Alimentazione
La nuova dieta? Scegliere il cibo sulla base del Ph
E' la nuova moda per perdere peso: mangiare alimenti con un basso tasso di acidità. Non un miracolo, ma può aiutare. A dimagrire e a rallentare l'invecchiamento. Un famoso dietologo spiega cosa portare in tavola
Le diete dimagranti seguono le mode, dettate magari da qualche star del cinema o della televisione. Da qualche anno a questa parte sono venute alla ribalta le diete alcaline: regimi alimentari che promettono non solo di far perdere peso, ma di prevenire – e a volte pretendono di “curare” – la maggior parte delle nostre malattie, dal mal di testa ai dolori muscolari, dall’artrite ai tumori. E di rallentare persino il processo di invecchiamento.
Sembra l’elisir di lunga vita. Ma lo è davvero? Premesso che tutta la costruzione si basa sul fatto – reale – che ciò che si mangia può in qualche modo influenzare l’equilibrio acido-base dell’organismo, dobbiamo davvero credere che questo sia un altro arbitro della nostra salute? Perché una dieta alcalina (cioè basica, i due termini sono sinonimi) farebbe perdere peso, mantenendoci sani? Non solo: non sarà che, anche questa volta, la “novità” non è altro che un modo diverso per raccontare una storia vecchia? Quando scopriamo, come faremo tra un attimo, che i cibi “buoni” sono le verdure e quelli “cattivi” sono la carne e i latticini, non stiamo ripetendo quello che già sappiamo? Con un rischio, però: che i pazienti prendano per comandamenti divini le chiacchiere e si privino di alimenti essenziali. Perché se usate con buon senso anche le indicazioni del Ph ripetono quello che già sappiamo, se usate alla “talebana” possono danneggiare la nostra salute. Vediamolo nel dettaglio.
ALIMENTI ROSSI O BLU
Lo abbiamo studiato a scuola, quando l’insegnante di scienze ci faceva prendere in mano la strisciolina che immersa in un liquido poteva diventare rossa o blu: in chimica, l’acidità di una soluzione è una misura delle cariche positive presenti (H+), e viene indicata attraverso la scala pH. Normalmente questa scala assume i valori tra 0 e 14, in cui il 7 corrisponde al valore neutro: quanto più si scende verso lo zero, tanto più la soluzione è acida (e la strisciolina si colora di rosso), quanto più si sale verso il 14 e tanto più è basica (e la strisciolina è blu).
È curioso notare che gli alimenti che compongono la nostra dieta sono quasi tutti acidi e che i cibi alcalini sono in netta minoranza: come si vede dalla Tabella degli alimenti acidi e alcalini, persino le banane non hanno un potere fortemente alcalino. Di certo questo non vuol dire che mangiarle in quantità ci farà venire l’acidosi metabolica, una condizione patologica che si può verificare in alcune particolari circostanze (come conseguenza del diabete, dell’alcolismo cronico, dell’insufficienza renale, per citare alcuni esempi).
Anche perché molti dei cibi con un pH basso, una volta digeriti, producono in realtà sostanze basiche, cioè con un pH molto più elevato.
Generalizzando, si può dire che la frutta e i vegetali danno luogo ad alcali, mentre la carne, molti cereali e i prodotti caseari ad acidi. Il metabolismo delle proteine in sé può produrre sia acidi sia alcali, a seconda degli aminoacidi che le compongono, ma a conti fatti la nostrs dieta apporta di solito più acidi che basi. In una persona sana, questo non rappresenta un problema: il nostro organismo possiede infatti una serie di efficienti quanto complessi “sistemi tampone”, basati principalmente sulla respirazione e sulla funzione renale.
Il pH del nostro sangue è leggermente basico: compreso tra 7,35 e 7,45. E i sostenitori della dieta alcalina affermano che l’alimentazione dovrebbe rispettare tale valore. Ma è praticamente impossibile stabilire l’effetto cumulativo dei cibi una volta cucinati e digeriti (insieme a quello di tutti i fattori ambientali, ad esempio l’abitudine al fumo di sigaretta). Non solo: mancano ancora dei solidi dati scientifici su come uno schema alimentare di questo genere possa mettere al riparo dalle malattie o dalla perdita di alcuni minerali – ad esempio il calcio dalle ossa, predisponendoci così all’osteoporosi, come era stato ipotizzato qualche anno fa. Né, d’altro lato, ci sono prove che l’alimentazione possa portare a gravi patologie e tumori per il solo fatto di attestarsi su un livello di pH diverso da questo ipotetico valore ideale.
È vero che ciò che mangiamo influenza il pH delle urine, ma non si ripercuote in modo così semplicistico sul pH del sangue.
COSA SALVARE
Tutto da buttare, quindi? Lasciamo da parte la teoria con i suoi punti interrogativi e passiamo alla pratica. È vero che la dieta della specie umana è notevolmente cambiata in un lasso di tempo relativamente breve: l’agricoltura è stata inventata “appena” diecimila anni fa, e le industrie hanno solo due secoli. In questo piccolo arco temporale abbiamo cambiato molto la nostra dieta: meno frutta e ortaggi, più carne e proteine. Una delle conseguenze è che l’apporto di potassio è notevolmente diminuito a vantaggio del sodio: il rapporto tra i due minerali era di 10 a 1, oggi è di 1 a 3. Quindi? In questo quadro, limitare i cibi acidificanti in favore di quelli alcalinizzanti vuol dire essenzialmente mangiare meno proteine animali (in particolare carne rossa e formaggi) e meno zuccheri raffinati, per riempire la tavola di verdura e frutta, con il loro apporto di potassio e fibre. E anche di composti fitochimici “anticancro” e antiossidanti, come i polifenoli e i glucosinolati (molto abbondanti nella famiglia dei cavoli).
Mangiare in maniera “meno acida” significa anche rinunciare alle bevande gasate e ai superalcolici, fare grande uso di spezie, compreso il benefico aglio, al posto del sale, ricorrere all’olio d’oliva, alla frutta secca con guscio e al tè verde. Una bevanda, quest’ultima, che fortunatamente è entrata ormai a far parte della nostra lista della spesa. Il tè verde contiene infatti importanti polifenoli, chiamati catechine: tenendo in infusione per circa 8 minuti le foglie, si estrae una buona quantità di queste sostanze che sembrano avere una potente azione preventiva nei confronti di molte malattie.
Se consumare cibi acidificanti non determina una perdita di calcio dalle ossa (anzi, alcune proteine sono fondamentali per ridurre il rischio di fratture), aumentare quelli alcalinizzanti come verdura e frutta fa sicuramente ben alle ossa, proprio perché aumenta il rapporto potassio/sodio. Inoltre, è stato visto che frena la perdita di massa muscolare dovuta all’avanzare dell’età, e mitiga altre condizioni croniche, come l’ipertensione e il decadimento cognitivo. Anche l’apporto di magnesio contenuto negli alimenti “più basici” è importante, perché favorisce l’attivazione della vitamina D.
Insomma, alcuni dei precetti della dieta alcalina ben si sposano con quelli della dieta mediterranea. Sono però convinto che un approccio “estremo” sia da evitare. Una dieta strettamente alcalina, infatti, potrebbe implicare una forte riduzione della varietà degli alimenti. Compresa la pasta, che non solo fa parte della nostra tradizione, ma che sappiamo essere fondamentale per il nostro benessere e un utile alleato per la linea (come spiego nel capitolo successivo). Inoltre, chi segue questo tipo di regime spesso è spinto ad assumere integratori con l’obiettivo di neutralizzare gli acidi ipoteticamente in eccesso, e i cui benefici per la salute sono spesso dubbi.