La scuola è bocciata in edilizia

Banchi e sedie accatastati nel cortile della scuola media inferiore "Ulderico Sacchetto" di Roma. chiusa per la criticità ai solai nel 2017
Banchi e sedie accatastati nel cortile della scuola media inferiore "Ulderico Sacchetto" di Roma. chiusa per la criticità ai solai nel 2017

In un solo anno, 69 crolli. Gli istituti italiani rimangono luoghi insicuri. Con i fondi del Pnrr per interventi di recupero o nuove costruzioni persi in lungaggini varie. E divari in crescita

Uno scricchiolio, il controsoffitto che si sgretola e frana addosso a una studentessa. Non ci sono feriti, questa volta, nel conteggio delle scuole che perdono pezzi. Accade la mattina del 10 febbraio scorso, nel bagno al piano terra dell’Itis “S. Cannizzaro” di Rho. Studenti e studentesse, due giorni dopo, organizzano un sit-in: «Vogliamo sicurezza – scandiscono – non il soffitto che ci crolla in testa». Altra aula, stessa immagine che evoca scene da terremoto, ma qui a tremare non è la terra: il controsoffitto ha fatto tutto da solo. Siamo alla Spezia, Istituto “G. Capellini – N. Sauro”, lo scorso settembre: il professor Giorgio Boni sta facendo lezione in laboratorio, sente un cigolio, vede serpeggiare una crepa. Ha la prontezza di urlare, i 23 alunni si mettono in salvo. Pochi secondi dopo, le assi del soffitto penzolano tra i banchi, macerie cospargono il pavimento. È l’istantanea delle scuole in Italia: i crolli solo nell’ultimo anno (tra settembre 2023 e settembre 2024) sono stati 69; appena una scuola su due ha il certificato di agibilità (49,3 per cento) e di collaudo statico (47,5 per cento).

 

Ecco, dunque, che il Piano nazionale di ripresa e resilienza avrebbe dovuto essere la grande, irripetibile occasione: un investimento complessivo pari a 17,6 miliardi di euro, come ricorda il ministero dell’Istruzione e del Merito sul sito dedicato, che è il libro dei sogni con un programma di interventi da sei riforme e dieci linee di investimento per la parte di competenza del Mim. Ma le “magnifiche sorti e progressive” delle scuole italiane sono al palo: impigliate in una burocrazia farraginosa che blocca il 40 per cento dei progetti già in fase iniziale e amplifica i divari sia tra piccoli e grandi comuni sia tra Nord e Sud Italia. Perché per partecipare ai bandi servono competenze specifiche e personale formato, che manca. In Sicilia e Calabria – come denuncia l’ultimo report di Legambiente, “Ecosistema scuola” – un istituto su tre necessita di interventi urgenti di manutenzione. Uno su due al Sud e nelle Isole. Sono 100 i comuni (su 113) che hanno fornito dati per il rapporto: mostrano come solo 58 scuole, sul campione di 7.024 oggetto di indagine, sono costruite secondo i criteri della bioedilizia. E appena 41 sono quelle costruite negli ultimi cinque anni. 

 

«La certezza – incalza Monica Fontana, dirigente scolastica che fa parte del centro nazionale della Federazione lavoratori della conoscenza Cgil e si occupa di Pnrr – è che nel 2026 non avremo i due milioni e 600 mila metri quadrati di superficie scolastica messi in sicurezza come prometteva il Piano». L’obiettivo della “Costruzione di nuove scuole mediante la sostituzione di edifici”, poi, è lontano dall’essere raggiunto: 210 progetti in tutto, ma, su un miliardo di fondi, finora sono stati spesi 191,7 milioni (fonte Openpolis). Il 19 per cento. La situazione si fa ancora più critica in tema di asili nido e scuole dell’infanzia: 4,6 miliardi di risorse per potenziare l’offerta di 150 mila posti. Nel 2024 bisognava spendere per questo scopo 1,5 miliardi: non siamo nemmeno alla metà. I progetti in fase esecutiva sono il 20 per cento. Solo tre su cento quelli conclusi. Con l’esito paradossale che le diseguaglianze saranno ancora più profonde.

 

Il caso Messina

 

«Colmare i divari era il primo obiettivo del Pnrr. Una vocazione tradita». Graziamaria Pistorino è segretaria nazionale di Flc Cgil. Spiega che, quando si parla di edilizia scolastica, in gioco non ci sono solo muri scrostati e controsoffitti pericolanti, «ma anche il diritto universale allo studio. Voci di spesa che denotano la civiltà di un Paese». Se oggi il Paese è spaccato, il flop annunciato del Pnrr finirà per allargare la forbice. Per capire bisogna osservare i dati. Prendiamo le mense e il relativo diritto al tempo pieno: i fondi stanziati dal Piano – snocciola Legambiente – ammontano a 519 milioni di euro per 767 nuove realizzazioni o ampliamenti di spazi mensa. Qui, il Sud e le Isole partono estremamente svantaggiati: «La media degli istituti con la mensa è del 76,7 per cento a livello nazionale – sottolinea Pistorino – al Nord è del 92,2; al Centro è 80,9; al Sud è 54,3 e nelle Isole è 41,2. A Messina è il 22,6. Questo significa che un bambino del Sud, di fatto, al termine della primaria sarà stato privato di un anno di scuola, perché senza mensa non si può frequentare il tempo pieno». Ci si aspetterebbe, quindi, che qui le richieste per accedere ai fondi Pnrr siano altissime. Non è così. Pistorino mostra a L’Espresso il dato elaborato da Cgil Messina: «I finanziamenti chiesti da Comune e Città metropolitana servono per realizzare appena 13 mense, che porterebbero la percentuale da 22,6 a 24,8. I motivi? Poco personale, mancanza di formazione adeguata per monitorare iter complessi». Restiamo nella città del ponte promesso da Matteo Salvini. «Sono stati richiesti finanziamenti per otto palestre, che porterebbero la percentuale di scuole con palestra dal 23,9 al 25,3». Altro indicatore, gli asili nido. Oggi a Messina possono frequentarlo solo 1.009 bambini sotto i 36 mesi: su 12.160. «Con il Pnrr potremmo arrivare al 15 per cento. Non basta».

 

Le strutture tremano

 

Torniamo a quei blocchi sgretolati tra i banchi. Dopo il caso della Spezia, gli studenti si sono mossi in corteo: «Non staremo muti sotto tetti caduti». Lì il soffitto ora è ripristinato, a gennaio 2025 gli studenti sono rientrati in sede. «L’intervento è stato rapido e non erano fondi Pnrr – precisa il dirigente scolastico Antonio Fini – il plesso era già oggetto di lavori con investimenti provinciali. Quello che ancora manca è la manutenzione minuta, quotidiana: un bagno che perde, il riscaldamento che si blocca. Ci vorrebbe una squadra dedicata». La Spezia, in ogni caso, rappresenta un’oasi felice. Consultando la piattaforma OpenPnrr realizzata da Openpolis su dati aggiornati al 13 dicembre 2024, alla voce “Piano di messa in sicurezza e riqualificazione dell’edilizia scolastica”, l’avanzamento è fermo al 24,23 per cento: 1,1 miliardi spesi su 4,4.

 

«L’edilizia è uno dei nervi scoperti del nostro sistema scolastico – sintetizza Fontana – in Italia, nel 2023 il certificato di agibilità era presente in meno di una scuola su due con forti divari tra il Nord, al 68,8 per cento, e il Sud, al 22,6. Per non parlare del certificato di prevenzione incendi solo nel 51 per cento degli istituti. Quanto al collaudo statico, al Sud è al 27,2 per cento. Altro grande problema: efficientamento e adeguamento sismico. Il terremoto del 2016 ha creato seri problemi infrastrutturali nel Centro Italia». E qui, il report di Legambiente evidenzia come negli ultimi cinque anni gli edifici dove sono stati realizzati interventi di adeguamento sismico siano solo il 3,4 per cento. In Sicilia e Calabria – dove tutti i capoluoghi di provincia, con la sola eccezione di Caltanissetta, sono in area sismica 1 e 2 – nel 65 per cento dei casi non è stata effettuata la verifica di vulnerabilità. «Un pilastro del Pnrr era ridurre i divari – continua Fontana – invece rischiamo di cristallizzarli e amplificarli. E l’autonomia differenziata proseguirà in questa direzione».

 

Meno trasparenza

 

Per il governo di Giorgia Meloni è una «ottimizzazione di funzioni e strutture». Di fatto, è caduto uno dei pilastri dell’esecutivo di Mario Draghi: i compiti della segreteria tecnica sono stati centralizzati con la Struttura di missione, una nuova regia presso la presidenza del Consiglio. «Un accentramento e una rimodulazione continua del Piano che non hanno portato a maggiore efficienza, solo a più opacità». Se prima c’erano tavoli permanenti per la concertazione con parti sociali, enti locali e società civile – spiega Fontana – con il decreto 13 del 2023 Meloni ha messo in atto un’ulteriore concentrazione verticistica. «L’accesso ai dati è complesso e la pubblicazione da parte del governo è frutto di filtraggi ed estrapolazioni. Osserviamo difficoltà di progettazione e mancanza di specializzazione: niente assunzioni specifiche né gruppi di supporto. E pure rendicontare è complicato. Un problema strutturale». Che ricadrà sulle future generazioni.

L'edicola

Il supermarket delle mazzette - Il nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 21 marzo, è disponibile in edicola e in app