28 luglio 1914: comincia la Prima Guerra mondiale. Un secolo dopo, dal Friuli al Trentino, è tempo di rievocazioni storiche, tour a tema e visite a sacrari, bunker e trincee
L’abbuffata è già lì, dietro l’angolo. Libri, film, docufiction, mostre, guide interattive e svariate App. Poi toccherà alla memorialistica e, ovviamente, alla convegnistica. Spunteranno esperti da ogni dove, si discuterà per mesi e mesi. Sull’interventismo, sui soldati vestiti di stracci, sui processi ai disfattisti. Quindi, si aprirà la saga delle commemorazioni (il termine “celebrazioni” è già stato ufficialmente bandito, a scanso di equivoci), che minacciano di durare più o meno quanto la Prima guerra mondiale: 1.250 giorni, secondo i sacri testi. Ci saranno le rievocazioni storiche, con centinaia di comparse che si sfideranno all’arma bianca: Regno d’Italia contro Impero austro-ungarico. I treni della memoria, le visite ai sacrari, i tour organizzati, le gite scolastiche. Qualcuno si spingerà oltre i tremila metri, sull’Adamello o in Marmolada, per cercare di capire cosa sia stata realmente la Guerra bianca, combattuta tra alpini e Kaiserjäger in condizioni mai sperimentate prima. Altri, più modestamente, prenderanno parte ai trekking guidati lungo i sentieri che affiancano i forti, penetrano nelle trincee, scollinano sui vecchi campi di battaglia, entrano in galleria e lambiscono i bunker.
[[ge:rep-locali:espresso:285122836]]La rincorsa è ormai iniziata. E il centenario della Grande guerra (1914-1918) sta già risollevando l’interesse storico, culturale e turistico verso i luoghi dei combattimenti tra i più cruenti e insensati della storia moderna: 650 mila morti tra le file italiane, tra cui un numero ancora controverso ma elevatissimo di civili. Dalle Dolomiti bellunesi all’Ortigara, dal Piave al Monte Grappa, è tutto un rifiorire di musei all’aperto, antichi forti ristrutturati, sentieri lungo le trincee italiane o austro-ungariche, visite guidate alle gallerie e alle antiche postazioni.
Un vero e proprio segmento a se stante, quello del “turismo cultural-militare”, su cui si stanno buttando tutti a testa bassa. A partire da Trentino, Friuli-Venezia Giulia e Veneto: le terre maggiormente coinvolte dalla Guerra bianca. Il Friuli, per dire, ha già approntato il pacchetto turistico “La Grande Guerra tra trincee, doline e Redipuglia” e un treno rievocativo verso Caporetto, con decine di figuranti; il Trentino ha candidato i suoi forti come patrimonio mondiale dell’umanità e vende il tour “Centenario Grande guerra” per scolaresche e singoli, con soggiorno da due a quattro giorni. La chicca, però, è il Sentiero della Pace: un itinerario di 520 chilometri dal passo del Tonale alla Marmolada, una colomba gialla come segnavia.
Non solo Nord, però: a Roma, una grande mostra al Vittoriano (la inaugurerà il presidente Napolitano il due giugno) segnerà l’evento. La “struttura di missione” che già si occupò dei 150 anni dell’Unità d’Italia - erano in 40, sono rimasti una ventina - ha ottenuto un ben magro finanziamento, 28 milioni in cinque anni: serviranno a risistemare alcuni sacrari (compreso Redipuglia, dove il 6 luglio si apriranno le cerimonie con un concerto diretto da Riccardo Muti) e a restaurare un centinaio di monumenti piccoli e grandi, una volta completata la mappatura da parte delle Sovrintendenze di tutta Italia. Altri 4,5 milioni destinati alle attività culturali per i prossimi quattro anni - compreso il cofinanziamento del film di Ermanno Olmi “Torneranno i prati” - consentiranno tra l’altro di allestire un portale informativo che tenga insieme le iniziative - spesso slegate - dei territori e un più ambizioso memoriale online che riunisca mappe e itinerari dei luoghi della memoria e la visita virtuale dei nuovi riallestimenti museali. Il tutto per dare una lettura unitaria della guerra e cercare di superare i due ostacoli principali di tutta l’operazione: lo scarso coinvolgimento della popolazione e la dicotomia tra nord e centro-sud.
Le regioni alpine scalpitano, ma parlare di reale coordinamento - tranne un portale web sugli itinerari - sarebbe esagerato. Per lo più, si procede in ordine sparso. Il Veneto, ad esempio, ha messo insieme le sue province interessate (Belluno, Vicenza, Treviso e Venezia) per elaborare un robusto masterplan che prevede anche il tentativo - per certo versi eroico - di dare una specializzazione ai suoi quaranta musei, che espongono quasi le stesse cose. «Per la ristrutturazione del Museo della battaglia di Vittorio Veneto, la Regione ha già stanziato due milioni di euro», spiega Marzio Favero, sindaco leghista di Montebelluna ed entusiasta presidente del Comitato scientifico. Sono già pronti i primi pacchetti turistici elaborati dalle Apt, con la visitabilità dei luoghi garantita da una fitta rete di volontari, enti e associazioni d’arma. Ci sarà anche una finta battaglia lungo le trincee del monte Palon, sul Grappa. «Ma con prudenza e serietà», mette le mani avanti Favero, «perché quella fu una mattanza terrificante».
Mentre la Lombardia si è concentrata sulla memoria digitale della guerra in Adamello e in Alto Adige si tenderà a dimenticare, più che ricordare, il Trentino ha investito molto, da almeno quindici anni, nel consolidamento delle sue vestigia di guerra. Qui, la lacerazione è doppia. Perché nell’agosto 1914, tutti i maschi tra i 21 e i 42 anni furono arruolati e mandati a combattere in Galizia e Serbia, con la divisa dell’Impero. Quarantamila trentini, cui se ne aggiunsero altri 15 mila dopo la dichiarazione di guerra del Regno d’Italia. «Partirono forti di un senso d’appartenenza all’Impero», rievoca Camillo Zadra, direttore del Museo della guerra di Rovereto, «ma le cose poi cambiarono. I soldati al fronte vissero in una condizione di perenne sospetto, il regime d’occupazione militare imposto al Trentino fu un susseguirsi di angherie, spoliazioni, requisizioni. Il mito dell’Impero andò dissolvendosi; alla lunga, questo provocò - in particolare nella seconda metà del 1918 - lo sfarinamento dell’esercito, che portò alla vittoria italiana».
Anche se il Regno d’Italia dichiarò guerra all’Impero austro-ungarico il 24 maggio 1915 dopo quasi un anno di neutralità, sono tutti concordi nel datare l’inizio del conflitto all’anno prima: il 28 luglio (attentato di Sarajevo), la data-clou. Tutti tranne il Tirolo austriaco, che farà partire il Centenario in differita.
«Noi vogliamo onorare la memoria dei caduti e ricostruire un terribile dramma europeo», spiega Debora Serracchiani, governatore del Friuli, «ma non ci nascondiamo che l’evento sarà anche un volano economico e turistico straordinario. Collaborare con Austria e Slovenia, poi, significherebbe rinsaldare legami che già esistono e rendere più forti collaborazioni internazionali attive da anni». Qualcosa si è già mosso: undici pacchetti turistici con itinerari transfrontalieri con soggiorno in almeno due località, una in Friuli Venezia Giulia e una in Slovenia, come Gorizia e Nova Goriza, Caporetto e il Kolovrat. Dal 23 al 25 di questo mese, Gorizia ospiterà la Borsa del turismo Grande Guerra, ma la partita vera è legata all’Expo 2015: dirottare una parte del turismo fieristico milanese tra gallerie e trincee sta diventando un pensiero fisso di molti.