Da mesi ormai i due scienziati passavano al setaccio i rispettivi dati, in cerca di un'ombra di Higgs. Un compito vicino alla ricerca dell'ago nel pagliaio, tanto che non si dicevano nulla per non mettersi fuori strada a vicenda. Finché il 13 dicembre, in un seminario seguito in diretta in tutto il mondo, sono saliti uno dopo l'altro sul palco dell'auditorium del Cern per annunciare di avere non scoperto Higgs, no, ma di averlo intravisto. Tanto che se c'è davvero, ormai non può scappare.
Quarantanove anni lei, sessantuno lui, Gianotti e Tonelli sono gli spokesperson dei due esperimenti. Si traduce "portavoce", ma vuol dire coordinare il lavoro di migliaia di ricercatori, indirizzarli e motivarli, prendersi la responsabilità dei risultati. "Siamo come direttori d'orchestra", spiega Tonelli: "La nostra autorità non sta nel licenziare o aumentare stipendi. È puramente scientifica, e si perde subito se non si dimostra di saper tirare fuori il meglio dagli altri". Per Gianotti, la direzione di Atlas, che ha assunto nel 2009, è "una straordinaria avventura umana. Ma non è qualcosa che si fa otto ore al giorno e poi si stacca. Riempie ogni spazio della vita, come la musica per un musicista".
Non è un caso che entrambi parlino di musica, per descrivere il proprio lavoro. Tutti e due da ragazzi si immaginavano più artisti che scienziati. Gianotti ricorda la sua formazione classica, il diploma in pianoforte al conservatorio. "Ero una bambina molto curiosa. Ricordo lunghe passeggiate in montagna con mio padre, micropaleontologo: ci fermavamo a studiare ogni singolo fiore o insetto. Da lui ho imparato l'amore per il dettaglio, ed è quello che all'università mi ha portato a scegliere fisica. Mi sembrava il modo migliore di fare domande al mondo e trovare risposte basate sui fatti. E poi la fisica è elegante, ha molto in comune con la musica". Dopo laurea e dottorato a Milano, è arrivata qui a Ginevra nel 1994 con una borsa di studio. Non se n'è più andata.
Anche per Tonelli, toscano della Lunigiana, la scelta di studiare fisica è arrivata all'ultimo momento. "Mio padre era pittore e ho sempre avuto un'immensa passione per l'arte", dice indicando le riproduzioni di Andrea Pisano e Rosso Fiorentino dietro la sua scrivania, dove di solito i fisici appendono i loro astrusi grafici. Quando non ne può più del bosone (e succede) scappa a cantare in un coro, prende l'auto e va a teatro a Milano, o corre agli spettacoli della figlia, ballerina classica a Zurigo. Anche per lui un primo passaggio al Cern subito dopo la laurea a Pisa (dove ha tuttora la cattedra), poi una puntata negli Stati Uniti, quindi il ritorno a Ginevra.
Tutti e due ormai si sentono a casa, in questa strana "repubblica della scienza" descritta bene da Bruno Arpaia nel suo romanzo "L'Energia del Vuoto". Dove si mescolano ottomila ricercatori da ogni angolo del mondo, si mangia e si respira fisica, e la passione per la scienza abbatte le gerarchie, tanto che è normale vedere premi Nobel chiacchierare con gli studenti alla mensa. Di italiani qui ce ne sono parecchi. Altri tre esperimenti sorti attorno a Lhc sono guidati da nostri connazionali: Pier Luigi Campana, Simone Giani e Paolo Giubellino, che guidano rispettivamente Lhcb, Totem e Alice. "Non vedo come Lhc si sarebbe potuto fare senza l'Italia, che ci ha messo risorse ma soprattutto cervelli", dice Gianotti: "Il nostro ruolo è il riconoscimento a una tradizione che parte da Enrico Fermi, tramandata di generazione in generazione e tenuta viva dall'Infn". Ovvero dall'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che coordina il lavoro dei fisici italiani a Lhc.

I due esperimenti non si dividono il lavoro. "Sono progettati per fare esattamente le stesse cose, ma con tecnologie differenti", spiega Gianotti: "Ognuno ha i suoi punti di forza, ma cerchiamo fenomeni così rari che cercarli in due serve soprattutto a fare un controllo incrociato sui dati". Non al punto di tenersi sempre aggiornati però. "Rischieremmo di influenzarci a vicenda, e sarebbe dannoso per la ricerca".
Per questo, solo la settimana prima del seminario del 13 dicembre si sono incontrati nell'ufficio del direttore del Cern e hanno aperto i loro portatili. "Prima ho parlato io, dicendo che vedevamo qualcosa attorno ai 125 GeV", spiega Tonelli, riferendosi all'unità di misura che i fisici usano per pesare le particelle elementari: "Poi è toccato a Fabiola, e quando ha detto che vedeva la stessa cosa ho avuto la pelle d'oca. È presto per parlare di una scoperta, ma è stato uno dei momenti più emozionanti delle nostre vite".
Entrambi avevano capito dove Higgs sicuramente non è. Se esiste, sta in una finestra di energia piccolissima, fuori dalla quale non c'è nulla. Ma lì, si vede qualcosa. I due esperimenti registrano degli "eccessi", particelle (coppie di fotoni, per la cronaca) che sono finite sul rivelatore in numeri e modi un po' diversi da come ci si poteva aspettare, e che potrebbero essere l'impronta di Higgs. Non è una scoperta, si affrettano a ricordare i due scienziati, perché la fisica ha delle regole per usare quella parola. È probabile che quello che si è visto sia più di una serie di coincidenze. Un po' come quando si tira un dado: che esca un sei per due, tre, quattro volte di seguito è insolito, ma può succedere. Quello che si è osservato sinora non è abbastanza, ma il fatto che i dadi dei due esperimenti diano risultati simili non è un dettaglio.
Ora per Gianotti e Tonelli arriva il momento di riposarsi, ma solo per un po'. Il 2012 sarà l'anno più importante delle loro carriere, e forse l'anno più importante della fisica da molto tempo a questa parte. In primavera dovranno combinare i dati in una statistica unica, che darà una migliore visione d'insieme. A marzo Lhc, che ora è a riposo, si riaccenderà, e consentirà presto di raddoppiare i dati disponibili. A quel punto, se sul dado continuerà a uscire sei non potrà più essere un caso. Secondo Gianotti "entro la fine del 2012 arriveremo a chiudere la questione", e Tonelli non esclude una conclusione ufficiosa entro l'estate. Inutile dire che in caso di scoperta si aprirebbe la strada di Stoccolma. Ma non sarebbe la fine né del loro lavoro né della fisica. "La scoperta del bosone richiederà molto lavoro", chiarisce Gianotti: "Permetterà di rispondere ad alcuni problemi ma non a tutti. Se invece il bosone di Higgs non ci fosse, bisognerebbe capire cosa c'è al suo posto".
Rimarrà vera, insomma, la frase di Newton ("Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo è un oceano") che Gianotti cita per ricordare che il mestiere dello scienziato è prima di tutto l'umiltà. Un concetto cui fa eco Tonelli: "Noi fabbrichiamo dubbi, non certezze". Una cosa è certa: ognuno dei due farà di tutto per essere il primo ad arrivarci, ai dubbi nuovi che attendono la fisica. Qualche settimana ancora, e ricomincerà la corsa.