Dopo anni di tagli insensati, ben vengano ?le agevolazioni e le assunzioni di addetti ai beni culturali. Però non dobbiamo fermarci qui

Salvatore Settis
Cinquecento assunzioni permanenti di addetti ai beni culturali. Aumento del bilancio del ministero dell’8 per cento nel 2016 e del 10 nel 2017. Art Bonus stabilizzato al 65 per cento. Buone notizie, dopo anni di colpevole inerzia. Quando il governo Berlusconi tagliò un miliardo e 200 milioni l’anno, scrissi che «tagli di tale entità configurano ?la messa in mora del Ministero» ?(“Il Sole-24 Ore”, 4 luglio 2008), paralizzando la tutela del paesaggio ?e del patrimonio storico-artistico prescritta dalla Costituzione. Dai banchi del governo fui invitato a dimettermi da presidente del Consiglio Superiore, ma l’opposizione di centro-sinistra protestò vivamente contro le sconsiderate decurtazioni. Da allora, peraltro, nessuno ha posto rimedio a quei tagli.

Anche gli esponenti Pd che nel 2008 attaccarono Giulio Tremonti e Sandro Bondi, complici di quella ferita mortale ai Beni Culturali (le cui conseguenze ?si sono viste nel tempo), una volta al governo hanno fatto nuovi tagli, anche se da tagliare era rimasto ben poco. Perciò le misure annunciate dal ministro Dario Franceschini per la nuova Legge ?di Stabilità sono davvero una buona notizia.

Ma basta così? Certamente no.

Prima di pugnalare alle spalle il suo ministero, Bondi aveva dichiarato alle Camere che «l’Italia è agli ultimi posti ?in Europa per la percentuale della spesa in cultura (0,28 per cento della spesa pubblica contro l’8,3 di Svezia e il 3 per cento di Francia)», aggiungendo «mi impegno ad invertire questa tendenza negativa». Le nuove misure sono lontane dal ripristinare il bilancio del 2008, peraltro già insufficiente. Intanto si moltiplicano le urgenze, in particolare sul fronte del paesaggio (solo Toscana e Puglia hanno finora prodotto i prescritti piani paesaggistici), mentre le Soprintendenze sono paralizzate dalla mancanza di personale. Bene dunque le nuove misure: ma solo se sono il primo atto di una tardiva ma necessaria presa di coscienza del governo.