"Queste formule non sono intrinsecamente giuste ed etiche è vero: ma sta a noi usarli in modo etico. E svilupparne uno capace di apprendere tutto sarebbe uno dei più grandi passi in avanti della scienza". Parla Pedro Domingos, autore de "L'algoritmo definitivo"

Pedro Domingos
Gli algoritmi producono disuguaglianze. Ma se ne inventassimo uno capace di «dedurre dai dati tutto il sapere di questo mondo: passato, presente e futuro"? ?È la domanda che si pone - nel saggio "L’algoritmo Definitivo" - Pedro Domingos, docente di Machine Learning a Washington. «Un’invenzione così rappresenterebbe uno dei più grandi passi avanti di tutta la storia della scienza», dice Domingos, contribuendo ?a diminuire la povertà, produrre crescita economica e perfino risolvere la questione climatica.

Il primo problema, professor Domingos, è che "l’algoritmo definitivo" ancora non esiste.
«Secondo certi parametri invece esiste già. Ciascuno dei principali algoritmi ?di apprendimento attuali può imparare qualunque funzione matematica, con abbastanza dati. La domanda è se sia possibile farlo con una quantità realistica di dati e computazione. Il cervello lo fa, così come l’evoluzione, ma siamo ancora lontani da una completa comprensione di come funzionino, e dunque dal progettare algoritmi altrettanto potenti. Potrebbe accadere domani o tra un bel po’: è difficile predirlo, perché il progresso nella scienza e nella tecnologia non è lineare, ma procede a singhiozzo».

Ma un simile algoritmo sarebbe anche intrinsecamente equo e giusto?
«Gli algoritmi non sono intrinsecamente giusti ed etici: sta a noi usarli in modo etico. È la ragione per cui ho scritto il mio libro: tutti dobbiamo comprendere cosa sono gli algoritmi e che cosa fanno, così da poterli controllare. Se lasciamo siano altri a controllare gli algoritmi che decidono al posto nostro non possiamo poi sorprenderci che quelle decisioni rechino benefici a loro, e non a noi».

Gli algoritmi oggi non sono oggettivi ?o neutri come siamo portati a credere: ma quello "definitivo" lo sarebbe? E dovremmo dunque fidarci delle sue decisioni a prescindere?
«Gli algoritmi sono tipicamente più oggettivi degli umani, ma ciò non significa che dovremmo fidarci senza riserve. Possono sbagliare, per esempio quando apprendono da dati errati, e perfino ?i migliori non sono onniscienti: per molti problemi non è semplicemente possibile avere sempre la risposta giusta. Per esempio, gli algoritmi di apprendimento sono di norma migliori dei dottori umani nel formulare una diagnosi, perciò preferirei fosse un algoritmo a farlo; ma non c’è garanzia assoluta sia corretta, quindi preferirei comunque sapere come è giunto a quelle conclusioni».

Nel libro lei scrive che gli algoritmi di apprendimento sono stati cruciali nelle elezioni Usa del 2012. Per quelle di novembre saranno, visti gli sviluppi, anche più invadenti. Per esempio, scrive, i candidati potranno fare promesse contraddittorie a seconda del modello ?di elettori a cui parlano. Sarà comunque un bene per la democrazia?
«Sì, ammesso che giornalisti e osservatori facciano la loro parte per evidenziare le contraddizioni, e che gli elettori si servano di strumenti di intelligenza artificiale per scioglierle. Ma le decisioni politiche non sono solo razionali, per cui gli algoritmi dovranno comprendere per esempio che i miti si possono contrastare con le emozioni, oltre che con i metodi analitici».

Ma che cosa resta delle decisioni umane con un algoritmo che sa tutto? Che ne è della politica stessa?
«In realtà "l’algoritmo definitivo" non saprebbe tutto, ma solo ciò che può imparare. E non tutto si può imparare, ?o predire. In più, gli algoritmi non sottraggono, ma aggiungono alle decisioni umane. Quando un algoritmo impara un modello di te dai tuoi dati, ?sta imparando a imitarti: a prendere decisioni che prenderesti tu stesso ?se ne avessi il tempo e la pazienza».

E se finisse nelle mani sbagliate, per esempio in quelle di un dittatore?
«Dovremmo certo preoccuparci. Ma ?è molto improbabile che un dittatore scopra "l’algoritmo definitivo" prima ?di un governo democratico, perché ?le democrazie hanno maggiori risorse, ?e la libertà è cruciale per il progresso scientifico e tecnologico. Inoltre, ci sarà una polizia algoritmica, per punire i cattivi algoritmi. Un ladro può usare un’auto ?per fuggire, ma ciò non significa che dovremmo vietare le auto: piuttosto, ?che devono disporne anche ?le forze dell’ordine».