Cinema

Harrison Ford: "Il mio Ian Solo è lo stesso di prima, soltanto un po' più vecchio"

di Silvia Bizio   30 ottobre 2015

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Il debutto 38 anni fa. E il settimo episodio in arrivo a Natale. In questo colloquio con "l'Espresso" il grande attore racconta il ritorno di "Guerre Stellari". E spiega perché ha accettato di rimettere i panni del personaggio passato alla storia tra i cultori della saga. Nel nome dell'amore per il volo

«Torre di controllo, May Day», dice una voce calmissima. È la voce di Harrison Ford, ma non sta interpretando Ian Solo, non è una scena di “Guerre Stellari”: è vita vera. «Avaria al motore, compio curva a U e tento riatterraggio immediato», continua la voce. Ford, che è notoriamente un fanatico di aviazione e aerei, pilota esperto e veterano, è appena decollato dal Santa Monica Airport (Los Angeles) con un piccolo monoelica stile Seconda guerra mondiale, un pezzo vintage dell’aeronautica. Subito dopo il decollo l’unico motore s’imballa. Per evitare lo stallo il pilota compie una virata a 180 gradi e tenta di riguadagnare la pista. Niente da fare.

Il velivolo non ce la fa, perde quota. Allora Ford guarda in basso, scorge un campo da golf, punta prima la buca 7, poi un albero: volutamente fa sbattere le ali del piccolo aereo sulle sue fronde per diminuire la velocità, ci riesce, poi atterra e frena in meno di dieci metri. Sul campo da golf resta un solco profondo, nessuno dei giocatori è stato toccato. L’aereo è distrutto, l’attore è vivo ma ferito - costole fratturate, un polmone schiacciato - ma vivo. Però ci mette qualche mese per riprendersi e per tornare in campo a presentare un film: ed è proprio “Star Wars: Il risveglio della Forza” (nelle sale italiane dal prossimo 18 dicembre, in quelle americane qualche giorno prima ), settimo capitolo della saga in cui Ford interpreta il più famoso temerario delle macchine volanti del futuro, Ian Solo.

E non è solo un vero pilota: quando incontri Harrison Ford è evidente che non è solo fumo e specchi, un gioco d’illusionismo, ha davvero qualcosa di speciale. È un bravo attore, si sa, ha una faccia e una voce unica, a 73 anni è ancora un bellissimo uomo, ma è anche un personaggio al di fuori del cinema, al punto che forse faranno un film su di lui. E quanti autori di narrativa immaginano i loro eroi con il suo volto? Lo ha ammesso di recente il giallista Michael Connelly per il suo Harry Bosch, e anche Dan Brown per il Robert Langdon del “Codice Da Vinci” (anche se quel ruolo poi è andato a Tom Hanks - Harrison Ford era impegnato).

L’abbiamo incontrato un assolato giorno di ottobre all’hotel Four Seasons di Beverly Hills. Dal balcone si vede la pista del Santa Monica Airport: i suoi piccoli aerei sono ancora lì, non ha certo smesso di volare... Ford veste come sempre casual, jeans e camicia di flanella azzurra, e come sempre ha l’aria molto tranquilla: parla lentamente, misurando le parole, a volte cercandole a lungo. È notoriamente un timido, uno di poche parole, un personaggio schivo, chiaramente non a proprio agio in sede di intervista: proprio come uno se lo immagina vedendolo nei suoi film.
Cinema
Harrison Ford, una carriera tutta all'azione
3/11/2015

Ormai ricchissimo, vive con la sua compagna, l’attrice Calista Flockhart, in varie “dimore”, soprattutto una fattoria in Wyoming. Gli piace ancora lavorare con le mani: era falegname e costruttore prima di diventare famoso con “American Graffiti” (1973) e il primo “Guerre Stellari” (1977) entrambi di George Lucas. Tra un’audizione e un’altra si era fatto una reputazione come falegname - così manteneva la famiglia. Il musicista brasiliano Sergio Mendes, trasferitosi a Los Angeles nel 1974, chiese proprio a lui di costruirgli uno studio di registrazione nel giardino della sua villa a Los Angeles. Ford lo fece con tale abilità che ancora oggi Mendes registra in quello spazio insonorizzato tutto di legno.

Fa pochi film, e li sceglie bene. In “Adaline”, uscito in Italia in primavera, era l’innamorato sfortunato che aiuta la protagonista a sopportare il peso dell’eterna giovinezza. E l’anno prossimo si appresta a girare un seguito di “Blade Runner”, altro mitico film degli anni Ottanta di cui è stato protagonista. Ma il pubblico di tutto il mondo, giovani e no, lo aspetta con ansia quasi spasmodica nel nuovo episodio di “Guerre Stellari”. “Il risveglio della forza” continua la saga iniziata 38 anni fa da George Lucas e arriva a ben 32 anni dal sesto episodio, “Il ritorno dello Jedi”.

Scritto dal noto sceneggiatore americano Larry Kasdan (che aveva scritto anche il quinto episodio di “Star Wars”, “L’impero colpisce ancora”), e diretto da J.J. Abrams, riunisce i membri più amati del vecchio cast: oltre a Harrison Ford c’è Mark Hamill (Luke Skywalker) e Carrie Fisher (la principessa Leila). Accanto a loro, un nuovo cast di giovani attori: Oscar Issac, Daisy Ridley, Gwendolyn Christie e John Boyega.

La saga riparte, e continuerà a lungo: sono stati già annunciati i registi dei prossimi due episodi. Rian Johnson dirigerà l’ottavo film, che dovrebbe uscire nel maggio 2017, e Colin Trevorrow (“Jurassic World”) l’episodio IX, previsto per il 2019. Chissà se Ford/Ian Solo sarà in quei due prossimi film: «Dirlo equivale a raccontare metà trama», dice l’attore, «quindi non ci penso nemmeno a rivelarlo. Ma posso garantire che abbiamo un film meraviglioso! Di questo sono sicuro. Anche perché c’è un nuovo grande partner, la Disney, che ha dimostrato un grande rispetto per George Lucas e quello che ha creato». Come vedremo, non è l’unica risposta reticente di un’intervista per il resto aperta e cordiale.

Che cosa ci può dire allora sul nuovo “Guerre Stellari”, e sul suo grande ritorno?
«Niente. Proprio niente. Posso solo dirle che non è molto lungo, né troppo corto, che entra perfettamente sullo schermo, che ha una meravigliosa musica di John Williams e che continua in modo molto soddisfacente la storia e i rapporti fra i personaggi che tutti conosciamo e che sono legati ai primi tre film originali. Non voglio fare il prezioso, ma naturalmente nessuno di noi vuole rovinare l’opportunità del pubblico di vivere un’esperienza unica quando entreranno nei cinema a vederlo! Come quando il pubblico andava a vedere il secondo e terzo film di “Guerre Stellari” senza sapere se e quando ci sarebbe stato il salto nello spazio. J.J. Abrams è un fantastico film-maker e prometto che farete una bella gita con lui: nessuno chiederà indietro i suoi soldi».

Ci dica la verità: ma lei l’ha già visto?
«Non posso dire neanche questo. Diciamo che ho visto abbastanza da sapere che sarà un bellissimo film! Del resto questo tipo di film vengono finiti il giorno prima di arrivare al cinema: è incredibile la quantità di lavoro che Abrams e il suo gruppo hanno messo nel film fino ad ora, e quanto lavoro ci sia ancora da fare. Lui ci lavorerà diligentemente fino all’ultimo momento. Essere un regista deve essere una cosa snervante. Io mi limito a recitare e arrivederci e grazie: ma per un regista e la troupe tecnica il set è solo l’inizio: la post-produzione è la parte più dura del fare cinema oggi. Ma l’entusiasmo di Abrams è contagioso ed entusiasmante».

È così giovane...
«Mica tanto! Era giovane! Pensi che ho fatto il suo primo film, “A proposito di Henry”, con Mike Nichols: l’aveva scritto J.J. e aveva solo 23 anni! Non è tanto giovane come sembra, è davvero molto energico. E tutto il suo gruppo è fantastico, si è circondato di gente perfetta, mi sono molto divertito con loro».

Come si sente circondato da questo strano nuovo universo di “Guerre stellari”?
«Ha un’aria di casa. Ma è sempre una grande sfida riuscire a farlo nel modo giusto. Io come attore, quando torno a recitare di nuovo un personaggio, sento sempre un senso di responsabilità nei confronti del pubblico: devo portargli una nuova dimensione, nuovi aspetti, fargli capire meglio quel personaggio, approfondire il rapporto che gli spettatori hanno con lui. Ho cercato di fare la stessa cosa con tutti gli Indiana Jones: ad esempio introducendo il personaggio di suo padre, che è stata inizialmente una mia idea. In questo senso mi sono divertito molto con Abrams: è molto collaborativo e disposto a esplorare novità. Ma allo stesso tempo sa benissimo quello che vuole, ha idee molto chiare e si rende conto benissimo dello sforzo che realizzare quelle idee richiede a tutti. Ci siamo trovati in totale sintonia su come reinventare il personaggio di Ian Solo».

Com’è stato “reinventato” quindi il personaggio di Ian Solo?
«Ian Solo è lo stesso che ricordiamo: solo più giovane e bello di prima, naturalmente! Sto scherzando, ovviamente: non abbiamo ignorato il passaggio del tempo, ma è sempre Solo e il pubblico sarà molto interessato a vedere cosa gli è successo dall’ultima volta in cui l’abbiamo incontrato, e che ruolo ha nella nuova storia. E posso assicurare che è sempre lui: l’impaziente, umano, spiritoso, incazzoso Solo!»

Continua anche a volare?
«Certo, Solo è il solito temerario, e con lui c’è il solito, fedele Chubaka, amico e socio peloso. Una strana coppia, Solo e Chubaka...».

Per anni lei è stato recalcitrante all’idea di tornare nei panni di Ian Solo. Perché ha cambiato idea?
«Perché lo hanno finalmente reso interessante per me. E per il pubblico».

Che cosa significa Ian Solo per lei?
«Una benedizione che per anni temevo fosse un’ossessione. Molte volte in passato ho detto che Ian Solo era un personaggio insipido, che non avevo nessuna voglia di tornare a incontrare. “Guerre Stellari” è stato parte integrante dell’inizio della mia carriera ad Hollywood, e sarò sempre grato a quel film, ma onestamente non avevo mai pensato che ci sarei tornato sopra. Però dopo aver letto il copione di Kasdan mi sono sentito molto gratificato e anche emozionato: perché ho letto una storia che era veramente notevole, ben scritta, con degli sviluppi davvero intriganti. Del resto Kasdan è uno dei nostri film-maker più originali: lo stesso che aveva scritto “I predatori dell’arca perduta”, oltre che autore e regista di “Il Grande Freddo” e “Brivido Caldo”, due cult degli anni ’80. Il risultato è un “Guerre Stellari” forse retrò, coi grandi talenti di quegli anni. E lo stesso posso dire dell’eventuale nuovo “Indiana Jones”: Spielberg, Lucas, Kasdan, ed io. Qui lo dico e qui lo nego: saremo un grande quartetto!»

Come cambia il tema rispetto alla trilogia originale di “Star Wars”?
«Non penso ci sia una differenza nel tema, è solo uno sviluppo. Ed è una progressione naturale rispetto alle storie che abbiamo raccontato nei primi tre, e forse un completamento emotivo delle esperienze che tutti abbiamo avuto nei primi film. Certo la tecnologia si fa sentire, non ho più dovuto dire battute del tipo: “Ci vorrà qualche minuto perché il computer Nava calcoli le coordinate!”: ne sono grato a Larry!»

Le nuove tecnologie hanno influenzato anche la recitazione di questo film? L’hanno resa diversa dai precedenti?
«No: certo le tecniche di ripresa possono essere cambiate, ma io sono sempre stato cauto nei confronti degli effetti speciali perché possono dominare un film a discapito della storia, e puoi sempre ritrovarti con un fritto misto che non ha abbastanza contesto emotivo. Però in questo caso sono tranquillo, mi sento di dire che in questa particolare realizzazione di Guerre Stellari non c’è un simile pericolo. È ovvio che nel film ci sono un numero infinito di effetti in computer grafica, ma Abrams voleva un risultato autentico, quindi ha costruito tutto (gli esterni sono stati girati ad Abu Dhabi e gli interni negli studi Pinewood di Londra, ndr). Sono state costruite centinaia di creature, mosse ognuna da cinque persone, con una tecnologia robotica che è la più avanzata che esista. Ciò detto, senza la bellissima storia che c’è dietro, tutta quella tecnologia non significherebbe niente».

Lei è un appassionato di fantascienza?
«Niente affatto. Né di film, né di libri. Mi sono divertito molto a leggere “The Martian”, da cui Ridley Scott ha tratto il suo ultimo film: ma è più scientifico che fantascientifico. Non ho mai avuto particolare affinità per la fantascienza, tendo a leggere più fatti che finzione, libri su problematiche contemporanee, sulla mortalità, libri di storie. E leggo cose che riguardano i miei interessi, come salvare la natura, l’ecologia, e il volo, naturalmente. Leggo qualsiasi cosa abbia a che vedere con il volo e l’aviazione. In questo sono davvero Ian Solo!»