Il progetto di Paolo Cirio mescola hacking, arte e critica per mettere in mostra le contraddizioni del potere economico concentrato sugli atolli. Una forma di pressione per chiedere più trasparenza

Cayman: il paradiso fiscale dei veri ricchi. Quelli che possono aprire catene di società dietro cui nascondere i propri profitti e le operazioni che compiono. Quelli che cercano opacità e poche tasse. Tre hedge-fund su quattro sono domiciliati qui. L'economia mondiale, in qualche modo, si riunisce fra le vie di George Town, la capitale dello Stato caraibico, eppure delle società registrate alle Cayman non si sa praticamente nulla. Partendo da questo paradosso l'artista italiano Paolo Cirio ha realizzato Loophole for all, "Scorciatoia per tutti", un progetto che mescola hacking, arte e critica per mettere in mostra le contraddizioni del potere economico concentrato sugli atolli.

«I paradisi fiscali sono il nucleo della corruzione del nostro tempo», sostiene Cirio, che da anni vive a New York, dove ha partecipato al movimento Occupy: «Così ho iniziato a raccogliere informazioni sul fenomeno, come attivista. Volevo alzare un velo su quello che succede alle Cayman». Ovvero mostrare, ad esempio, chi si trova sull'isola. Per questo ha estratto (tramite "scraping", un metodo comune di hacking per ottenere informazioni in rete) e pubblicato gli elenchi depositati alla Camera di commercio delle Cayman: 200mila società sono venute a galla e si possono cercare oggi sul sito. «Le autorità locali sostengono che da tempo si può inoltrare richiesta per sapere se una società è domiciliata sull'isola», racconta l'artista: «Ma ogni domanda costa 35 dollari. Significa che per ottenere le informazioni che io ho messo online, gratuitamente, avrei dovuto spendere 7 milioni di dollari».

Dal motore di ricerca di Loophole4all viene fuori di tutto: catene di società che appartengono a Coca Cola o a Facebook come fondi che prendono nome da piccoli paesi siciliani. Dalle big companies agli sconosciuti: «La Svizzera è un paradiso fiscale da cent'anni, ma con Internet l'atteggiamento nei confronti di questi luoghi è cambiato», racconta Cirio: «Non sono più miliardari che portano contanti in una valigetta. Chiunque può aprire una società alle Cayman: basta pagare 600 euro e un buon commercialista che gestisca i dettagli».

Ed è così che è nata l'idea della "scappatoia" per tutti, ovvero rendere l'evasione fiscale sulle Cayman accessibile a chiunque. Dopo aver aperto una società a Londra («Mi è costato solo 20 dollari») e aver ottenuto la domiciliazione fiscale alle Cayman, dove ha anche una casella di posta vera e propria, Cirio ha messo in vendita sul sito partecipazioni alle società registrate sull'isola alla modica cifra di 99 centesimi: «Non è una provocazione, non solo. Se qualcuno volesse potrebbe utilizzare veramente quel certificato per fatturare, in Italia o nel mondo». Questo perché raramente il cliente di una partita iva va a controllare dove sia registrata. Potrebbe essere a Milano come a George Town.

Qualcuno deve averci pensato, perché da settimane, ogni giorno, quattro o cinque persone comprano i certificati in jpg per meno di un dollaro, dal sito (150 sono stati acquistati solo la prima settimana). Un pezzo di carta per dimostrare di appartenere a una società virtuale. «Sono migliaia i siti che permettono di farlo, ad altri prezzi. Io l'ho solo reso più democratico». La provocazione artistica, insomma, è diventata anche un mezzo reale: chiunque può diventare un grande evasore.

Il problema è che su Loop For All le partecipazioni sono "rubate" a società esistenti, dalla Del Monte alla Pfizer, dalla Esso alla Texas Oil. Possibile, perché gli azionisti dei fondi o delle compagnie registrate alle Cayman sono assolutamente segreti: «Dietro potrebbe esserci chiunque».

Tutto questo «non è propriamente legale», confessa Cirio: «Perché si tratta comunque di rubare identità, ma la credibilità delle Cayman all'estero è talmente bassa che non temo ritorsioni». La sua, dice, è una «forma di pressione», e spera che il risultato sia quello che chiedono da tempo le associazioni di consumatori americane: più trasparenza. «I giornali locali hanno scritto diversi articoli sul mio progetto. Sembra che la Camera di commercio sia furiosa, e spaventata. Vuol dire che in parte sto raggiungendo il mio obiettivo». Quei certificati, che sono «un atto politico», ma anche un «danno economico ai paradisi fiscali» diventeranno ora anche opere d'arte, «d'altronde, c'è la mia firma, l'autografo», dice Cirio, a cui diverse gallerie hanno chiesto di portare il progetto in mostra.