Cultura
18 luglio, 2025I detriti di una città distrutta. E l’eleganza del marmo scolpito. Alla Gnam le opere di Güneştekin trovano nuovi significati
omo homini lupus. Nella sala principale dell’esposizione che la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma dedica ad Ahmet Güneştekin si è sopraffatti dal pensiero che la violenza sia dentro ognuno di noi, sempre, nella luce e nel buio.
La si vede nel gruppo scultoreo di Canova che è al centro dello spazio (la mostra è pensata proprio in dialogo con la collezione permanente), un gruppo scultoreo di un bianco abbagliante che raffigura Ercole nell’atto di scagliare in aria il giovane araldo Lica, innocente messaggero ammazzato per equivoco.
E la si vede nella monumentale opera di Güneştekin efficacemente allestita davanti alla scultura: decine di metri quadrati di oggetti accatastati che l’artista ha raccolto tra le macerie di Diyarbakir, teatro di grandi scontri nel conflitto turco-curdo, e dalle rovine delle abitazioni distrutte nella provincia di Hatay, ai confini con la Siria, travolta da un devastante terremoto nel 2023.
Quel bianco e quel nero allora dialogano e si confondono e quei corpi perfetti di Canova non sembrano poi così diversi dai rottami delle auto, dai frigoriferi scassati, dai giocattoli spezzati. Infatti l’opera dà il nome all’intera mostra: “Yoktunuz. Eravate assenti”. Monito e disperazione di un artista turco di origine curda che in questa mostra curata da Sergio Risaliti e Paola Marino è ossessionato dalla memoria, dal recuperarla e proteggerla, nel segno di iconografie radicate in epoche e culture remote, assieme a temi universali come l’esodo, le migrazioni, i confini, il senso di comunità e di religione.
È commovente il lavoro “Sarcofagi dell’alfabeto”, centinaia di libri che formano un monolite, a sua volta schiacciato da un grossissimo masso, come se la pietra rappresentasse ciò che resiste nel tempo, materiale che qui fa da scudo alla parola e al tempo stesso la archivia, nel tentativo di preservare il diritto alla conoscenza. Che sia nelle coloratissime opere a parete, dove appaiono porte che ci suggeriscono mondi possibili, alle scarpe scure che nessuno calza più, Güneştekin ci parla dell’assenza come opportunità, come valore.
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