Si fa presto a dire il Grande Fratello è un brutto (inutile, dannoso, inqualificabile, triste, eccetera) programma. Si fa troppo presto a liquidare così in due battute un appuntamento televisivo ventennale che ha rivoluzionato i modi di dire e di fare di questo sgualcito Paese. D’altro canto come direbbe Antonio: «Veniamo a seppellire il Gf, non a lodarlo». Anche perché alla sepoltura in verità ci sta pensando il pubblico spontaneamente, sfiancato due volte dal raddoppio settimanale, dalle filippiche di Alfonso Signorini e dal cattivo gusto (e si perdoni il gioco di parole) piccino di Pupo.
Il risultato è tale che le avventure casalinghe dei vipponi altro non sono che un trito già visto che si sta inesorabilmente autoeliminando. Ma la questione si fa più sottile se si considera cosa sia davvero successo all’andamento lento all’interno delle svariate case di Cinecittà che si sono susseguite negli anni. Il bello (si fa per dire) dei reality al loro nascere, era che finalmente potevi scrutare i cosiddetti famosi in mutande e senza trucco, potevi toccare con mano quanto fossero tra quelle quattro mura del professor Aristogitone delle persone qualunque, nel loro fisico trasandato senza l’aiuto di turno, nel loro lessico sciatto senza il suggeritore, nel loro razzismo qualunquista senza una guida, lasciate così, a cantare in solitaria “Pittore ti voglio parlare, mentre dipingi un altare”.
Poi è accaduto, per uno strano caso, che poco a poco i vip si esaurissero e dentro la Casa entrassero insieme ai dimenticati in cerca di una rispolverata, dei simil sconosciuti ai più, considerati degni del programma in quanto influencer. Ovvero persone inutili che a furia di mostrarsi in mutande e senza trucco sui social avevano acquisito la notorietà necessaria per poter così finalmente mostrarsi davanti alle telecamere in mutande e senza trucco. Praticamente un triplo carpiato per tornare al punto di partenza.
Ora, viene da chiedersi con umiltà, quale sia la necessità di occupare una decina di ore di prima serata più un canale interamente a loro dedicato per vedere semplicemente quello che ogni giorno ti propinano a portata di smartphone. Si potrebbe proporre di aprire casa loro, anziché riunirli tutti sotto uno stesso tetto in palinsesto. Così quei quattro gatti rimasti che ancora si interessano delle loro blande gesta se la potrebbero cavare con una sbirciatina, basterebbe il videocitofono, per rubare due risate, una macarena, un ode al Ventennio, un accenno alla razza, e senza tema di squalifica tornare ognuno nel proprio salotto, magari a guardare la tv. Un piccolo fratello, un vantaggio per tutti.