«Questa è casa tua, questo è il tuo microfono, sono cresciuta con la tua televisione, il tuo giornalismo, il tuo modo di stare in scena, il tuo stile, il tuo tono, la tua voce». Da giorni ormai la presenza di Michele Santoro è una sorta di affannosa attesa neanche fosse Babbo Natale pronto a calarsi nel camino. E c’è da dire che il faccione del grandioso giornalista che ha fatto del suo stesso nome uno stile da imitare è tornato prepotentemente non con un programma ma con il semplice quanto canonico giro di valzer della presentazione che si ripete puntuale per tutti all’uscita di un nuovo libro.
Ma l’emozione palpabile, la gratitudine e quel senso soffuso di sudditanza che trapela al suo ingresso negli studi (scelti con la precisione chirurgica di chi tende a non trascurarne nessuno) causa uno strano effetto, sino a ora perlopiù inedito: quello del confronto impietoso, a cui gli stessi giornalisti ospitanti tendono a sottostare. In sintesi, è come se al solo apparire della testa canuta di Santoro, il senso di inadeguatezza saltasse fuori come un coniglio dal cilindro del mago.
Così mentre il santo Santoro viene portato in processione al coro di «L’informazione fa schifo, nessuno è capace di uscire dal conformismo in tv, gli approfondimenti non esistono, sono scomparsi, in Rai si fa solo cronaca, non c’è dissenso, manca qualcuno che spezzi la cortina di fumo, quando c’ero io» e altri delicati macigni scagliati contro colleghi e dirigenti con la precisione del “dove colgo colgo” la risposta sui piccoli video del piccolo schermo è sostanzialmente solo quella del capo abbassato.
Perché se lo dice Michele l’intenditore, come ricorderanno gli ormai anziani fan della saga pubblicitaria del whisky poi rivisitata da “Avanzi”, ci si può fidare a prescindere, e non sollevare alcuno scudo quando punta il dito contro la divisa di Figliuolo che «sembra stia andando in Afghanistan», che «Rai Tre non esiste più», e che si accettano programmi che fanno l’1 per cento.
Tutto vero, tutto giusto. E inevitabile quindi che gonfi il petto con quel filo di presunzione che lo accompagna da sempre, vedendo i sorrisi estatici di chi, da Gruber a Giletti, da Vespa a Mentana, si sente illuminato dal Maestro alla prima svirgolata di enfasi. Insomma, una resa incondizionata dove il buon Santoro, che manca dalla televisione da un paio d’anni dopo il non esaltante risultato di “M”, si sente pronto a tornare, perché, dice, ha ancora tante cose da dire. Così è un attimo che si passi dall’effetto “Oui, la tv c’est moi” di Luigi XIV al “Perché io so’ io e voi nun siete un ...” del Marchese del Grillo.