Può l’umano trascendere la biologia?
«Superare i limiti biologici non può essere un dovere di uniformazione a un modello sociale ?di performance. Il suo significato umano sta nell’essere una scelta, legata all’idea di umanità che intendiamo esprimere con le nostre azioni e pensieri. Credo che qui si presenti un’opportunità decisiva di un affinamento della nostra sensibilità morale. E il tavolo di discussione aperto ?dalla Commissione Europea mi sembra ?oltremodo urgente».
Perché tanta preoccupazione?
«Quando si parla di enhancement cognitivo, si allude a un modello di umanità tutto incentrato sulla competizione, sul principio di prestazione. Restano aperte molte questioni da sciogliere, ad esempio se il potenziamento miri a sviluppare la nostra autenticità, oppure a una normalizzazione del comportamento sociale. Faccio un esempio: l’ossitocina, di cui si parla molto, è un ormone ipotalamico che presiede al comportamento prosociale e materno, serve ad aumentare la fiducia reciproca. Forse dovremmo chiederci se, per risolvere i problemi di una società tutta centrata sull’individualismo, sia giusto fare appello all’enhancement morale a base di ossitocina. Se sì, allora non si può che ribadire la necessità di aumentare la conoscenza in materia, togliendo il velo di ipocrisia steso su questi temi».
Cosa ne pensa della teoria che gli italiani, essendo meno competitivi, subiscano meno il fascino del potenziamento cognitivo?
«Mi sembra un’affermazione priva di valide evidenze sperimentali, analoga a quella, risultante da uno studio, per cui le donne userebbero le smart drugs per aumentare ?la loro fiducia in se stesse, mentre gli uomini le userebbero per essere più competitivi sul lavoro. Non sono questi vieti stereotipi, come quelli che oppongono Nord e Sud, Cattolici e Calvinisti? C’è ancora molto lavoro da fare per valutare l’importanza dei livelli di partenza, gli effetti differenziati e la sicurezza a lungo termine, ossia il rapporto tra costi e benefici nella persona sana».
L’esercizio, l’allenamento e lo sforzo sono considerati nella tradizione morale come elementi caratterizzanti la tendenza di ogni individuo a migliorarsi. Secondo lei tutto questo vale ancora?
«Sono convinzioni etiche ed educative che non possiamo più dare per scontate. Al contrario, dobbiamo rimotivarle. Ne elenco alcune: c’è bisogno di soffrire per diventare migliori? Una pillola può essere vista come un metodo non coercitivo per passare una notte sui libri? C’è differenza tra "barare" (superando un esame sfuttando una droga) e migliorarsi? Si è più felici se si è primi della classe? Per restare alla pari è necessario "doparsi"? Migliorare le prestazioni può diventare un obbligo (per un medico, per un pilota)? E a proposito di eguaglianza: il servizio sanitario nazionale deve pagare questi farmaci per tutti? Tutte questioni cui etica e società devono dare risposta. Ben venga il progetto Nerri».