La libertà di ricerca va sì regolata ma non ostacolata, limitata, proibita nel nome di cosa, nel nome di chi

Egregi signori cittadini, onorevoli parlamentari, egregi signori della Chiesa, 
cosa manca a voi tutti, di cosa avete bisogno per capire e accettare che la scienza è un diritto, un nostro diritto umano e inviolabile al pari di tutti gli altri diritti umani e inviolabili che con scrupolosa attenzione vi affannate a sgretolare e umiliare con parole, fatti, opere e omissioni. Come possiamo ancora dirlo e scriverlo e supportarlo oltre che dimostrandovelo che la libertà di ricerca scientifica va sì regolata ma non ostacolata, limitata, proibita nel nome di cosa, nel nome di chi.

I libri sacri che pure io leggo e che ci proponete raccontano che l’uomo è un essere insicuro, incerto, sospettoso, timoroso di Dio e di ciò che non tocca, non vede, non conosce o riconosce e che si difende prima ancora di affrontare il nuovo, l’alieno, cedendo a emozioni primarie piuttosto che a un ragionamento perché quanto-costa, quanto-rischio, chi-la-strumentalizza-questa-stramba-novità.

L’apostolo Matteo, l’evangelista, l’esattore delle tasse che rinunciò al proprio lavoro per seguire il Nazareno ed essere voce, essere inchiostro delle sue gesta, scrive di un paralitico, miracolato tra i miracolati, che incontrò il figlio di Dio e si alzò in piedi per tornare a casa e usò le gambe, le sue gambe, perché era stato compiuto il miracolo e la paralisi non c’era più. “Le folle, vedendo questo, furono prese da timore e resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini”, racconta Matteo (9,8), e poi San Giustino, Arnobio, Lattanzio seppur con accuse di stregoneria, e il teologo Origene, per confutarle.

Cosa direste se vi rivelassi allora che l’uomo, il mortale, superficiale, peccaminoso uomo che pure ha un cervello e che pure lo usa a volte in modo egregio ha esercitato questo potere senza chiamare il miracolo perché non di miracoli si parla ma di un metodo rigido e preciso, del metodo scientifico. Cosa direste se vi rivelassi che l’uomo in realtà è una donna, una ricercatrice con un nome e un cognome, Malin Parmar, e che ha una soluzione da proporre per curare l’incurabile, la malattia del movimento, il Parkinson.

Succede che c’è un ramo della medicina che gli scienziati chiamano rigenerativa [da regenerare, composto di re- e generare, generare di nuovo] che mira a riparare, riprodurre o sostituire quelle cellule, tessuti, organi dell’uomo che per malattie congenite, eredità, traumi o solo invecchiamento non funzionano più come dovrebbero. Succede anche che per arrivare a tale soluzione, a una terapia per l’incurabile, Malin Parmar abbia usato cellule staminali estratte da un embrione-blastocisti, non l’embrione persona, non l’embrione uno di noi, non quello destinato alla riproduzione ma l’embrione donato alla ricerca, la ricerca della terapia.

«Nella maggior parte dei casi, non conosciamo le cause del Parkinson. Ciò che sappiamo, tuttavia, è che la malattia comporta la degenerazione di una precisa categoria di neuroni nel cervello». Lo spiega Malin Parmar durante il V Congresso Mondiale per la Libertà di Ricerca Scientifica organizzato dall’Associazione Luca Coscioni (ALC) al Parlamento Europeo, lo scorso aprile. I neuroni di cui parla Parmar sono i dopaminergici, responsabili appunto del movimento, del suo controllo. «Al momento, la terapia più utilizzata è la somministrazione di medicinali a base di dopamina. Tuttavia, l’uso di questi farmaci comporta a lungo andare un rischio alto di effetti collaterali. Abbiamo quindi studiato la possibilità di effettuare un trapianto di nuovi neuroni derivati da cellule staminali».

Era il 2002 quando Luca Coscioni, malato di SLA e fondatore dell’Associazione che porta il suo nome, avvisò l’Italia, gli italiani, che in quella “selvaggia prateria” che era il nostro Paese - o che così era stata definita per via del vuoto normativo in tema di procreazione medicalmente assistita -, si era prossimi ad accogliere una legge “disumana”. «Con quanta premura il legislatore ha ribadito nel disegno di legge 1514 il divieto degli studi sugli embrioni e sulla clonazione terapeutica. Con quanta distrazione ha omesso di specificare che le importazioni e gli studi sulle linee cellulari embrionali sono autorizzate» . L’articolo 13 della poi approvata legge 40, infatti, proibisce ogni sperimentazione sull’embrione umano che non sia diretta a tutelare la salute dell’embrione stesso ma non si cura di proibire anche le importazioni di linee cellulari estratte dalle blastocisti all’estero. Un passaporto diverso cambia le carte della dignità.

Cosa manca a voi tutti, di cosa avete bisogno per capire e accettare che la distruzione di quell’embrione, laddove debba avvenire, laddove non la si eviti con tecniche che sono anch’esse oggetto di ricerca, sia di fondamentale importanza per l’estrazione di cellule, delle sole cellule, le staminali embrionali, che sanno riprodursi innumerevoli volte e che sanno trasformarsi in ogni altra cellula del corpo.

E se dalla bocca uscirà fuori una voce, più voci che diranno sì-ma-quanto-costa-questo-ritorno-al-futuro, quanto-ci-costa salvare una vita, due vite, mille vite, nel rispetto o nell’abuso di un’altra libertà, quella di espressione, di parola, nel guaire di una democrazia deforme, chiassosa, suicida. Se uscirà fuori questa voce o più voci allora daremo i numeri e seguiremo il metodo rigido e rigoroso che è ancora quello scientifico e che non pontifica per dar pane alle masse ma si basa su regole, test, dati precisi.


«Il Servizio Sanitario Nazionale [inglese, ndr] spende in media 15.000 sterline all’anno per ogni paziente non vedente (nel Regno Unito i pazienti sono circa 700.000).  Negli ultimi dieci anni abbiamo operato 40 pazienti per un costo di circa 4.000 sterline l’uno e 16 di questi hanno ottenuto miglioramenti significativi che continuano ancora oggi. Facendo un rapido calcolo, il solo trattamento di queste 16 persone avrebbe comportato un risparmio di oltre 2 milioni di sterline per le casse del Servizio Sanitario Nazionale».

 A parlare è Peter Coffey, ospite del Congresso ALC e Direttore del London Project to Cure Blindness, un progetto di ricerca biomedica con cui ha permesso di leggere le pagine di un libro a chi fino a poco prima non riusciva a vederlo, quel libro.

Una delle 16 persone coinvolte è un novantacinquenne inizialmente affetto da una cecità che - messo dinanzi un libro - non gli permetteva di vederlo.  Oggi il libro lo vede, lo sfoglia e ne legge fino a 50 parole al minuto. Per altre due pazienti in condizioni di partenza analoghe, il risultato è stato di 60-80 parole al minuto traducibili in un miglioramento fino a 6 decimi di gradazione.  “Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa.” (Marco, 8, 22-25). Ciò che impone Coffey non sono le mani ma un tessuto di cellule staminali prelevate - ancora una volta - dall’embrione. L’operazione richiede una sola ora di tempo e il paziente - lo si creda o no - può rimanere sveglio per l’intera durata dell’intervento.

È allora necessario che si cambi la domanda, che si perfezioni il sì-ma-quanto-costa con quanto-si-risparmierebbe e con-quali-benefici.

Da qualche mese il Comitato per i Diritti Economici, Sociali e Culturali è al lavoro per la redazione di un “General Comment” - un commento generale - che fornisca chiarimenti su cosa si intende per il diritto “a godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni” (art. 15, comma 1(b), Patto sui Diritti Economici Sociali e Culturali). Questa formula così lunga e poco immediata che pure riprende il diritto “di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici” della Dichiarazione Universale del ‘48  (art. 27) potrebbe tradursi in un ben più efficace “diritto alla scienza”. Con un risparmio di molte parole si avrebbe un quadro normativo più ampio, definito e accuratamente regolamentato. Ancora una volta risparmi. Ancora una volta benefici.


Non è forse su carte costituzionali, trattati, convenzioni internazionali e non su questa o quella religione, questa o quella questione morale, che si basa il lavoro del legislatore in uno Paese democratico? Non è forse inaccettabile che il peccato si confonda col reato, nello Stato di Diritto?
Mi appello a Voi, egregi signori cittadini, onorevoli parlamentari e signori della Chiesa, affinché possiate e vogliate fornire alla scienza lo spazio che merita, l’attenzione che merita, la regolamentazione che merita come diritto umano tra i diritti umani e non solo in funzione di questi. Mi appello a Voi affinché possiate e vogliate accogliere il lavoro di menti italiane, che pure ci sono e pure contribuiscono a migliorare la qualità della vita, e Vi prego di dare loro il rispetto che meritano, gli strumenti  che richiedono, di essere orgogliosi dei loro, dei nostri risultati. Il diritto umano alla scienza.

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