Sono sempre di più i maschi europei che incontrano grandi difficoltà ad avere figli. Lo dimostra una classifica stilata in base alla capacita di fecondare del loro seme. La graduatoria, elaborata su 13 paesi, vede gli italiani in fondo alla classifica insieme a turchi e svedesi. In cima, dopo il Portogallo, ci sono Spagna, Norvegia, Belgio, Olanda, Germania, Danimarca, Francia, Regno Unito e Irlanda. Lo hanno stimato i ricercatori del laboratorio di andrologia dell'Instituto Valenciano de Infertilidad di Alcante, in Spagna, dopo l'analisi dei liquidi seminali di circa 12 mila uomini. In tutti i paesi, comunque, si conferma il trend in discesa della qualità del seme maschile, sia per numero di spermatozoi, sia per la loro motilità, requisito indispensabile per poter raggiungere l'ovulo della donna. L'allarme lo daranno i medici che parteciperanno ai congressi della European academy of andrology e della Società italiana di andrologia e medicina della sessualità che si terranno in contemporanea a Roma dal 24 novembre prossimo.
La classifica, precisa Elena Sellés Soriano, responsabile del laboratorio spagnolo e della ricerca, "si basa sulla concentrazione di spermatozoi e sulla loro motilità che sono le due caratteristiche determinanti per la fertilità del seme. Si tratta del più ampio studio aggiornato sulle variazioni nazionali del seme e la capacità fecondante in Europa. Si evidenzia come le differenze in stili di vita, abitudini, esposizione a fattori tossici ambientali e professionali incidano sulle capacità riproduttive maschili". Un allarme ancor più grave visto che il continuo ed evidente declino della qualità del seme, che fa ipotizzare un aumento dei maschi sterili, è un dato omogeneo nei diversi paesi europei. "Nel 1940 si contavano nei giovani maschi europei in media 100 milioni di spermatozoi per millilitro di liquido seminale", scrive Anna Maria Andersson, del dipartimento Sviluppo e riproduzione dell'ospedale universitario Rigshospitalet di Copenhagen, in un editoriale dell''International Journal of Andrology': "Oggi nei giovani la qualità del seme è molto diminuita. Ad esempio il 40 per cento dei danesi ha meno di 40 milioni per millilitro. In queste condizioni il tempo che si impiega per ottenere una gravidanza diviene molto più lungo. Quando la concentrazione scende sotto i 15 milioni è sterilità".
Anche in Italia il trend è in aumento lento e costante, con un ritmo di circa il 5 per cento ogni decennio. E questo, spiega Andrea Lenzi, ordinario di Endocrinologia all'università La Sapienza di Roma e presidente del congresso di Roma: "È legato all'aumento dei fattori tossici nell'ambiente e allo stile di vita, soprattutto fra gli adolescenti. L'abuso di droghe, sigarette e alcol svolge un'azione nociva diretta sugli spermatozoi, così come il sempre più diffuso uso di anabolizzanti nelle palestre, anche mascherati in integratori di aminoacidi e proteine. Colpevoli sono anche lo smog urbano e le sostanze tossiche e simil-ormonali in esso contenute".
A spiegare l'origine ambientale di questa epidemia di sterilità maschile è un nuovo studio del dipartimento di Salute ambientale della Harvard School of Public Health di Boston che ha analizzato le ricerche svolte negli ultimi 15 anni sui pesticidi. Venti studi dimostrano l'associazione fra l'esposizione a Ddt, organoclorine, erbicidi, fungicidi e insetticidi e la peggiore qualità del liquido seminale in termini di concentrazione, motilità e morfologia degli spermatozoi; tre ricerche evidenziano l'associazione fra l'esposizione ai pesticidi e danni al Dna degli spermatozoi. Infine quattro studi hanno scoperto alterazioni cromosomiche negli spermatozoi conseguenti all'uso di miscele di pesticidi organofosforici, insetticidi piretroidi e carbamati. "L'esposizione a un'ampia gamma di pesticidi, sia occasionale che di lunga durata, esercita un effetto distruttivo nei confronti di molti degli ormoni coinvolti nella formazione degli spermatozoi", conclude Melissa Perry su 'Human Reproduction'.
L'ipotesi è che l'ambiente possa alterare i delicati meccanismi genetici da cui dipende la produzione degli spermatozoi. "Ad oggi sono stati identificati oltre una decina di geni che, se alterati, causano l'infertilità maschile", precisa Claudio Sette, docente al dipartimento di Sanità pubblica e Biologia cellulare dell'università di Roma Tor Vergata: "La ricerca inoltre punta a fare luce sul delicato ruolo che svolgono alcune piccole molecole di Rna (acido ribonucleico), appena scoperte, che guidano momenti decisivi per la produzione degli spermatozoi. La loro assenza porta alla sterilità. E sono molecole delicate e suscettibili alle mutazioni, che possono essere indotte da agenti tossici ambientali".
Alcuni fattori di rischio per la fertilità del maschio possono agire prima della nascita, come dimostra un nuovo studio della University of Conception a Chillan, Cile, in pubblicazione il prossimo dicembre su 'Endocrinology'. "Il feto può essere raggiunto facilmente da sostanze presenti nell'ambiente. E se queste sono ormoni o sostanze ormonosimili, le conseguenze per la fertilità sono drammatiche", spiega Sergio Recabarren, a capo dello studio: "Abbiamo somministrato dosi minime di testosterone a un gruppo di pecore nei primi mesi di gravidanza, riscontrando nei neonati maschi una diminuzione del peso corporeo, della grandezza dei testicoli e del numero degli spermatozoi, rispetto al gruppo di controllo. Possiamo affermare che gli stessi danni possano verificarsi anche negli uomini".
Gli ormoni steroidei possono entrare nell'organismo di una donna attraverso alcuni farmaci, o per l'esposizione ripetuta ad alcuni inquinanti dispersi nell'aria o nei cibi, come diossine, pesticidi, conservanti, metalli pesanti come piombo e mercurio, componenti di detersivi, sostanze chimiche prodotte dalla lavorazione di plastiche, vernici e colle. Sottolinea Andrea Lenzi: "Sono sostanze che agiscono nell'organismo come se fossero ormoni, interferendo così con i delicati processi che queste sostanze naturali controllano".
In attesa che la genetica dia una risposta sulle cause ambientali delle difficoltà degli uomini a riprodursi, gli urologi studiano quelle cliniche. "In Italia il fattore più comune nel provocare l'infertilità maschile è il varicocele, l'ingrossamento della vena del testicolo, che interessa fino al 25 per cento dei maschi e nel 50 per cento dei casi è in causa alla sterilità", sottolinea Lenzi: "Sono in largo aumento anche le infezioni, batteriche e virali, la mancata discesa del testicolo e le alterazioni ormonali. Il tutto porta a una riduzione della qualità del liquido seminale e talora delle capacità sessuali maschili". Per curare queste patologie è importante arrivare rapidamente a una diagnosi. Ma mentre un tempo la visita di leva individuava in età giovanile eventuali malattie dell'apparato genitale, oggi solo il 10 per cento degli uomini in giovane età si fa controllare dall'andrologo. Non solo, aggiunge Lenzi: "Molti interventi che sarebbero indispensabili per risolvere i difetti congeniti o acquisiti vengono rimandati. Come nel caso della mancata discesa del testicolo nel sacco scrotale, che andrebbe operato entro il primo anno di età ma, invece, viene rimandato di uno o anche di cinque, sei anni. Finendo così col compromettere le future capacità riproduttive del bambino".