Ha vinto il Breakthrough prize per le sue ricerche e ora guida un team a Chicago: «Chissà, tra una decina di anni potrebbe essere la politica a farmi tornare in Italia e riportare le mie esperienze in modo diverso»

Un dessert goloso (macaron e tortina a più strati di crema), un calice di bollicine. O forse un passito, a giudicare dal colore tra ambra e miele: non si può pretendere troppo, da una foto su Whatsapp. Però quella scelta da Anna Grassellino per il suo profilo dice tanto, di lei. Che è una donna che sa godersi la vita. Che è bella, della bellezza morbida delle siciliane. Che coltiva la virtù dell’understatement, ovvero non se la tira quando invece potrebbe eccome: avrebbe potuto scegliere uno scatto della cerimonia del Breakthrough prize, l’“Oscar della scienza” (si assegna a Hollywood all’Academy museum, dove il 15 aprile le hanno attribuito il premio New Horizons in Physics) - invece no, una foto al ristorante davanti a un dolce, il sorriso luminoso.

 

Anna Grassellino, di Marsala, è però la donna al centro della corsa del mondo verso lo sviluppo del computer più potente mai realizzato: il computer quantistico. Si può tentare di spiegarlo dicendo che elabora dati basandosi sui principi della meccanica quantistica, ma è più chiaro metterla così: è il computer che renderà ridicolmente obsoleti quelli di oggi, perché potrà fare in minuti calcoli che ora richiedono secoli.

 

Anna Grassellino è al centro della corsa verso una tecnologia che potrebbe ridurre i rischi della minaccia nucleare, mai così concreta come da quando è iniziata la guerra in Ucraina. «Minaccia terrificante, che potrebbe avere conseguenze tremende. È cruciale accelerare verso una tecnologia difensiva, che ne riduca il rischio, per esempio con strumenti per intercettare le comunicazioni», spiega da Chicago. È qui che la scienziata italiana dirige il Superconducting quantum materials and systems center coordinato dal Fermilab (Fermi national accelerator laboratory), 115 milioni di dollari di finanziamento dal dipartimento per l’Energia degli Usa nell’ambito della National quantum initiative: il calcolo quantistico è la nuova Terra Promessa della scienza. Non a caso l’ultimo Nobel per la fisica è andato a tre scienziati (il francese Alain Aspect, l’americano John F. Clauser e l’austriaco Anton Zeilinger), considerati i pionieri dell’informazione quantistica. Quelli che hanno tracciato la strada verso super computer e crittografia a prova di hacker.

 

Ci sono enormi investimenti nella Difesa oggi in America, spiega Grassellino. Nella crittografia in particolare: un computer quantistico servirà per esempio a rendere sicure le comunicazioni. «Uno “classico” non riesce a trovare la chiave di encryption Sra per decodificare messaggi velocemente, il quantistico sì, e consentirebbe di intercettare comunicazioni». Trovare l’uscita da un labirinto? Un computer attuale esplora in sequenza tutte le possibilità di uscita poi trova soluzioni, il quantistico le esplora simultaneamente e ci arriva immediatamente. «Risultato, farebbe ottimizzare l’utilizzo di carburanti o rotte di navi. Qui all’Sqms le migliori menti del mondo collaborano per produrre tecnologie per il bene dell’umanità, ma bisogna sempre pensare che potranno avere anche ricadute negative. Un centro come questo è in fondo un mini progetto Manhattan», spiega, riferendosi al programma di ricerca e sviluppo in ambito militare che portò alla realizzazione delle prime bombe atomiche durante la Seconda Guerra mondiale. «Per questo è fondamentale che certe ricerche si svolgano nei laboratori nazionali di fisica: perché gli strumenti siano messi nelle mani giuste».

Come nel motto della sua Università, quella della Pennsylvania dove ha conseguito il PhD in Fisica (dopo la laurea in Ingegneria Elettronica a Pisa): “Leges sine moribus vanae”, le leggi sono inutili senza la morale. «L’onestà è fondamentale, nella vita e nella scienza, dove spesso si va incontro a risultati che non ci piacciono - ma non importa: bisogna capire e andare avanti. I muri contro cui sbattiamo non ci devono scoraggiare, perché in realtà si tratta sempre di scoperte. Coraggio e onestà sono le cose che spero di riuscire a passare ai miei figli». Ne ha tre, Anna, tra i 6 e gli 11 anni, una bimba e due maschi. «Loro due ormai sono veri e propri americani, vanno matti per il football. Però sono già molto interessati alla scienza. Parlano inglese ma capiscono l’italiano e il russo, lingua di mio marito, ucraino dell’est. Si è impegnato tanto a parlarla con loro». È uno scienziato anche lui: Alexander Romanenko è il Chief technology officer al Fermilab.

 

«Qui abbiamo scienziati sia ucraini che russi. La scienza progredisce soltanto grazie alla diversità di background, ovvero grazie ai migliori cervelli da qualunque parte del mondo provengano», spiega Anna, che oggi è cittadina americana. Il clima da guerra fredda lo osserva da vicino. «Ogni giorno tanti colleghi russi e ucraini che lavorano qui vivono drammaticamente ciò che sta succedendo in Europa. Avevo assunto una ragazza da Mosca, è dovuta rientrare, era in lacrime. L’atmosfera molte volte è davvero difficile, tanti soffrono per questa situazione».

 

L’odore della guerra si sente, al Lab e nella sua stessa famiglia. «Non è stato facile mettere in salvo quella di Alexander facendola uscire dall’Ucraina: 26 ore di viaggio, 16 soltanto per passare il confine con la Polonia. Le condizioni per andarsene erano devastanti, nonostante tutto l’aiuto che abbiamo ricevuto e di cui siamo grati. Abbiamo visto cose tristissime, come gente che voleva fuggire ma è rimasta bloccata in Polonia, senza una casa né un posto in cui andare. Servivano i visti e l’unico possibile era quello turistico, che però esclude “immigration intent” - ma se scappi dalla guerra vuoi immigrare, eccome. Abbiamo visto tanti non farcela. È stato un periodo difficile ma anche una spinta a essere un posto che unisce le persone nel nome del progresso scientifico. Si può e si deve lavorare insieme, per andare avanti». Restano altre difficoltà, se lavori a tecnologie con ricadute sulla sicurezza nazionale, come lo scrutinio su chi coinvolgi. «Oggi si fa molta più attenzione ai Paesi da cui certi cervelli provengono. Si teme ciò che può esserci alle loro spalle».

 

Intanto compra tempo Grassellino, a Batavia, Illinois. «Abbiamo bisogno di un hardware che consenta di far calcoli per secondi, così non servirà costruire un computer da miliardi di qubit: ne basterà un centinaio». Il Breakthrough prize che ha appena vinto lo deve appunto alla sua corsa contro il tempo: «Abbiamo dimostrato i nostri primi 4 qubit con tempo di vita più elevato rispetto a prima: millisecondi, salto importante rispetto a microsecondi. Se riusciremo a mettere insieme 50 qubit da millisecondi sarà un computer importante. La potenzialità c’è. È possibile che riusciamo ad avere un prototipo entro il 2025».

 

Per farlo ha 400 persone e circa 25 milioni di dollari all’anno, precisa. Non sembra poi molto. «Vero. Con questi soldi possiamo migliorare tecnologie e lavorare su prototipi, ma “il macchinone” richiederà progetto e scala diversi. La National quantum initiative degli Stati Uniti, però, dispone di un miliardo di dollari su 5 anni: 600 milioni circa destinati ai 5 centri del dipartimento dell’Energia, di cui faccio parte. Siamo più della somma delle parti».

 

Da poco è stata superata brillantemente la verifica “di mid-term” sul centro Sqms proprio del dipartimento dell’Energia, «quindi siamo più tranquilli e possiamo di nuovo concentrarci totalmente sulla ricerca». Sembra difficile che ad Anna Grassellino venga nostalgia dell’Italia. «Sarà sempre la mia casa. Oggi sono americana e condivido i valori di questo Paese, ma la terra che mi ha formata è l’Italia, tornarci mi emoziona sempre molto. Mantengo legami, vorrei poter restituire qualcosa al mio Paese: sono in più advisory e collaboro con centri di calcolo». Ce ne sono a Napoli e Roma, da poco è nato il Centro nazionale di supercalcolo a Bologna. «Chissà, tra una decina di anni potrebbe essere la politica a farmi tornare in Italia e riportare le mie esperienze in modo diverso. Nel 2017 il Partito Democratico mi chiese di rappresentare gli italiani all’estero, fu una bellissima esperienza. Ma ora sono concentrata soltanto su ciò che sto facendo. L’Italia è un Paese di intelligenza straordinaria, peccato che spesso non riusciamo a essere uniti».