Il futuro della Scala? La sola cosa certa è la gran voglia del viennese Alexander Pereira di sedersi, nel 2015, sull'augusta poltrona di Stéphane Lissner. I segnali non mancano. Il direttore artistico del Festival di Salisburgo è ai ferri corti con il Kuratorium, il sindaco e il ministro della Cultura. Non gli sarà prolungato il contratto. Il 22 maggio si discuterà il budget 2014 della nobile istituzione austriaca e lo forzeranno a tagliare due nuove produzioni operistiche; lui ha già sforato di 2,3 milioni il bilancio di quest'anno, ma insiste che ripianerà con il botteghino e l'apporto degli sponsor. Sì, perché Pereira è ritenuto un campione assoluto della caccia allo sponsor: appena arrivato a Salisburgo ha portato un ricco contratto Rolex. In tutto ha conquistato al Festival otto milioni di denari privati. «Non mi faccio trattare come uno scolaretto», minaccia. Altrimenti se ne va.
La Scala lo attira da pazzi. Si sa gradito al vicepresidente Bruno Ermolli, l'uomo forte del consiglio di amministrazione. È di gusti flessibili, da Mozart a Verdi ai contemporanei, in un abile ping pong tra commerciale e audace. Fautore del teatro di repertorio, ha rilanciato alla grande un'Opera di Zurigo che anni fa languiva, snobbata dalla finanza elvetica. Simpatico, polemico, trascinante, amico dell'Italia, passato da dirigente Olivetti, ha radici fascinose (i Pereira erano un'antica famiglia di ebrei sefarditi fuggiti dalla Spagna e nobilitati da Maria Teresa d'Austria). Ama la mondanità, possiede cavalli da corsa, è legato a una notevole compagna 26 enne, l'ex modellina brasiliana Daniela Weisser de Sosa, che studia moda a Milano all'Istituto Marangoni; in città i due hanno anche casa, e a due passi dalla Scala.
Senonché. Senonché la Scala è Italia, e l'Italia è complessa. Dagli ovattati corridoi del Piermarini filtra ora, per la categoria "continuità con Lissner", leggi "modello Intendant all'europea" (che riunisce in una sola figura il sovrintendente manager e il direttore artistico), un secondo nome di gran livello: Pierre Audi, il direttore della Nederlandse Opera di Amsterdam. Franco-libanese di Beirut, 55 anni, figlio di banchiere, studi a Oxford, Audi si è formato nel teatro di ricerca. Prese in mano a trent'anni la Nederlandse Opera di Amsterdam, portando una Cenerentola ai più alti livelli. Versatile, esperto d'arte, spazia da Monteverdi al "Ring" wagneriano, ha coinvolto figure come Kounellis, Karel Appel, Anish Kapoor, Herzog & de Meuron, con balzi nel crossover compositivo da Alfred Schnittke al cinese Tan Dun. Molto amico di Lissner, è assai stimato da Claudio Abbado, il che può influire sul presidente del cda Scala, il sindaco Giuliano Pisapia che, in cose di musica, e di cultura in generale, sovente chiede lumi altrove. Dopo che l'alleanza Lissner-Ermolli gli ha ripianato lo scorso bilancio Scala, ma anche allungato con astuzia il contratto al francese quando (giugno 2012) si era già promesso all'Opéra di Parigi, il sindaco si è fatto più cauto e prende tempo.
Due i nomi principali, per un sovrintendente all'europea. A meno che non salti fuori un papa Francesco. Come direttore musicale, il più gradito pare Daniele Gatti. Ma non vi è solo questa opzione, nell'«incarico esplorativo» affidato a Ermolli. Crescono, infatti, le pressioni per un ritorno al modello italiano, che scinde la figura del sovrintendente manager dal direttore artistico, e vi aggiunge il direttore musicale. È il modello (cui si riferisce Severino Salvemini qui sopra) che è anche detto della triade, e ha radici nel passato: vedi le sovrintendenze di Carlo Maria Badini e di Carlo Fontana. È caro, perché dà forza contrattuale, alla forte falange sindacale della Scala, che annuncia scioperi (il "Macbeth" del 7 aprile) contro la «gestione inadeguata». E piace alla maggioranza politica che sostiene Pisapia, non esclusa la Cgil. La triade è difesa anche dai fautori della riduzione dei costi, il vero punto dolente del bilancio, che sul piano dei ricavi è invece buono (parliamo di 116 milioni l'anno, con una quota di biglietteria e contributi privati del 62 per cento, record tra le fondazioni liriche italiane).
Tra i papabili all'italiana si fa un nome veneziano: Cristiano Chiarot della Fenice (che già lavora con un transfuga della Scala, il direttore musicale Fortunato Ortombina). E un nome milanese, che non dispiace a Pisapia: Sergio Escobar, il direttore del Piccolo Teatro. Poltrona cui, secondo un gossip tra i più vertiginosi, potrebbe ambire Andrée Shammah, first lady del Teatro Parenti e vicina ai Pisapeople. Parrebbe in calo, invece, il nome di Salvatore Nastasi, influentissimo (tendenza Gianni Letta) direttore generale degli Spettacoli ai Beni culturali. Mentre nel prossimo cda qualcuno avanzerà, sorpresa pasquale, il principe dei risanatori, il manager filosofico Franco Tatò, ex Olivetti, ex Mondadori, ex Enel.
Risanare, infatti, è imperativo. Lo segnala un documento riservato, il rapporto chiesto alla McKinsey dall'allora consigliere Corrado Passera, che tira conclusioni assai dure: criticità della macchina operativa; costi del personale del 30 per cento superiori ai principali teatri d'opera europei; potenziale inespresso nel fund raising internazionale; equilibrio economico-finanziario precario. Non stupisce che non sia mai stato divulgato.
Cultura
4 aprile, 2013Pereira, Audi, Escobar. E poi Chiarot, Nastasi, Tatò... Ecco tutti i nomi in corsa per prendere il posto di Lissner
Poltronissima Scala
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