Chef stellati e cuochi di mense scolastiche, star di locali di lusso e gestori di trattorie dei paesi più poveri: sono più di mille, di ogni nazione, i cuochi di Terra Madre, l'incontro mondiale delle comunità del cibo che per il terzo anno si ritrovano al Salone del Gusto di Torino. Insieme, intellettuali e pescatori, professori e contadini: il network unisce le raccoglitrici di foglie di baobab e bruchi di karitè, in Burkina Faso, con i produttori di macchine agricole di Cuba, i coltivatori di piante medicinali del Perù con i produttori e trasformatori di cereali del Michigan, i gelatai del New Jersey, i produttori biologici degli Appalachi centrali e di Oregon e California con i panettieri del NordrheinWesftalia, o i produttori di capperi di Salina.
Registi sapienti dei fornelli, i cuochi sono la vetrina illustre di questo movimento: esaltano profumi, sapori e colori dei prodotti della propria terra, portando ricette e tradizioni locali nell'Olimpo dell'enogastronomia mondiale, varcando frontiere e ideologie. Il prezzo delle materie prime s'impenna, le risorse scarseggiano, ma loro fanno quadrare i bilanci e alzano la qualità. Prova che si può mangiare meglio spendendo meno: è la teoria di Carlo Petrini, presidente di Slow Food, che grazie alla riscoperta delle biodiversità ha creato il più grande farmer market del mondo. "Se mettiamo in rete presidi ed economie locali, la Monsanto deve nascondersi", predica.
Un tempo considerati gli umili del mondo, i produttori locali sono diventati una potenza capace di affermare un nuovo modello di sviluppo, basato sulla differenziazione produttiva e la spesa a chilometro zero. Un'economia agricola radicata sul territorio, che fa leva su fama e abilità degli chef di Terra Madre per rivoluzionare il mondo partendo dalla buona tavola. "Il cibo è portatore della prima forma di comunicazione, la bocca serve a mangiare e parlare. Le persone sazie sono più rilassate, più disponibili al dialogo: la fame rende nervosi e violenti", ama ripetere Moshe Basson dal pulpito della Chefs for peace, l'associazione che vede lavorare insieme cuochi israeliani e palestinesi, convinti che il cibo possa essere strumento per costruire la pace.
A Gerusalemme Mosche Basson, ebreo di lingua araba, ha dato vita a un menù biblico dallo spirito ecumenico che ha portato il ristorante Eucalyptus e la cucina kosher al top della gastronomia. "Andate in pellegrinaggio da Basson per scoprire i miracoli che sa fare con i vegetali", raccomandano i magazine anglosassoni. Una star. Che ha aperto le porte di un altro ristorante, Carmei Ha'ir, a chi non può pagare, permettendo ai clienti di fissare il prezzo delle portate a seconda della loro disponibilità.
Porta i profumi delle terre d'Oriente il petalo di Begonia d'Israele, unico ingrediente d'importazione alla tavola di Anatoly Komm, il Ferran Adrià russo artefice di una rivoluzione gastronomica nata dall'incrocio tra cucina molecolare e ricette della tradizione sovietica. "Non è vero che la cucina russa non possa essere raffinata", ha detto, e ha visto il suo borsch, la zuppa di verdure tipica, sulle pagine del 'Wall Street Journal'. Nel suo Varvary (barbari), aperto a gennaio a due passi dalla Piazza Rossa, si ritrovano cacciatori di teste e architetti, che riscoprono i pelmeni, i ravioli, altro piatto nazionale, e il borsch destrutturato, una pallina che al primo morso fa esplodere in bocca un effluvio di sapori. Un locale d'élite, che però fa d'esempio a tanti. Pioniere prima nell'informatico, poi nella moda, dove col brand Koty ha introdotto nel suo paese Versace e altre griffe, Anatoly è ora a capo di una rete di ristoranti che da Mosca a Parigi diffondono l'alta cucina russa.
Una star della tv è anche Stuart Gillies, pupillo di Gordon Ramsey. Al Boxwood Café nel Berkeley hotel di Knigtshbridge, Londra, attira gourmet di tutto il mondo. Cresciuto tra New York e Roma, ha imparato a fondere cucina classica francese e tecniche italiane, apprese da una maestra d'eccezione come Angela Hartnett, artefice della fama del Connaught. Crea piatti e ricette ispirate alla stagionalità degli ingredienti: grande maestro, fa parlare la materia prima.
Qui il Giappone fa scuola: l'arte della sua cucina si esprime al meglio nel pesce crudo, in sushi e sashimi. Yosuke Imada è considerato il più grande maestro in questa disciplina culinaria, che esercita nel raffinato Kyubey, tempio sacro del sushi a Ginza. Qui si dice sia stato inventato il gunkan sushi, roll in foglia d'alga nori adornato con uova di salmone, che Imada presenterà al Teatro del Gusto di Torino.
Calde, esplosive, incrocio solare di prodotti brasiliani con tecniche spagnole sono invece le creazioni di Daniel Redondo e Helena Rizzo, non ancora trentenni ma già celebri grazie al passa parola internazionale. Da terre e percorsi professionali diversi si sono incontrati e hanno deciso di esprimere la loro intesa d'amore e professionale nel Manì di San Paolo. Dove il bacuri, frutto dell'Amazzonia sempre sulla tavola delle famiglie rurali del Brasile, la fa da protagonista insieme al tucupi, salsa a base di manioca, e alla straordinaria varietà di frutta, spezie e materie prime che in questo paese danno vita a sapori e profumi senza pari.
Il tam tam di clienti e critici diffonde nel mondo le diverse cucine locali, ma il motore che consente di trasmettere conoscenze e competenze di generazione in generazione è la formazione di nuove leve di cuochi. Una fucina di artisti dei fornelli è l'Espace Gastrotechnie o Espace Liboke di Brazzaville, Congo, ristorante e atelier di cucina, laboratorio dell'Associazione dei giovani cuochi congolesi. Alla cabina di regia, Honor Toudissa, caposcuola della Nouvelle Cuisine congolaise, che esprime "la lotta perenne tra creatività del cuoco e tenere i piedi per terra", racconta Toudissa che con le sue tapas, conduce alla scoperta dei grandi sapori della sua terra. Fa diventare magistrale un piatto di semi di zucca con succo di pomodoro, o le ignami, patate dalla buccia scura saltate al basilico; il makobé di pesce o manzo cotto dentro le foglie con legumi; i petti di pollo con semi di zucca e legumi; il safou, la prugna con pomodoro e mostarda.
Paesi poveri, con ricchi giacimenti agricoli e culinari che però rischiano di venir spazzati via dalla globalizzazione del gusto. A Dakar, capitale del Senegal, i grandi ristoranti offrono tutti cucina internazionale per venire incontro ai turisti. Bineta Diallo nel suo ristorante Le? fa il contrario. Riscopre i fondamentali della cucina senegalese, tra le più ricche d'Africa, l'ha portata nel Gotha della cucina mondiale. "Invito i bimbi delle elementari nella mia cucina per insegnare loro ingredienti e metodi di cottura. Spero che questo entri a far parte del bagaglio delle loro famiglie", racconta illustrando il thiof, la cernia bronzata, carne soda e gusto fine, e il cous cous rosso a base di fonio, cereale che si raccoglie nella savana. È come la stevia, pianta originaria del Paraguay: i suoi estratti non sono ammessi alla vendita in Europa, tranne alcune eccezioni come la Spagna, dove lo chef Enric Millà del ristorante El Dien di Lleida, in Catalogna, lo ha messo al centro delle ricette che porterà a Torino. La stevia è preziosa da secoli per indigeni sudamericani come il fonio per gli africani: secondo la mitologia Amma ha creato l'universo dall'esplosione di un singolo chicco di fonio, situato dentro 'l'uovo del mondo'. L'Unione europea ha attivato un finanziamento per la promozione di questo cereale.
Le donne sono in prima fila in questo movimento di riscossa delle biodiversità, soprattutto in Italia. Tra le pioniere Marta Grassi, allieva di Gualtiero Marchesi: una stella Michelin che fa scuola ai cuochi delle mense universitarie del Piemonte nell'ambito di un lavoro di riqualificazione della ristorazione collettiva insieme a Slow Food, con il progetto Cibo quotidiano. In collaborazione con l'Edisu Piemonte (ente regionale per il diritto allo studio) lavora alla riqualificazione delle mense universitarie. Dai 25 coperti della sua boutique del gusto, il Novara Tantris di Novara, alla gestione di una massa di studenti che consumano i loro pasti veloci tra una lezione e l'altra: come condurli per mano a mangiare in modo più sano? A riscoprire il bettelmatt, formaggio che si trova solo negli alpeggi locali, o il mais ottofile che si usa anche per fare il pane. Marta si è seduta ai loro tavoli, ha mangiato con i giovani, fatto domande, osservato comportamenti. "Chi mangia fuori casa tende a scegliere cose rassicuranti, la pasta, il pane. Ho studiato un menù giornaliero di piatti alternativi capaci di attirare attenzione e fiducia: per esempio il giorno in cui ho inserito una zuppa particolarmente importante per il contenuto nutritivo e di gusto, ho affiancato come alternativa una pasta semplice, per dirottare l'attenzione sull'altra opzione". Stratagemmi resi efficaci dai segreti che Marta insegna ai cuochi delle mense, competenze che hanno anche una ricaduta economica in termini di risparmio, cosa non secondaria in tempi di tagli alla spesa pubblica: "Materie prime sempre di stagione, aspettando il periodo di maturazione di cereali e vegetali del territorio".
Su questa strada si muove anche Giuliana Saragoni, altro emblema della cucina 'gourmet frugale', nuova frontiera che solo le donne, abituate a far quadrare i conti con le esigenze dello stomaco, potevano sperimentare. Dal 1947 la sua famiglia Saragoni gestisce l'osteria Al Gambero Rosso a San Piero in Bagno, tra Forlì e Cesena. Nel 1995 è subentrata in cucina Giuliana che, aiutata dal marito e dalla figlia Michela, ha ricercato nella tradizione gastronomica di questo lembo di terra nell'Alta Valle del Savio, al confine tra Romagna e Toscana, i 'vecchi mangiari'. E i prodotti locali, anche i più umili come erbe di campo, granturco, fagioli, fave, ceci e castagne, hanno dato vita a un ricco menù.