Gruppi uniti dalla politica o dal calcio. Alla guida di una società trasparente. Il domani visto da un guru della rete

Derrick de Kerckhove, 70 anni tra pochi giorni, è uno dei più conosciuti sociologi di Internet a livello internazionale. Già allievo di Marshall McLuhan, docente universitario a Toronto e a Napoli, studia da anni gli effetti della rivoluzione digitale nei comportamenti umani e nell’interazione fra persone. In questi giorni è stato ospite del Festival Biblico di Padova (dove ha parlato del tema “Dalla Bibbia al selfie: l’inconscio connettivo”) e dei “Dialoghi sull’uomo” di Pistoia, per un incontro pubblico sulle conseguenze sociali della condivisione di massa di contenuti e dati.

Professor de Kerckhove, nelle sue ultime riflessioni lei ha elaborato il concetto di “inconscio digitale”. Che cos’è?
«La quantità di dati che appare on line su di ciascuno di noi crea un’identità di cui nessuno è pienamente consapevole. Un nostro io digitale tracciabile da chiunque ma che sfugge, appunto, alla nostra coscienza. Questo inconscio digitale che si trova nel Big Data e ha effetti sulla nostra vita paragonabili a quello scoperto da Freud».

Intervista
Il marketing è morto, parla il guru David Shing
16/5/2014
Perché?
«Perché la sua esistenza incide sul nostro capitale di reputazione, quindi sulla nostra vita relazionale, professionale, emotiva, sentimentale e così via. E tutti questi aspetti cambiano a seconda della nostra capacità di curare la nostra personalità digitale, cioè tutti i nostri avatar, i nostri profili sui social network, i contenuti che contengono pezzi della nostra identità diffusa».

Ecco: come cambia l’identità dell’essere umano?
«Diventa più fluida, mobile, plurale, parcellizzata: perché le componenti del nostro io - quelle che creano l’inconscio digitale e a cui chiunque può accedere - sono tante, sparpagliate e magari anche contraddittorie. È l’effetto di una tracciabilità completa. Lo diceva già McLuhan: la natura dell’elettricità è di portare alla trasparenza».

Cioè un mondo in cui ciascuno di noi è spiato da tutti gli altri?
«Il concetto di spiare implica che uno è visto (lo spiato) e uno non è visto (chi spia). Invece qui dobbiamo pensare a una società reciprocamente trasparente: chiunque vede ed è contemporaneamente visto. Quindi si crea una trasparenza simmetrica: ad esempio, il cittadino non può più evadere le tasse, perché il suo reddito e i suoi consumi diventano pubblici e l’etica della trasparenza farà sì che non pagare le tasse diventi una “vergogna pubblica”; per contro, lo Stato non può più sprecare le sue tasse, perché i cittadini ne controllano l’utilizzo».

Ma quello in cui tutti guardano tutti è uno scenario augurabile o no, nel suo complesso?
«Non è uno scenario: è un treno ad altissima velocità e in piena corsa, da cui quindi non si può scendere. Quello che possiamo fare, semmai, è imparare a gestire e a curare in qualche modo i dati pubblici su di noi, a partire da quelli che mettiamo noi stessi. Questo è uno dei settori educativi su cui una società matura dovrebbe investire di più, invece siamo lasciati soli di fronte a questo compito. Ma la trasparenza è la condizione dell’uomo del futuro. E sto parlando di un futuro molto prossimo».

Però si parla molto di diritto all’oblio, cioè della possibilità di un utente di far sparire alcuni suoi dati vecchi. La Corte di giustizia dell’Unione ha appena emesso una sentenza contro Google su questo...
«Resistenze residuali. Il diritto all’oblio era un concetto sbagliato dall’inizio: invece di educare le persone a gestire i dati su di loro, si è pensato che bastasse cancellarne alcuni con una legge o una sentenza. Ma è come svuotare il mare con le mani. Caso mai la decisione della Corte di Bruxelles pone un’altra questione più interessante, di carattere storico».

E cioè?
«Quali e quanti tentativi di resistenza incontrerà il treno della trasparenza e della tracciabilità? In passato ci sono state guerre secolari per l’affermazione culturale della preminenza dell’individuo sul gruppo: oggi c’è da chiedersi se e quali conflitti incontrerà il percorso opposto, cioè la prevalenza del gruppo sull’individuo, che è uno dei più immediati effetti della trasparenza».

Perché?
«Perché le affinità condivise e trasparenti portano le persone a farsi gruppo, tribù. Che poi questi gruppi si formino su un’idea politica, su un prodotto, su una squadra di calcio o un abitudine alimentare, è secondario. Andiamo verso una società formata meno da individui e più da tribù. Ma questa è solo una delle conseguenze del percorso che stiamo vivendo. Ce ne sono anche altre».

Ad esempio?
«La prevalenza emotiva: la Rete diventa sempre di più una sorta di sistema limbico sociale, in cui cioè le emozioni sono preponderanti. E poi diventeremo per forza di cose meno ipocriti e più indulgenti con gli altri, cioè ci sarà un’accettazione reciproca maggiore; in piu è probabile che la problematica sessuale non avrà la stessa forza d’attrazione sull’immaginario comune; se tutti sanno che io vado a vedere un sito pornografico o che tradisco il mio partner, queste cose non susciteranno più la stessa riprovazione sociale».

E dal punto di vista politico?
«Anche chi prende decisioni diventa tracciabile quindi è costretto sempre di più a rispondere in modo continuo e trasparente: questo diventa il principio di base della legittimazione politica, che passa attraverso la fiducia mutuale e un equilibrio via via più simmetrico fra utenti e potere. Vale per i politici ma anche per le corporation, le aziende: La tracciabilità dei comportamenti riguarda tutti».

Un bene, per la democrazia?
«La democrazia come viene concepita oggi corrisponde a un’etica sociale nata con la Rivoluzione Francese. Ma adesso sta cambiando l’etica sociale: e il ruolo dei gruppi nel controllo dei servizi, dell’amministrazione e delle decisioni diventa talmente continuo e in tempo reale che forse bisogna pensare a una nuova parola. “Democrazia” non basta più, è diventato un termine troppo debole. Come si può chiamare una società in cui appena due operai del Comune scavano una buca per strada tutti sanno immediatamente a che cosa serve, quanto costa, quanto devono durare i lavori, quanto sono pagati quegli operai, com’è stato deciso l’appalto e così via? E ancora: la democrazia attuale è impostata sull’individuo e sui suoi diritti, mentre quella di domani - comunque la si chiami - sarà basata sui gruppi, sulle rete di connivenza, sulle tribù e sui loro interessi».

Ma la felicità delle persone, in questo quadro di tracciabilità e di trasparenza reciproca, aumenta o diminuisce?
«La felicità è una predisposizione interiore: non c’entra con la Rete, con la trasparenza, con la tracciabilità. Né con i loro effetti sociali, politici o culturali. Internet non porta né felicità né infelicità».