Un grande farmacologo si rivolge al governo. Con un appello a salvare il 5 per mille per scoprire nuove medicine. Un settore dove, in Italia, le risorse sono già  pochissime

C'era all'origine un'idea molto buona: "Chiediamo ai cittadini di destinare una parte delle tasse che pagano a una istituzione scientifica di loro scelta". L'idea era del ministro Tremonti e aveva lo scopo di compensare con una iniziativa democratica la tradizionale avarizia dello Stato nei confronti della ricerca scientifica. L'idea era stata tradotta nel 2005 nel "5 per mille". Ogni cittadino che pagava tasse poteva destinare, per ogni mille euro, 5 euro a un ente pubblico o privato, purché fosse non-profit e che avesse come scopo l'esecuzione della ricerca scientifica o il supporto ad essa.

Con il passare del tempo, tuttavia, si possono rovinare anche le migliori idee. I cambiamenti avvennero subito: al lancio dell'iniziativa la rosa degli aventi diritto al 5 per mille aumentò, estendendosi a tutte le Onlus indipendentemente dalla loro finalità. Nell'anno successivo, venne esteso anche alle amministrazioni comunali realizzando un paradosso per cui il cittadino in realtà pagava le tasse per sostenere i servizi pubblici e poi li sovvenzionava una seconda volta con la sua scelta.

Il terzo anno vide l'applicazione di un tetto per cui il 5 per mille divenne in realtà il 3 per mille, dato che l'insieme delle oblazioni non poteva superare un totale di 400 milioni di euro. L'ultimo colpo arriva con la finanziaria del prossimo anno: se confermata, il nuovo tetto non potrà superare i 100 milioni di euro, una riduzione del 75 per cento. Ma, ha ancora senso mantenere il 5 per mille? Visto che 100 milioni per circa 30 mila possibili beneficiari rappresentano poco più di un'elemosina.

Tutti ritengono che la ricerca scientifica sia indispensabile, inclusi i politici più attenti; ma quando si tratta di prendere decisioni è molto più facile fare tagli alla ricerca che ad altro. Eppure la debolezza della ricerca scientifica del Paese è sempre più evidente: basti considerare il numero di ricercatori e la quota del Pil ad essa destinati, meno della metà della media europea. Se il governo deve reperire 300 milioni perché invece di toglierli alla ricerca, non aumenta il prezzo delle sigarette? Con 30 centesimi in più a pacchetto potrebbe mantenere il 5 per mille e al tempo stesso aiutare i fumatori a smettere un'abitudine dannosa per la salute con un conseguente risparmio per le spese sanitarie.

Silvio Garattini direttore dell'Istituto Mario Negri di Milano