Intervista
Michela Murgia e il potere delle donne: “Per denunciare non devi essere una brava ragazza”
La scrittrice ripercorre “Le nebbie di Avalon” di Marion Zimmer Bradley e riflette sul matriarcato, su Dio e sulla parola femminile. «Con Asia Argento si sta facendo quello che qualche volta avviene nell’aula dei processi per stupro. Si cerca di minare la credibilità della vittima»
La notizia è questa: si può parlare di un libro popolare, scritto per ragioni prevalentemente commerciali (in fondo anche Dostoevskij scriveva per guadagnare denaro) anche se non solo, raramente letto da intellettuali, scrittori, maestri del pensiero, sicuramente non citato nei salotti che fanno opinione, si può insomma raccontare un romanzo, alla lettera dozzinale e venduto in milioni di copie, per tentare di rovesciare i codici semantici con cui da alcuni millenni noi tutti, maschi e femmine, guardiamo e interpretiamo il mondo. È quanto ha tentato Michela Murgia, firma di questo settimanale, scrittrice e intellettuale irrequieta, con “Le nebbie di Avalon” di Marion Zimmer Bradley, un fantasy collocato in un Medioevo mitologico di re Artù.
L’inferno è una buona memoria”, questo è il titolo della riflessione di Murgia, è a sua volta un testo che Marsilio sta per mandare in libreria, uno dei tre che inaugurano una nuova collana, Passaparola, dove scrittori di oggi interpretano un libro, o forse il libro della loro vita. Nel romanzo “Le nebbie di Avalon”, le protagoniste sono donne: la maga Morgana, l’infelice Ginevra e altre; e la posta in gioco è il potere, la facoltà di parola di donna.
Di solito, quando a uno scrittore si chiede qual è il libro della sua vita, risponde citando un classico dell’Ottocento o un modernista del secolo scorso. Perché ha scelto “Le nebbie di Avalon”, invece?
«Intanto perché è un libro sul potere. Ed è difficile per un cattolico ammettere quanto il potere sia affascinante, perché la nostra formazione sostiene che il potere è servizio. Un’evidente sciocchezza, il potere è potere. Certo, non è l’unico testo per me fondamentale. Quando avevo 11 anni lessi “I ragazzi della via Pál”; la morte di Nemecsek fu il primo lutto della mia vita, un modo per trovare le parole per dire “morte”. Ho scelto “Le nebbie di Avalon” perché è un libro a tesi, con l’inversione dei ruoli tra maschi e femmine. E poi, volevo parlare di un libro mainstream. Sono stufa di sentire intellettuali citare libri impossibili da leggere per persone comuni; libri che nessuno prenderebbe in mano se non per fingere di averli letti e vantarsene. “Le nebbie di Avalon” ha venduto milioni di copie, anche se tra gli intellettuali nessuno ammette di averlo letto. Mi interessa il mainstream perché forma il nostro immaginario».
Ha parlato di mainstream e intellettuali. Tra quelli di sinistra si sta facendo strada un’idea che il popolo ha votato male perché è ignorante, tende a essere razzista, mentre noi, gente di sinistra, istruita siamo bravi, eticamente corretti, vittime delle basse pulsioni popolari.
«Su i social media si leggono parole di persone colte, anche di scrittori che dicono: “Ricordatevi che questa gente vota”. A un certo punto abbiamo pensato che avendo studiato siamo i migliori, mentre coloro che non sono dotati dei nostri stessi strumenti di lettura della realtà non sono in condizione di svantaggio, ma addirittura di colpa. Un’idea classista della società, da ottimati della cultura. E invece il ruolo dell’intellettuale dovrebbe essere quello di ricostruire il rapporto tra complessità e popolarità. Popolarità per come la intendeva Gramsci».
Torniamo al suo libro. Al centro, oltre alla questione delle donne c’è la domanda sul perché ci raccontiamo storie. E allora perché lo facciamo? Per essere rassicurati o per provare il brivido della sorpresa e dello stupore?
«Perché narrare storie è un’azione relazionale. Ci raccontiamo storie per fare comunità. La comunità è fatta dalle storie che condivide. In certi periodi della storia, quando le identità collettive sono fragili e minacciate, abbiamo bisogno di consolidare, di “fare canone”. Faccio un esempio. Il canone biblico si è definito quando il numero delle eresie era così alto che occorreva mettere dei paletti. Nelle fasi creative, invece, quando c’è meno paura, il ribollire delle storie può essere caotico, permissivo. Romanzi come “Lolita” di Nabokov che creano scandalo perché fuori dal senso comune, possono essere pubblicati e discussi in epoche in cui è lecito andare lontano dai luoghi che conosciamo e dove siamo stati con la nostra fantasia. Oggi, invece, siamo in un periodo in cui stanno cercando di fermare la Storia attraverso il congelamento delle nostre storie e delle nostre capacità narrative. Secondo me questo processo è iniziato con Giovanni Paolo II: pretendeva che l’Europa fosse fondata su radici giudaico-cristiane. Ma l’Europa è fatta da tante radici. E quando si tenta di stabilire una gerarchia tra le storie per dominare tutto il nostro immaginario, si fa un’operazione che offre una piattaforma culturale perfino ai fascismi».
Noi siamo le storie che ci raccontiamo. Ora, nella letteratura le donne forti, sessualmente libere, sono perfide e finiscono male. Pensi a Madame Bovary...
«Quando Flaubert dice Madame Bovary c’est moi, dice io sono debole e traditore. La donna in me è ciò che è deprecabile. Ma lui scriveva nell’ambito di una cultura in cui questa era la norma. Il problema è quando lo fanno gli scrittori di oggi. Le donne invece scrivono di maschi da sempre e non usano gli stereotipi. Il gotico nasce con Mary Shelley, per fare un esempio. I maschi essendo al potere non hanno bisogno di comprendere le donne, le donne da sottomesse dovevano imparare il linguaggio del potere invece».
“L’inferno è una buona memoria” è un libro dove sta cercando di stabilire un canone di contro-narrazione femminista?
«Preferisco parlare di genealogia e di trasmissione ereditaria. Cito la tradizione ebraica perché credo di conoscere bene le fonti bibliche. Per molto tempo gli ebrei si sono definiti per linea paterna. A un certo punto la cosa è cambiata e ebreo è chi ha madre ebrea. Mi piacerebbe che tutto il mondo adottasse la genealogia femminile. Perché essere orfani di madre è un impoverimento culturale ed emotivo. Aggiungo, come donna esigo di sapere chi erano le mie madri. Al plurale; perché parlo anche di madri non conformi all’idea del materno, definita dal patriarcato; e per una questione autobiografica. Io ho avuto due madri. Una che mi ha dato la vita e l’altra che mi ha cresciuta. Penso che le madri siano molteplici».
Può spiegare questa presenza di due madri?
«Nella cultura sarda esiste la figura di figlia d’anima. In una famiglia può esserci una situazione in cui un altro adulto o altri adulti si interessino di una ragazzina o di un ragazzino al punto tale da raggiungere lo status genitoriale, e dove la famiglia d’origine accetta questo ruolo. Io sono stata fortunata; questa cosa mi è capitata. Quindi ho non solo due madri e due padri ma sono anche figlia due volte. Più sono i modi in cui sei amato e più persone scopri di essere».
Nel Medioevo inventato da Zimmer Bradley le donne difendono il politeismo dei celti contro il monoteismo cristiano. Ora, il politeismo è anche una forma di pluralismo.....
«Nel fantasy di Zimmer Bradley, le donne rifiutano di aprire il terreno a un apparente ecumenismo. Mi spiego: quando il cristianesimo si avvicina alle religioni precedenti lo fa in modo mite, tenta il dialogo. San Paolo dice ai Greci: Voi siete devoti a tanti dei, tra cui il Dio ignoto che io vi annuncio. Collega la venuta del Cristo al Dio ignoto. È una strategia per farsi accettare. Lo stesso fa il cristianesimo con i celti. Così i maschi della religione druidica non vedono pericolo. Lo percepiscono invece le donne che capiscono quanto una religione monomaschile vada a distruggere non solo il pluralismo degli dei ma il pluralismo dei generi. Le donne intuiscono che i preti cristiani negheranno il loro diritto alla parola. Per loro è in gioco la sopravvivenza personale. Io sono convinta che questo è il deficit del monoteismo, perché Dio è unico, maschio e padre».
Quel deficit in parte è colmato dalla figura della Madonna, un elemento femminile della fede. Gli ebrei poi hanno inventato la “Shekhina”, la parte femminile di Dio, che però è in esilio...
«Aggiunga Rukha, spirito in ebraico che è femminile. Rispecchia il ruolo che nelle società patriarcali esercita la femminilità: la mediazione, la trasmissione e in particolare la vita. È lo spirito santo che feconda Maria. C’è una stupenda icona della Santissima Trinità dipinta da Andrej Rublev (pittore e monaco russo 1360-1430, ndr); raffigura tre Madonne e in mezzo la colomba. Ecco, nella Trinità c’è un elemento femminile».
Dio padre e maschio è un dio senza appello? Mentre la madre è appello?
«Nel cristianesimo sì. Nella Bibbia no. Tutte le volte che nella Bibbia a Dio viene affibbiato il paradigma di ferocia è un paradigma femminile: Orsa madre. Ma un’orsa madre può essere feroce quando protegge i cuccioli; l’aquila che porta i cuccioli a imparare a volare; madre severa che ti costringe ad affrontare il pericolo e la caduta, e via elencando».
Quanti sono i femminismi?
«Tanti. Alcuni di destra. Per esempio il femminismo che si rifà alla natura e non alla cultura è di destra».
Sta parlando del femminismo che esalta la maternità?
«Sto parlando del femminismo che esalta la mistica della maternità, di quel filone del femminismo che nega la possibilità della generazione dei figli fuori dalla natura e della gestazione per altri. Esiste poi un femminismo che rifiuta di riconoscere le transessuali, perché se vieni dall’esperienza del corpo maschile non puoi vivere fino in fondo l’esperienza del corpo femminile. È una posizione di destra perché significa che la natura domina la cultura».
Quindi l’utero in affitto va bene?
«Non l’ho mai chiamato così, perché significa stabilire un rapporto economico. E sul rapporto economico possiamo discutere. Io lo chiamo invece gestazione per altri, perché definisce una relazione. Nessuna mi può proibire di usare la mia pancia per far diventare madre un’altra donna. Rivendico il diritto di definire la maternità come atto culturale».
Zimmer Bradley, scomparsa nel 1999, dopo la morte è stata accusata da sua figlia di averla molestata da bambina. Oggi Asia Argento, figura chiave del movimento #MeToo è accusata di aver molestato un ragazzino...
«Con Asia Argento si sta facendo quello che qualche volta avviene nell’aula dei processi per stupro. Si cerca di minare la credibilità della vittima; si usa la sua vita sessuale per negarle il diritto di denunciare. Ma io dico: la meno credibile tra di noi è la più adatta per fare la battaglia. Il diritto di denunciare una violenza non dipende da quanto sei una brava ragazza».