Ad oggi, hanno meno visitatori degli ippopotami dello zoo di Pistoia. Un disastro dovuto anche al museo che li ospita, dove i gabinetti sembrano più antichi delle due statue. Ora è quasi finito il maxi restauro dell'edificio: basterà?

Funzionerà così il rinato Museo Nazionale Archeologico di Reggio Calabria, quello che racconta la Magna Grecia intera, ma è famoso solo per due bronzee star. Funzionerà così, intorno a loro, appunto. Una grande piazza d'ingresso segnata da geometrie e riverberi metafisici che come una contemporanea scena teatrale inquadra e lascia intravedere offuscati da una tenda, i meravigliosi e potenti Guerrieri di Riace. Il Bronzo A, quello "giovane" e nervoso, e il Bronzo B che è quello più "vecchio", con grande corpo e testa piccola a causa probabilmente di un perduto elmo.

A e B (così furono battezzati da archeologi un po' scarsi di fantasia) potrebbero essere per Reggio Calabria quello che il David è per Firenze. Invece il condizionale è d'obbligo. Perché nonostante il mistero che li circonda (da dove vengono; chi erano; perchè sono qui), nonostante il miracoloso ritrovamento e l'indubbia qualità dell'opera, a differenza del David, A&B non si sono mai trasformati in icona per merchandising, magnete per turisti o logo da vendere caro agli sponsor. Anzi a tutt'oggi, secondo il "Quotidiano di Calabria", i nostri bronzei eroi hanno un terzo dei visitatori degli ippopotami dello zoo di Pistoia. E la cosa ovviamente dispiace, perché senza nulla togliere agli ippopotami e soprattutto a Michelangelo, A&B sono persino più belli del David che nonostante il fiero aspetto a ben guardare mostra un corpo da contadinotto toscano con mani grosse. Loro no. Sono alti, slanciati, perfetti. Come li volle Policleto, padre del famoso canone di bellezza accademica. Gamba avanzata, equilibrio dinamico, flessioni che rispondono a tensioni, armonia della parti tra loro e con il tutto, obbedienza al chiasmo ovvero quella tecnica compositiva che disegnando qualcosa di molto simile a una grande X porta il corpo umano a sfiorare la perfezione divina.

Così dicevano gli antichi. Così diciamo ancora oggi: bello come un Bronzo di Riace. Lo sa persino Abercrombie & Fitch storico marchio newyorkese che per vendere ai maschietti italiani (e non) camicie aperte su addominali scolpiti e jeans calati fino all'inguine, ha puntato su due modelli gemelli molto simili ad A&B. E così fu anche per Dolce e Gabbana quando, lanciando la nuova campagna di mutande maschili, dissero "abbiamo usato i calciatori perché sono i nostri Bronzi di Riace" e giù foto di gruppo con Cannavaro, Zambrotta, Gattuso tutti s-vestiti da Bronzi.

Forse è da queste considerazioni e dalla domanda "come sfruttare al meglio un tale tesoro mediatico?" che nasce il tanto discusso spot per incrementare il turismo calabrese, voluto dal governatore Giuseppe Scopelliti. Qui, un'animazione piuttosto approssimativa e ingenerosa trasforma i semidei in due "tamarri" (corrispondente calabrese del "coatto" romano o dello "zarro" milanese) che escono nudi dal museo per far zingarate tra mari e monti. Non è piaciuto. Né agli studiosi ("Questo uso irrispettoso e volgare dei Bronzi rischia di dar ragione a chi, come il ministro Galan, dice che la Calabria non li merita", tuonò Salvatore Settis), né ai calabresi ("Il Quotidiano di Calabria" fu bombardato di proteste). Ma soprattutto non è così che funziona.

"Non si incrementa il turismo facendo uscire i Bronzi dal museo ma convincendo invece la gente ad entrarci", pensa il sovrintendente regionale Francesco Prosperetti che puntò ai Bronzi appena nominato. Due opere così non si possono tenere in cantina e il museo di Reggio, dati di afflusso alla mano, era poco più di una cantina. Certo l'ideale sarebbe stato un effetto Bilbao: chiamare un archistar e regalare un capolavoro della contemporaneità agli uomini più belli dell'antichità, però i soldi... E poi a ben guardare, soffiando via la polvere, il museo costruito da Marcello Piacentini durante il ventennio aveva un certo fascino da architettura razionalista e disegnata che in tanto dilagare postmoderno non guasta. Guastava però il fatto che non ci fosse aria condizionata, che i servizi sembrassero antichi quanto i reperti, che il percorso fosse tutto sbagliato e quel tesoro di collezione intristito da vecchie bacheche e disposto secondo desueti criteri di insiemistica (tipo: tutte le ciotole a destra e gli amuleti a sinistra).

Però un museo da ristruttare costa meno di uno costruito ex novo da una firma internazionale e altisonante. E qui con 17 milioni di euro dello Stato nell'ambito degli interventi per la celebrazione dei 150 anni dell'Unità d'Italia, più 2,4 milioni dalla Regione Calabria, più una ventina di mesi di lavoro, entro l'anno lo studio di architetti Abdr guidato da Paolo Desideri è pronto a consegnare al pubblico un museo tecnologicamente perfetto, a prova di sisma, con efficienti caffetterie, fornite librerie, biblioteche e spazi didattici "comme il faut", più panoramico ristorante terrazzato. E il tutto a Reggio restando fedeli al budget e ai tempi di consegna. Come avete fatto signor Sovrintendente? "Lavorando sodo. Con turni stretti. Anche di notte negli ultimi tempi. Ma soprattutto convinti che per far dei Bronzi un'icona come la Gioconda o il David ci vuole un contesto in grado di rilanciare l'intero patrimonio regionale. Un luogo che rappresenti la punta dell'iceberg e un sistema museale che raccolga quella memoria della Magna Grecia che da Crotone raggiunge Scolacium o Sibari, sito spettacolare come le città dei Maya. Ma perchè questo funzioni a livello turistico è necessario costruire una strategia, un pacchetto di offerta che punti anche sulle infrastrutture e sulla ricettività e che dal punto di vista della comunicazione parta dalle opere simbolo: i Bronzi in questo caso". Grande responsabilità grava su A&B che per fortuna hanno spalle larghe e possenti come è noto. E ora anche una casa degna di ricevere. Sia pure con una bizzarra liturgia che a differenza di prima li mostra dal vivo solo alla fine del percorso, come le rockstar leggendarie che cantano live sempre per ultime.

Nella grande hall d'ingresso, invece, sarà solo la loro ombra attraverso una candida tenda di velo ad accogliere gli ospiti, nella rarefatta e metafisica atmosfera fatta di quinte che riprendono i geometrici disegni delle facciate piacentiniane e si sovrappongono fra ombre colorate e riverberi di colore rosso sui muri. È un intervento di un artista molto serio: Alfredo Pirri, calabrese per nascita e internazionale per fama. Ma soprattutto uomo di buona cultura che alla domanda "un tête-à-tête con i Bronzi di Riace non le ha fatto perdere il sonno?", risponde sorridente: "Quest'opera si chiama "Piazza" perché è come un palcoscenico dentro cui muoversi, guardare, assistere al miracolo di un sipario che lascia intravedere tre gioielli custoditi nel museo: i due Bronzi e la Testa del Filosofo. Una piazza luminosa, insomma, ma anche il palcoscenico di un teatro all'italiana dove appaiono gli attori di una recita dell'antico. Perché l'archeologia ha sempre in sé un elemento narrativo e drammaturgico che è connaturato con il mistero delle opere e con l'incompletezza dei reperti. Una storia, un racconto che ci arriva per frammenti e deve ancora compiersi". Come quella di questi due meravigliosi giganti, dagli occhi speciali, con lo sguardo verso il futuro. Belli come il sole di Calabria, molto più sexy del David e più misteriosi della Gioconda. Due vere star penalizzate da cattivi impresari che forse solo adesso hanno finalmente trovato il film della loro vita.

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