Che New York abbia problemi con le coppie gay, nel ballo, è un fatto. Non il Village dello Stonewall e delle rivolte per la liberazione, non la Hell's Kitchen tutta drag-queen e cabaret, non lo Stato che quattro anni fa ha approvato la legge sul diritto al matrimonio omosessuale. La New York che resta indietro è quella che fatica ancora ad accettare una coppia dello stesso sesso nel mondo del tango. La danza dei milongueros è metafora di passione e, per tradizione, un concentrato d’archetipi eterosessuali, con il maschio dominante e la donna che si strugge di desiderio per lui. Oggi, preparatevi a gettare quel modello arcaico nel cestino, perché il tango si fa queer. A cominciare da quella che credevamo una delle città più libere al mondo: in risposta alla totale assenza di corsi di tango dove l’uomo può sedurre un altro uomo, una donna un’altra donna, e prendersi per mano, un gruppo di professionisti argentini sfida i codici del ballo nella Grande Mela. Si comincia dal New York Queer Tango: una settimana di party, master class e festival a passo di tango, tra lo storico Studio 54, uno shake Madonna-Erotica-salsa ad Astoria, e gala ispirati a Rodolfo Valentino, attore e ballerino del cinema muto, un mito anche nell’America degli anni Venti.
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Tra i primi a prendere a cuore la causa del queer tango a Manhattan, ecco Walter Perez e Leonardo Sardella, partner nella vita, ballerini ed insegnanti al Malevaje Tango. “Nonostante New York si professi libera e sfrontata, manca ancora la cultura del tango gay e lesbico” ci dice Walter mentre nella sua casa nell’Upper East fa spazio tra pianoforti, bautte veneziane e scarpette da ballo. “Faccio un po’ di ordine. Ospiterò per l’intero mese di ottobre quattro insegnanti da tutto il mondo: daranno una mano a me e al mio compagno a dimostrare che il tango non è solo un affare da macho”.
Walter Perez balla da ventuno anni e vive a New York dal 2000. E’ stato ospite lo scorso anno del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli a Roma: “Mi hanno permesso di insegnare il tango all’interno dell’associazione con un gruppo di Queer Tangueras, da una parte, e Balloromo dall’altro. Ci siamo divertiti, le classi erano piene di persone; una notte siamo finiti tutti in piazza e poi al Gay Village, data l’affluenza”. E a New York? “All’inizio, quindici anni fa, ricordo di essermi sentito subito a casa, soprattutto nel tango: non dovevo più fingere di essere etero né sciovinista. Poi mi sono accorto che le coppie gay e lesbiche qui non si mettevano in mostra. Non ballavano. ‘Ma dove sono finite?’ mi chiedevo. Da quel momento ho pensato di coinvolgere il mio partner in una piccola grande battaglia civile: divulgare la cultura del queer tango”. A New York, nel 2010, c’era già stato un evento a tema, il Queer Tango Festival organizzato dal produttore e performer Sergio Segura. Cancellato dopo una sola stagione. Da settembre a novembre Serra presenta il Rainbow Tango, una serie di classi dedicate al tango dove le coppie sono miste o aperte, e ha in cura gli eventi dello Strictly Tango, la scuola che dirige a Midtown. Poche settimane fa, Claudio Marcelo Vidal, primo uomo a competere in occasione dei World Tango Championships, con il partner Sidney Grant, ha dato la sua dimostrazione in una open house. E al tempo stesso sono sorte ulteriori iniziative legate alla raccolta fondi e alla campagna di sensibilizzazione contro l’AIDS. “Lentamente il queer tango si sta diffondendo - prosegue Walter Perez - e in tutto il mondo, ora, possiamo dire di assistere a un vero movimento di queer tango, che ha avuto inizio con tre performer tedeschi di prim’ordine: Ute Walter, Marga Nagel e Felix Volker Feyerabend”. I tre sono stati i pionieri del primo Queer Tango Festival ad Amburgo nel 2001. Il movimento si è esteso a Berlino, Parigi, Copenhagen, San Francisco, Seattle e Roma. Persino nella Russia antigay, a San Pietroburgo e Mosca, si tengono lezioni segrete per omosessuali, lesbiche e trans. Il Festival Internacional de Tango Queer esiste dal 2007 a Buenos Aires, una città invasa ancora dai più tradizionali milongas, dove uomini e donne siedono all’opposto della pista da ballo e le donne attendono pazientemente di essere invitate a danzare. “Era un tortura per me dover corteggiare una donna - dice Walter - perché il motore del tango è la passione, il desiderio. Ed io lo provavo per gli uomini. Ma non potevo sceglierli”.
La comunità LGBT newyorchese, aggiunge l’ideatore del New York Queer Tango, non si è mostrata particolarmente d’aiuto: “Qui l’iter burocratico è molto lungo e insidioso, se vuoi organizzare qualcosa di diverso. Non ci sono sussidi statali, ogni cosa ti è permessa solo attraverso enti privati e donatori. Io e Leonardo non abbiamo trovato sponsor. La mia mentore, Graciela Gonzalez, si è autoproclamata madrina dell’evento e ci ha dato una mano, supportata dalla comunità eterosessuale di ballerini di tango e dal consolato argentino. Le classi sono aperte a tutti, senza distinzione di genere e identità, ma la realtà è che le coppie gay e lesbiche di New York non si fanno avanti. Persino il New York Times ha parlato di noi e il risultato è meno di venti iscritti locali e accuse omofobe sulla pagina web dell’articolo. Perché l’omofobia è così presente negli Stati Uniti? Di che cosa hanno paura queste coppie? Eppure stanno per arrivare ospiti da Argentina, Canada, San Francisco… I party/milongas rappresentano la versione 2.0 della liberazione sessuale”. Ne danno prova, inoltre, le lezioni di queer tango presso i Dardo Galletto Studios, il Sage-NYC e la Brooklyn Public Library.
Ma perché le associazioni gay e lesbiche di New York City non sostengono progetti di questo tipo? “Non solo chiedono di compilare moduli infiniti, al termine dei quali spesso nemmeno ti chiamano. Il problema è che, anche in questa città, un tempo così aperta e trasparente, la comunità LGBT si è ormai venduta alla politica e segue altri interessi. Ha ignorato noi e tutte le nuove compagnie di queer tango. Le associazioni gay qui hanno montagne di soldi, purtroppo impiegano il denaro con fini differenti. Lavorare con le associazioni gay e lesbiche a New York a volte può diventare davvero faticoso: non rispondono, non si fanno trovare, non sono amichevoli come quindici anni fa. Noi crediamo che una rivolta contro l’omofobia debba passare anche dal tango. Se Roma ce l’ha fatta, New York non può deluderci”.