Scienze

Umano o postumano?

di Alessandro Longo   30 agosto 2016

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Genomica, bionica e robotica stanno per generare un salto evolutivo nella nostra specie. Che andrà oltre il semplice potenziamento fisico. E potrebbe toccare anche la coscienza. Portando a qualcosa di diverso dall’homo sapiens nato 200 mila anni fa

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Nell’ultimo romanzo di Dan Brown, “Inferno” (da cui è stato tratto anche un film che esce il 28 ottobre con Tom Hanks) tra i protagonisti c’è uno scienziato con una passione tutta particolare per l’ingegneria genetica. Crea un virus in grado di cambiare il nostro dna, per regolare la riproduzione e mettere un freno alla crescita demografica.

I temi del transumanismo entrano così in un best seller, come hanno commentato in coro gli adepti a questa ideologia. È la fiducia nella rivoluzione umana per mezzo della tecnica. Nell’ingegneria genetica, nella robotica e nelle nanotecnologie che si integrano con il nostro corpo e il nostro cervello.

I transumanisti sono un caso limite. Ma lo sono per l’ottimismo positivista con cui inneggiano alla trasformazione umana. Il dibattito internazionale, tra sociologi, filosofi e scienziati, è invece sempre più incline a condividere la tesi che fa da premessa al transumanismo: «Ci saranno più innovazioni nei prossimi vent’anni che negli ultimi 300», dice il futurologo americano Gerd Leonhard. «Negli ultimi 20-30 anni il mondo ha posto le basi scientifiche e tecnologiche per una forte trasformazione antropologica che certo ci coglierà a breve», aggiunge a “l’Espresso” Mauro Magatti, sociologo presso l’università Cattolica del Sacro Cuore.

Ecco perché hanno un successo crescente i corsi della Singularity University, anche in Italia: questo think tank americano ha appena aperto a Roma (era già a Milano), «per aiutare persone, governi e aziende a comprendere le tecnologie più innovative. I loro impatti sociali e il loro ruolo nel risolvere i grandi problemi dell’umanità», dice David Orban, consigliere della Singularity University. Oltre che transumanista: ha un chip installato nella mano per aprire alcune porte e pagare con la carta di credito associata (via onde radio).

«L’evoluzione delle nostre conoscenze ha reso inadeguato il nostro essere umani», dice Magatti: «Per esempio, il modo in cui nasciamo, ci ammaliamo, ci riproduciamo è ancora troppo affidato al caso. Laddove invece scienza e tecnologia offrono la promessa sempre più concreta di poter controllare tutto questo». Dan Brown ha colto nel segno, «gli aspetti legati alla nascita e alla morte saranno tra quelli più impattati dall’evoluzione scientifica nei prossimi anni», continua Magatti. Le pratiche riproduttive cambieranno radicalmente: ci sono già le premesse per ottimizzare il potenziale genetico dei genitori grazie a tecniche di procreazione assistita. Su questo è forte il dibattito negli Usa».

«Le manipolazioni genetiche sono in assoluto le tecnologie più promettenti», conferma Roberto Manzocco, ricercatore transumanista, autore di “Esseri Umani 2.0” (Springer, 2014). «Disponiamo già di procedure collaudate: come il Crispr Cas-9, una tecnica che consente di modificare in modo relativamente poco dispendioso il genoma umano. Alla fine il primo passo verso la trasformazione della nostra specie sarà portato avanti dall’ingegneria genetica; in particolare si lavorerà molto sul prolungamento della vita, della forma fisica e della gioventù», continua Manzocco. Un tema che appassiona la Silicon Valley, al seguito di Google, che ha avviato la ricerca all’interno del Life Extension Project.

L’altro grande filone è quello dell’integrazione di tecnologie con il nostro corpo e cervello. Finora la ricerca si è occupata perlopiù di migliorare le protesi con cui sopperire a disabilità di vario tipo. «Il passo successivo, molto dibattuto, è potenziare le capacità organiche normali», dice Leonhard. Un biochimico americano, Gabriel Licina, ha acquisito la capacità (temporanea) di vedere al buio iniettandosi un composto estratto da una specie di pesci di profondità. Lo studioso svizzero Eric Tremblay ha invece creato lenti a contatto che consentono di “zoomare”, ingrandendo la visione degli oggetti di tre volte. Di recente Google ha brevettato una tecnologia di lenti iniettabili nel bulbo oculare, con sensori, radio e batteria, per migliorare la vista. In futuro è ipotizzabile che lo stesso sistema potrebbe contenere tecnologie di “realtà aumentata”, che integrino nella vista la possibilità di ricevere informazioni via Internet.

«Un’altra tecnologia che si sta in apparenza avviando verso un radioso futuro è quella degli impianti cerebrali, chip che saranno utilizzati prima per trattare patologie neurologiche e poi per aumentare le nostre naturali capacità cognitive. Kernel, una nuova startup Usa, ha questo obiettivo: sviluppare chip che non solo curino malattie come l’Alzheimer, ma che potenzino anche la memoria delle persone sane», dice Manzocco. Darpa, l’agenzia americana per la ricerca militare, ha investito nello sviluppo di arti bionici realistici e controllati direttamente dal sistema nervoso. Ha lanciato il programma “Inner Armour” (armatura interna), che mira a studiare le capacità degli animali per poi trasferirle all’uomo. Come l’abilità del delfino di dormire solo con mezzo cervello alla volta, o quella delle lucertole di far ricrescere gli arti.

«La miniaturizzazione di sensori e attuatori permetterà di raggiungere dimensioni nanometriche», dice Orban. «Una sfida al momento irrisolta è la necessaria biocompatibilità di questi elementi, che non devono essere attaccati dal nostro sistema immunitario. Superato questo problema, i nostri corpi potranno integrare tecnologie nanometriche in grado di identificare sul nascere i problemi- per esempio la formazione di cellule tumorali. Ma anche pulire costantemente vene e arterie, controllare il corretto irroramento del cervello, eliminare le placche che portano all’Alzheimer…», continua.

Ci sono scenari anche più fantascientifici. «Se l’uomo arriverà a capire cosa è la coscienza e a individuarla potrà addirittura sconfiggere la morte, “caricando” le coscienze individuali in macchine. In gergo, questo procedimento viene chiamato “mind-uploading”, una sorta di metempsicosi tecnologica», spiega Riccardo Campa, docente di Sociologia della scienza e della tecnica all’università di Cracovia e fondatore dell’Associazione italiana transumanisti. «È un processo che viene talvolta indicato con il termine “Singolarità” e che è stato rappresentato cinematograficamente nel film “Transcendence”, con Johnny Depp nella parte di Ray Kurzweil, direttore scientifico di Google e guru del transumanesimo», aggiunge.

«Trasferendo la coscienza in tanti diversi sostrati, potrai avere decine di corpi con decine di menti che vivono ognuno la propria vita», concorda Orban. «Ci potranno essere momenti di fusione delle esperienze fatte dai diversi corpi e menti. E in cui sceglieremo cosa attivamente dimenticare. La concezione dell’io che abbiamo adesso sarà profondamente trasformata», continua. «Saranno possibili esperienze che ora possiamo sono sognare. Se il sostrato su cui abbiamo caricato la nostra coscienza avrà una massa abbastanza piccola, potremo farla viaggiare nell’universo trasportata da raggi laser», aggiunge Orban.

Anche senza spingersi così avanti, «tutti dovranno fare i conti con queste nuove possibilità, per il loro impatto sociale. Nel bene o nel male», dice Leonhard. «Se un Paese vieterà pratiche di ingegneria genetica o di potenziamento cibernetico, rischierà di diventare meno competitivo di altri che si faranno meno problemi», continua: «Se un manager potenzierà il proprio cervello con una connessione permanente a una intelligenza artificiale costringerà di fatto i propri concorrenti a fare lo stesso». Un po’ come avviene ora con il doping sportivo. «Bisognerà porre paletti nella normativa a livello globale: per esempio, accettando gli impianti cibernetici solo a patto che restino gli esseri umani a controllare le macchine. E non siano queste a prendere decisioni al posto nostro».

Siamo sull’orlo di un bivio: un futuro in cui vivremo di più e più in salute oppure uno in cui le tecnologie aumenteranno diseguaglianze e squilibri. «Siamo vittime di un paradosso: cresce la nostra capacità di agire sul mondo, mentre diminuisce quella di confrontarci dialetticamente con gli altri attraverso la ragione per un progresso comune», dice Magatti. «In questo quadro, le tecnologie transumaniste potrebbero darci solo l’illusione di un migliore controllo sul mondo.

Mentre continuerà - sempre più - a sfuggirci quello sulle derive economiche e sociali delle umanità. Nel frattempo, le aziende continueranno a investire in queste tecnologie e quindi il processo avanzerà: come dice Zygmunt Bauman, siamo tutti su un aereo di cui il pilota non c’è», aggiunge. Come riassume Maurizio Ferraris, docente di filosofia teorica a Torino, «la speranza va riposta, molto più che nel progresso della tecnica, nel progresso intellettuale dei suoi utenti, ovviamente favorito dalla tecnica come è sempre stato, dai tempi del fuoco e della ruota. Baudelaire diceva che il vero progresso consiste nell’allontanarsi dalle tracce del peccato originale, e c’è un senso in cui aveva ragione: non dobbiamo temere il progresso, dobbiamo auspicarlo più di ogni cosa, perché siamo enormemente imperfetti. Mi fanno sorridere», aggiunge, «quelli che deprecano la tecnica che ci aliena: pensate all’umano allo stato di natura, è difficile immaginare un essere più fragile, stupido, alienato e violento».