Iscritto alla massoneria nel 1963, Licio Gelli venne nominato segretario della Loggia Propaganda P2 nel 1971 evitando, quando possibile, l’attenzione pubblica per tutto il successivo decennio (fecero eccezione alcune rilevanti interviste come quella del luglio 1976 a L’Espresso e quella dell’ottobre 1980 al Corriere della Sera, firmata da Maurizio Costanzo). Nel maggio 1981, tuttavia, la magistratura milanese, ovvero i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, ordinarono la perquisizione della sua villa a Castiglion Fibocchi, nell’ambito di un’indagine sul finto sequestro del finanziere Michele Sindona. È lì che la Guardia di Finanza trovò l’elenco di 962 nomi degli appartenenti alla P2. Magistrati, politici, imprenditori, giornalisti, ufficiali delle Forze armate e dei Servizi segreti. Lo scandalo fu immediato e spinse il Parlamento ad avviare una commissione d’inchiesta presieduta da Tina Anselmi. Gelli, intanto, fuggì in Svizzera dove venne arrestato il 13 settembre 1982. Meno di un anno dopo, nella notte tra il 9 e il 10 agosto 1983, riuscì a evadere dal carcere svizzero a pochi giorni dall’estradizione. Per i successivi quattro anni visse in latitanza, probabilmente in Sudamerica. Tornò in Svizzera, dove si costituì, solo nel 1987. La prima pagina de L’Espresso del 21 agosto 1983 - dal titolo di copertina “Gelli colpisce ancora” - fu pubblicata dunque pochi giorni dopo la sua fuga, con un misto di sorpresa e insofferenza per l’uomo che, nonostante tutto, con la sua latitanza mostrava di aver ancora molto potere.
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