Il 5 gennaio 1958 erano trascorse circa due settimane da quando la Corte d’Appello di Roma aveva condannato il giornalista Manlio Cancogni e il direttore Arrigo Benedetti per diffamazione. Il processo contro la Società generale immobiliare, per l’inchiesta sulla speculazione edilizia a Roma, non aveva dato l’esito sperato dal giornale, la delusione più forte, tuttavia, secondo Benedetti era nella reazione dell’opinione pubblica e della stampa. Già durante la pubblicazione dell’inchiesta “Capitale corrotta=nazione infetta” a colpire l’attenzione del direttore e del giornale era stata la risposta pressoché nulla dei diretti interessati (primo fra tutti il sindaco di Roma Salvatore Rebecchini) e l’indifferenza tanto dei cittadini romani quanto dei colleghi giornalisti. La critica di Benedetti, pubblicata in prima pagina, si rivolgeva soprattutto a loro, ai giornali, ai direttori e ai giornalisti che, nonostante l’ombra della dittatura fascista facesse ancora parte di un passato vicino e vivo, non avevano difeso la libertà di opinione. Erano caduti invece, secondo Benedetti, nel non meno problematico «gioco dei meschini favori» agli uomini al potere. Se gran parte della copertina era composta dall’articolo di Benedetti, il peso grafico della prima pagina del 5 febbraio 1958 ricadeva però a destra, sul richiamo - su fondo nero - alla prima parte del grande “Rapporto sul matrimonio” condotto da L’Espresso. Analizzando le risposte di oltre 700 persone, il giornale aveva creato un ritratto della crisi del matrimonio come istituzione sociale in Italia, evocando già il futuro dibattito sul divorzio.
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