Memorie

Ero giovane, bella e comunista

di Chiara Valentini   31 gennaio 2011

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La famiglia borghese. L'ingresso nel Pci. Gli amori a Praga. La gelosia di Pajetta. Il parto in Unione Sovietica. Luciana Castellina, ormai più che ottantenne, racconta un sogno del secolo scorso

Luciana Castellina era ormai fra i pochissimi protagonisti del comunismo italiano a non aver raccontato la sua storia, che pure è fra le più curiose . E se è un caso che il suo libro venga fuori in un momento di crisi come questo, non lo è che proprio dall'eretica Castellina arrivi un convinto riconoscimento del comunismo italiano. "Di essermi iscritta al Pci non mi sono pentita; di quel partito, con tutti i suoi difetti, ho oggi una struggente nostalgia", scrive a conclusione delle trecento pagine della sua autobiografia giovanile ("La scoperta del mondo", Nottetempo). Per raccontarsi la Castellina ha scelto di ripercorrere un diario iniziato nel fatale 25 luglio del '43. La quattordicenne Luciana, in vacanza a Riccione, stava giocando a tennis a casa Mussolini con la compagna di classe Anna Maria, quando la partita era stata interrotta. La famiglia doveva tornare a Roma, perché il duce era stato arrestato.

Quell'episodio, che suona come la premessa a una vita di avvenimenti fuori dal comune, aveva proiettato Luciana nel mondo degli adulti, togliendola dal suo limbo di ragazzina bene dei Parioli, figlia unica di una famiglia peraltro anticonformista per l'epoca. La madre Lisetta, grazie all'avvocato Pacelli, fratello di Pio XII, si era sposata due volte, avendo ottenuto dalla Sacra Rota l'annullamento del matrimonio con il padre di Luciana. Anche la ragazza aveva dimostrato subito un certo carattere, apostrofando dopo l'8 settembre due ufficiali della Wehrmacht: "Ve ne dovete andare". Nella Roma del dopoguerra l'incontro di Castellina con i comunisti era stato inevitabile. I ragazzi più interessanti del suo liceo, il Tasso, da Sandro Curzi a Citto Maselli a Lietta Tornabuoni erano comunisti, e simpatizzanti il gruppo dei giovani artisti suoi amici, Dorazio, Perilli, il primo fidanzato Carlo Aymonino.

Insieme scoprivano l'impegno e i movimenti culturali. "Arriva tutto, tutto in una volta", annotava Luciana. La prima tappa è il Fronte delle Gioventù, dove "il capo è un certo Enrico Berlinguer", serioso e non molto socievole, che alla riunione a Praga dell'Unione internazionale degli studenti la rimprovera per aver appeso le sue mutandine ad asciugare nella stanza dei maschi ("Ma ero la sola, credo, che a Praga quell'estate non aveva perduto la verginità").

L'iscrizione al Pci avviene nell'autunno del '47,"con la consapevolezza che poteva finir male". E pochi mesi dopo c'è la sconfitta del 18 aprile. Ma lei non si tira indietro, è passata dall'altra parte del muro che si è alzato, da un lato i comunisti, dall'altro i borghesi. Il partito la manda a fare la gavetta fra i sottoproletari delle borgate, poi approda al palazzone delle Botteghe Oscure, alla commissione femminile diretta da Nilde Jotti.

La sua "bellezza abbagliante" che mandava in tilt i compagni, le procura dei guai. "Giancarlo Pajetta, avendo mal digerito il mio no, ha poi cercato di vendicarsi per tutta la vita", ricorda. Il prescelto è Alfredo Reichlin, da cui avrà due figli, Lucrezia e Pietro. Proprio la nascita è l'occasione di un'esilarante prova di fedeltà all'Urss da parte di Luciana, che era stata convinta dal ginecologo Nello Misiti, zio di Walter Veltroni, a sperimentare il parto indolore inventato a Mosca. "Gli assistenti aspettavano solo un mio gemito per avere la prova del fallimento. Ma anche se i dolori erano terribili riuscii a non farlo vedere", racconta divertita Castellina. Questa storia nel libro non c'è. Ma è una delle tante che meritano di trovare posto in una prossima puntata della sua vita.