Da decenni i quartieri benestanti votano centrosinistra e le periferie non votano o votano a destra. Questa volta invece hanno votato tutti

Per capire perché Elly Schlein ha vinto, bisogna tornare ai risultati elettorali precedenti e a come sono distribuiti fra centro e periferie delle città (è facile e non nuovo: le periferie non votano o votano centrodestra, gli abitanti al centro voticchiano il centrosinistra). Questa volta hanno votato tutti, e una ragione, per così dire territoriale, esiste e affonda le radici da un conflitto molto più antico del Pd. Eccolo: da una parte c’è Marx (con Engels) e dall’altra c’è Eugène Sue, che fra il 1838 e il 1842 pubblica a puntate I Misteri di Parigi, storia del principe Rodolphe di Gerolstein, di qualche centinaio di intrighi e colpi di scena e dei bassifondi della città dove si vive in condizioni miserande. Denuncia sociale? Non per Marx ed Engels, che criticarono duramente Sue e il suo feuilletton e anche i suoi popolani, che invece di provare a ribaltare la propria condizione confidavano nel principe.

Non so se esista uno spin doctor o almeno un social media manager politico che abbia letto e meditato sui Misteri dei Parigi, ma avrebbe dovuto. Spero almeno che abbia letto un saggio di Marco Valbruzzi, che si intitola Come votano le periferie, è uscito nel 2021 e spiega molto bene che dal 2018 in poi i quartieri benestanti votano centrosinistra e le periferie non votano o votano a destra.

Spero che leggano i fumetti di Zerocalcare, che negli anni ha raccontato che le famigerate periferie non sono quella Geenna dove cresce unicamente il disagio e si sogna il principe Rodolphe (o chi per lui) che riporti giustizia, ma un luogo dove si può e si deve essere presenti. Se così non fosse, mi auguro almeno che abbia cercato e visto La cosa, il documentario che Nanni Moretti girò nel 1990 fra le sezioni del Pci dopo la cosiddetta svolta della Bolognina, facendoci vedere che in quelle periferie ci si incontrava, e non con lo spirito di un etnologo fra i Nambikwara.

Schlein non ha lo spirito dell’etnologo. E non ha la spocchia che da qualche decennio a questa parte molta sinistra ha dimostrato nei confronti delle periferie medesime, viste non come il luogo da presenziare ma un impiglio, un fastidio, una faccenda da cronaca nera. Il conflitto centro-non centro esiste ancora, insomma, anche se a ben vedere è insensato: perché i centri delle grandi città sono solo in parte il luogo dei ricchi e dei colti, ma il luogo del turismo, della gentrificazione, dei marchi di patatine e vestiti a pochi euro e spritz pallidissimi che scacciano botteghe, librerie, teatri e anche abitanti. Più che di sinistra ztl, bisognerebbe semmai parlare di sinistra del condominio con i numeri sul citofono.

Quando inizia il conflitto? Se si pensa a Roma, esiste persino una data: 1980, l’anno in cui viene inaugurata la fermata Spagna della metropolitana. Subito messa all’indice su questo e quel giornale, in quanto avrebbe riversato nella città bella, nella città barocca, quelli di «torpigna», laddove per «torpigna» si intendeva tutta la periferia romana e non solo Tor Pignattara. Paolo Guzzanti parlò del marasma del sabato sera, «quando la stazione della metropolitana di piazza di Spagna vomita centinaia di migliaia di giovani impiastrati di gommina che si accalcano nei vicoli papali, nelle strade-museo e tutto imbrattano e distruggono, provocando la crescita bisunta delle paninoteche, metastasi della loro ignoranza».

Dovrebbe segnarsi la data, quello spin doctor, e ricordare lo spostamento della problematica: che non era più l’attuazione del famoso Piano per l’edilizia economica e popolare, che aveva fatto sorgere oltre 700mila alloggi a Spinaceto, Corviale, Tor Bella Monaca, Laurentino 38. Anzi. Il problema erano i torpigna, o il loro equivalente nelle altre città d’Italia. Passano sei anni: nella primavera del 1986, sempre a Roma e sempre a piazza di Spagna, apre McDonald’s. «Roma sfregiata», dissero Renzo Arbore, Giorgio Bracardi, Claudio Villa e Bombolo, e anche Giulio Carlo Argan. Alcuni andarono a mangiare fettuccine davanti al McDonald’s, per protesta.

Passano cinque anni: nel maggio del 1991 Pietro Citati scrive un articolo su Repubblica dove esalta i «barbari», i «giovani borgatari. I terribili borgatari, i sinistri abitanti delle periferie, i feroci divoratori dei panini e degli hamburger di McDonald’s, che inquietano i sogni degli avvocati, deputati, commercianti e scrittori che abitano il centro di Roma, e dell’ex sindaco Giulio Carlo Argan». Confessa di non trovarli tremendi, e neanche simili a «quei vermi appena visibili sotto la pietra, che trent’anni fa popolavano i romanzi di Pasolini». Anzi, leccavano tranquillamente gelati alla fragola e lampone. Sullo stesso giornale gli rispose Luigi Malerba, dicendo che non li sopportava, che erano ignoranti, che parlavano di programmi televisivi e non di Platone (alzi la mano chi parla di Platone mangiando il gelato a piazza del Pantheon). Non capiscono la bellezza, e che ci fanno fra noi?

Se tutto questo allo spin doctor non bastasse ancora, potrei consigliargli di procurarsi una puntata di Amici del 1992: conduceva, allora, Lella Costa, e in un bel giorno decise di fare un esperimento con due ventenni. Una abitava a Torbellamonaca, l’altra ai Parioli. Vennero invitate a conoscersi, frequentare l’una gli amici dell’altra, andare alle reciproche feste. Andò malissimo.

E va ancora male. Perché, sia detto da un’orgogliosa abitante della periferia romana, anche i volenterosi fra gli esponenti politici di sinistra si sforzano di raccontare, e talvolta di presenziare, realtà che non conoscono e che non frequentano, salvo poi stupirsi al momento dello spoglio delle schede, come è accaduto il 26 febbraio. Del resto, la storia è davvero la più crudele di tutte le divinità (lo diceva Engels, che forse avrebbe dovuto rileggere Sue).