A Torino, nel quartiere della periferia nord chiamato Barriera di Milano, hanno sede i Bagni Pubblici di via Agliè. Qui chiunque ne abbia la necessità può utilizzare una delle docce pubbliche frequentate inizialmente dagli abitanti delle molte case di ringhiera senza bagno, tipiche della zona, oggi usate in prevalenza da persone senza fissa dimora o che vivono in situazioni di marginalità. Ma gli stessi spazi, grazie alla cooperativa che gestisce la struttura, sono anche sede di laboratori artigianali, corsi di sartoria, attività culturali volte a coinvolgere la crescente comunità multietnica del quartiere.
Sulle montagne bellunesi, invece, una realtà come Dolomiti Contemporanee rende visibili, attraverso mostre e residenze artistiche, luoghi trascurati dagli abituali percorsi turistici, con una predilezione per gli spazi legati alla poco conosciuta storia industriale di quest’area, come l’ex Villaggio Eni di Borca di Cadore. E ancora, fuori dal centro abitato di San Vito dei Normanni, in provincia di Brindisi, il vecchio stabilimento enologico ora rinominato ExFadda ha ripreso vita, ospitando eventi teatrali e conferenze, una scuola di musica, un ristorante sociale e una casa per giovanissimi con lo scopo di contrastare la povertà educativa. Eccoli, i nuovi centri culturali italiani. Spazi ibridi, fabbriche dismesse, luoghi dimenticati a pochi passi dal centro, nelle periferie urbane oppure in zone decentrate, territori rurali, aree interne, lungo tutto il Paese. Che grazie all’inventiva e alla tenacia di qualcuno tornano vive, accolgono artisti e attivisti, danno forma a linguaggi e idee, ridefiniscono l’identità di alcuni angoli di città o interi quartieri.
L’associazione milanese CheFare da diversi anni ha avviato una mappatura di questi luoghi. «Per tutto il Novecento la cultura si è sviluppata prevalentemente intorno a grandi centri e a grandi istituzioni» spiega Bertram Niessen, presidente dell’associazione. «I nuovi centri culturali sono esattamente l’opposto, esperienze culturali che nascono dal basso e che mettono in relazione le energie presenti nei territori, dando loro una casa. Siamo arrivati finora a più di 700 segnalazioni da tutta Italia. Abbiamo iniziato a ragionare su come si costruiscono le politiche per i nuovi centri culturali e ci interessa studiare come all’interno di questi luoghi si sviluppino i linguaggi del contemporaneo».
Con l’intento di mostrare dall’interno cosa siano i nuovi centri culturali, CheFare ha ideato un bando per autori under 35, cui hanno risposto 459 candidati. Sei sono stati i selezionati, io sono tra di loro. Ne è nato un libro, “Bagliore” (il Saggiatore), scritto con Federica Andreoni, Pierluigi Bizzini, Giulia Gregnanin, Alessandro Monaci e Matteo Trevisani.
Ho trascorso due settimane in Sicilia, a Catania, nel novembre del 2019. Qui ho scoperto il lavoro di Officine Culturali, un’associazione che in varie forme si occupa di raccontare e valorizzare il patrimonio culturale della città. Lo spazio principale in cui opera è il Monastero dei Benedettini di San Nicolò l’Arena, di epoca barocca, una delle sedi dell’università, in cui vengono organizzate visite guidate, rappresentazioni teatrali, laboratori con i bambini. Il monastero, in pochi anni, è diventato una meta irrinunciabile per chi visita la città, superando la percezione negativa che caratterizzava l’area di piazza Dante. Officine Culturali cura altri spazi in città, come l’Orto botanico, il Museo di archeologia, ha da poco avviato un progetto di museo multimediale nel rifugio antiaereo di via Daniele. Inoltre a Vizzini, sui monti Iblei, insieme ad alcune associazioni locali sta creando un’impresa di apicoltura per creare opportunità di lavoro in un’area a forte rischio di spopolamento. Inventando di volta in volta modalità di collaborazione con università ed enti pubblici, muovendosi tra bandi europei e fondazioni, Officine Culturali oggi dà lavoro a una decina di persone, assunte a tempo indeterminato. Fa molte altre cose, come occuparsi di ricerca e pubblicazioni scientifiche sulla storia dei luoghi in cui opera, supplendo in questo modo alle carenze dell’università.
L’associazione si pone in dialogo continuo con altre realtà attive in città, come la squadra di rugby dei Briganti di Librino, nella periferia sud di Catania (vittime di continui attacchi intimidatori, l’ultimo pochi giorni fa) o Trame di Quartiere, che ha aperto una sede a San Berillo, un’enorme fetta urbana sospesa, lasciata vuota e oggi rifugio di “ultimi”», di migranti, prostitute, spacciatori. Officine Culturali ha invece come riferimento principale il quartiere popolare di Antico Corso, un luogo vittima di gentrification nei primi anni Duemila, dove i progetti per l’allora prevista espansione della zona universitaria hanno fatto alzare gli affitti e stravolto il tessuto sociale dell’area, oggi sempre più carente di servizi. L’associazione cerca di coinvolgere gli abitanti della zona, offrendo visite e attività gratuite, innovando le proposte, allargando l’area di azione.
«Le forme della città che conoscevamo prima della pandemia ora sono in crisi», riflette Bertram Niessen, «per esempio le grandi mostre con migliaia di persone, oppure la dimensione turistica della cultura. I nuovi centri culturali sono una risposta possibile, perché sono potenzialmente spazi per la cultura che si trovano dietro casa. Esiste poi una dimensione legata alle forme del lavoro. La crisi economica che è già presente, nei prossimi mesi diventerà radicale. Questi nuovi centri sono anche dei luoghi in cui sperimentare nuove forme di sostenibilità, che provano a far funzionare piccole imprese, molto legate al terzo settore, con il supporto del pubblico. Politiche pubbliche fatte nel modo giusto possono aiutare molto le microeconomie locali. Soprattutto, e questa è la cosa probabilmente più importante» continua il presidente di CheFare, «è il fatto che con la pandemia, tutta una serie di disuguaglianze che c’erano prima sono esplose. L’accesso alle forme culturali di base è diventato sempre più un privilegio. I nuovi centri culturali, essendo distribuiti sul territorio, sono potenzialmente spazi dove anche chi soffre un’emarginazione può sperimentare forme di democrazia culturale».