che la Foster e il tunnel sono inutili, aprendo la strada ai subappalti e alle forniture delle coop locali.
La tempistica dell’accordo non è stata breve e si è ripercossa sull’opera. Anche qui, come per l’alta velocità, i lavori dovevano essere completati da un pezzo cioè entro il 2018. Non è stato possibile avviarli con un governo nazionale a guida Pd. Figurarsi con il Mit e il ministero dell’ambiente a guida grillina.
Quando il 6 febbraio a Roma la Conferenza dei servizi ha dato via libera al masterplan, tappa preliminare alla presentazione del progetto vero e proprio, Toninelli ha obiettato che i 150 milioni di euro di soldi pubblici nel nuovo aeroporto erano un aiuto di Stato passibile di procedure di infrazione Ue. Nardella ha preso un volo per Bruxelles il 20 marzo ed è tornato trionfante con l’annuncio che il ministro dice il falso e che la commissione europea sulla concorrenza non intende intervenire.
Alla manifestazione anti-aeroporto di sabato 30 marzo c’erano migliaia di persone a mostrare una linea di contrapposizione civica che investe sia il modello di sviluppo di una Firenze sempre più sotto assalto dei turisti, sia il rapporto fra città e comuni dell’hinterland.
Non la vede allo stesso modo Fabrizio Tucci, architetto e consigliere Pd della zona 5 (Firenze nord). «Speriamo di partire prima possibile con l’aeroporto e con l’alta velocità», dice. «Una parte importante della zona 5 è penalizzata dall’atterraggio degli aerei in un’area fortemente antropizzata, con 12 mila abitanti interessati. I comuni vicini fanno le proprie valutazioni ma queste infrastrutture hanno un interesse più ampio e il rapporto tra favorevoli e contrari alla nuova pista è di cento a uno».
Sul fronte opposto Sergio Targetti, ferroviere in pensione e attivista di Idra, ribatte: «La conferenza dei servizi nel 2015 aveva dato parere favorevole anche all’inceneritore che non sembra si farà. La nuova pista cancella l’ultima striscia di verde della Piana, inquina un’area già satura e non eviterà i sorvoli sulle zone abitate portando a un’occupazione totale di Firenze con un modello di turismo mordi e fuggi».
Lo sviluppo di Peretola visto alla luce degli obiettivi aziendali di At prevede il raddoppio del volume dei passeggeri dello scalo fiorentino dai 2,7 milioni del 2018 fino a quota 5 milioni ai quali vanno aggiunti i quasi 6 milioni che arrivano al Galilei di Pisa con Firenze come meta principale. L’ultimo bilancio di At presenta dati ottimi, con indicatori di traffico in crescita su entrambi gli scali. Lo scorso novembre gli argentini hanno ceduto un quarto della loro subholding italiana alla Mataar 2, con sede ad Amsterdam e il controllo in capo all’Investment corporation di Dubai, il fondo sovrano che controlla la compagnia di bandiera Emirates. Si parla di investire oltre 500 milioni di euro in una società che ne fattura 132 e ha chiuso il 2018 con un profitto netto di 14,6 milioni di euro, distribuiti quasi interamente ai soci. È una scommessa non da poco se la si paragona con gli investimenti di Adr su Fiumicino: 1,7 miliardi di euro su un bacino di 43 milioni di passeggeri nel 2018. A Firenze non si bada a spese ma la città capolavoro rischia un impatto enorme.