La coppia e tanti intellettuali frequentavano il Café de Flore e altri luoghi simbolo della capitale a sud della Senna. In anni formidabili di fermento culturale, che ora rivivono in un libro

“Rive Gauche” è il titolo di una canzone di uno dei più grandi cantautori francesi viventi, Alain Souchon: un incrocio tra Fabrizio De André e Francesco De Gregori. Ma è anche il titolo di un intrigrante libro della scrittrice francese Agnès Poirier: “Rive Gauche. Arte, passione e rinascita a Parigi 1940-1950”, edito in Italia da Einaudi. Rive Gauche, in italiano “riva sinistra”, è un luogo simbolo dell’identità culturale occidentale, la parte di Parigi che si sviluppa a sud della Senna. Qui nacquero correnti intellettuali e artistiche che influenzano ancora oggi il nostro modo di vivere e di pensare. «Rive Gauche a Parigi / Addio al mio paese / Di musica e poesia/ I mercanti maleducati/ Che altrove hanno già preso tutto / Vengono a vendere i loro vestiti nelle librerie»: la canzone di Souchon coglie con grazia la fine di un mondo, la polverizzazione di un’effervescenza creativa, un capitolo del passato rievocato come un mito nei ritrovi tra studenti internazionali.

In due momenti chiave della storia europea, due situazioni di rinascita, i quartieri della Rive Gauche di Parigi sono stati il terreno d’incontro tra spiriti geniali: prima negli anni Venti, poi nel periodo dopo la Seconda guerra mondiale. A partire dagli anni Quaranta, personaggi come Boris Vian, Juliette Gréco, Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Jean Genet, Miles Davis, Ernst Hemingway, James Baldwin, Alberto Giacometti, frequentavano il Quartiere Latino, Montparnasse e Saint-Germain-des-Prés. Dopo quattro anni di occupazione nazista, da una comune e tragica esperienza della guerra, nacquero nuove idee e nuovi modelli; librerie, cinema, gallerie, jazz club, caffè erano diventati uno spazio pubblico per discussioni infervorate, progetti rivoluzionari e manifesti.

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“Parigi è una festa” è il titolo francese di un libro di Hemingway apparso nel 1964 (“A Moveable Feast”, tradotto in italiano “Festa mobile”). Lo scrittore americano racconta il periodo trascorso a Parigi tra il 1921 e il 1926, i cosiddetti “anni folli”, subito dopo la Prima guerra mondiale. Viveva con sua moglie in un «appartamento di due stanze che non aveva acqua calda né servizi interni» e amava frequentare il Musée du Luxembourg. «Andavo lì quasi ogni giorno per i Cézanne e per vedere i Manet e i Monet e gli altri impressionisti che avevo cominciato a conoscere all’Art Institute di Chicago. Dalla pittura di Cézanne stavo imparando qualcosa che rendeva lo scrivere frasi semplici e vere del tutto insufficiente a far sì che i miei racconti avessero le dimensioni che cercavo di dar loro. Imparavo tantissimo da lui», scrisse. Qui Hemingway ha appreso il suo stile, l’importanza del ritmo e della reiterazione dalla scrittrice Gertrude Stein, che ospitava un gruppo di artisti e letterati e che gli «ricordava una contadina dell’Italia del Nord», ma soprattutto da James Joyce, il cui capolavoro, “Ulisse”, bandito in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, fu pubblicato da un’audace editrice e libraia americana, l’emblematica Sylvia Beach. Nel 1919 Beach fondò la libreria Shakespeare and Company, nel quartiere Odéon, diventata poi un punto di riferimento per i grandi scrittori americani espatriati come Hemingway, Fitzgerald, Eliot, Pound, appartenenti alla cosiddetta “Lost Generation”.

Il negozio di Beach serviva agli scrittori come casa lontano da casa, indirizzo postale e, quando erano disperati, come servizio di prestito. La libreria era anche frequentata da celebri autori francesi, come André Gide, Paul Valéry e Jules Romains e rimase aperta fino al 1941, quando i tedeschi occuparono Parigi. Nell’estate del 1925 la festa si svolgeva alla brasserie Le Dôme, citata da Ezra Pound tra gli altri.

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«Louis Aragon, Picabia, Tzara e gli altri surrealisti si facevano notare molto nei caffè e nei cinema di Montparnasse. I loro exploit e le loro esibizioni erano sulla bocca di tutti. Hanno fatto irruzione o si sono rivoltati contro qualsiasi spettacolo, concerto, film, pubblicazione o caffè che non apprezzavano», scrive la storica Noël Riley Fitch in “Sylvia Beach and the Lost Generation”. Dieci anni dopo il libro di Hemingway, appare il “Manuale di Saint Germain des Prés”. Boris Vian vi traccia “l’essenziale” del quartiere di Parigi «diventato bruscamente verso il 1947 uno dei poli d’attrazione del mondo intellettuale o più semplicemente del pubblico».

Ma già la memoria comincia a confondersi, «ci si rende conto, ripensando a tutte quelle serate passate, che i ricordi che si credevano più saldi si affollano e sfumano, si mischiano e volano via». Quel periodo sembra già diventato una “visione incomunicabile” di felicità, animazione, risse. Con il suo tipico humor surrealista, Vian riporta alcuni estratti di articoli internazionali degli anni Quaranta che hanno contribuito a creare il mito di Saint-Germain e del Quartiere latino, descrivendoli talvolta come esempio di depravazione.

Il giornale belga conservatore La Metropole riporta che «dal giorno in cui Sartre è sbarcato in un pessimo hotel della rue de Seine e si mise, nelle ore febbrili della guerra, a predicare al Café de Flore la sua brutale filosofia a dei discepoli ogni giorno più numerosi, Saint-Germain-des-Prés ha ritrovato il suo antico splendore» (La Metropole, Anversa, 31 agosto 1949). «“Saint-Germain-des-Prés fa troppo l’amore”», scrive il giornalista Joseph Leroy nel 1950, mentre il giornale Samedi-Soir commenta: «Al Café de Flore, i ragazzi e le ragazze si baciano, per un sì, per un no, sulle guance. Lo Straniero è impressionato. Questo lascia supporre molte cose orribilmente audaci nell’intimità. In realtà è uno spudorato bluff. Nell’intimità dell’esistenzialismo non accade proprio nulla, nulla. È rivoltante».

L’esistenzialismo è la corrente filosofica fondata in questi anni dal filosofo Jean-Paul Sartre, proprio in questo quartiere, frequentato insieme alla compagna Simone De Beauvoir, entrambi clienti abituali del Café de Flore: «Il recente lancio di Saint-Germain-des-Prés è in gran parte dovuto alla loro fama letteraria, e se i gestori della zona avessero un po’ d’onestà, Simone de Beauvoir e Sartre dovrebbero avere consumazioni gratis in tutti i bistrot che hanno lanciato», annota Vian. Negli stessi anni il jazz aveva invaso la capitale. Nel 1947 è ancora Boris Vian a inaugurare il tempio del jazz Club Saint-Germain nel seminterrato di un immobile di rue Saint-Benoît, la via del jazz, dove si scopre il bepop e che si trasformerà poi nello storico locale Le Bilboquet.

Qui si esibirono le più grandi star del jazz mondiale, Miles Davis, ma anche Juliette Gréco, Henri Salvador, Duke Ellington o Charlie Parker. Sempre qui Gréco verrà sedotta da Davis: «C’era la bellezza dell’uomo. L’estrema bellezza e genialità. La forza e la stranezza, la differenza e la modernità di ciò che suonava, di ciò che era. Sono stata sopraffatta da questo incontro. (...) Avevo 20 anni, ero appena uscita dalla guerra, e nella sua musica ho sentito la libertà», ha confessato recentemente. Anche gli artisti amavano questo quartiere: «Uno dei visitatori particolarmente validi di Saint-Germain-des-Prés» era Alberto Giacometti, talento inquieto, animato da un desiderio di perfezione.

Nel 2021 in questi leggendari spazi di fermento culturale il commercio ha vinto sulla poesia, supportato dalla lunga pausa della pandemia. A Saint-Germain-des-Prés è tutto un fiorire di boutique di lusso: giovani danzanti hanno lasciato posto a scarpe e borse dai colori tenui indossate da manichini di plastica, illuminati da luci bianche. D’altronde per rendere desiderabile lo sfregamento della carta di credito sui terminali di questi negozi, non basta il desiderio di esclusività. Oggi serve anche un surrogato d’anima. Le marche più prestigiose l’hanno capito, non vogliono più essere percepite come semplici venditori di merci, e per questo hanno avviato nuove forme di comunicazione in collaborazione con pensatori o artisti.

Come osserva la sociologa francese Monique Pinçon-Charlot, «Saint-Germain-des-Prés è una vetrina del lusso su scala mondiale. I ricordi del folklore del dopoguerra deliziano i turisti». E quindi i potenziali clienti. Nel frattempo le ultime tracce di quel dinamismo intellettuale svaniscono. Qui nel 2015 la storica libreria La Hune, fondata nel 1949 da alcuni intellettuali della Resistenza, ha chiuso dopo aver già lasciato nel 2012 la sua sede storica di boulevard Saint-Germain a Louis Vuitton. La Hune si trasferì all’ex indirizzo di un altro luogo emblematico, la libreria Le Divan, la quale, a sua volta, nel 1996, dovette trasferirsi in un altro quartiere facendo posto a una boutique Dior. Oggi al posto di La Hune sorge un negozio di riproduzioni fotografiche dove si vendono volti di combattenti asiatici pitturati di vernice a 4mila euro. A quarant’anni dalla sua fondazione, la libreria L’Ecume des Pages sembra l’unica a resistere alla mutazione genetica: aperta fino a mezzanotte, il sabato pomeriggio qui si possono incrociare turisti, abitanti del quartiere, ministri, scrittori, artisti curiosi.

Per Jul, celebre disegnatore francese, Rive Gauche «è il ricordo dei miei vent’anni da studente. L’incredibile bellezza del Quartiere Latino, ancora oggi animato da molte scuole e università, è riservata a quelle generazioni che hanno avuto la fortuna di trascorrervi la giovinezza». La vita culturale di Saint-Germain-des-Prés? «Oggi è qualcosa di kitsch, iconico, è un po’ come il culto di divinità perdute». A Montparnasse, non lontano dalle storiche brasserie Select e La closerie des Lilas frequentate da Hemingway e Fitzgerald, un’altra sopravvissuta è la piccola Librarie d’Odessa.

Sophie Lombard, la responsabile, ha ripreso l’attività del padre vent’anni fa: «Il quartiere non è più di moda», osserva: «Molti giovani escono a Rive Droite, più vivace e meno cara, qui sono rimasti turisti, crêpes e clienti fedeli», racconta mostrando fiera alcuni dei libri che vende di più, tra cui alcuni titoli degli italiani Gianfranco Calligarich e Erri De Luca. A qualche minuto a piedi sorge l’Hotel Mistral, dove, come ricordano Agnès Poirier e una placca all’esterno dell’edificio, la trentenne Simone de Beauvoir viveva con il filosofo Jean-Paul Sartre con il quale oggi riposa al cimitero Montparnasse.

Nel vicino Quartiere Latino invece, dove spicca la Sorbona, numerose sono le grandi librerie affondate a causa del mutato mercato, di cui l’e-commerce è protagonista, potenziato dalla crisi della pandemia e da affitti insostenibili. Quest’anno importanti librerie come Gibert Jeune (1930), Boulinier (1938), Picard & Epona (2012) hanno chiuso definitivamente i battenti. Nel pieno di questa metamorfosi culturale, si tenta di rianimare il mito della Rive Gauche. Vengono mantenuti in vita alcuni premi letterari, frequentati dal jet set intellettuale, organizzati in locali iconici come il Café de Flore, il Café des Deux Magots o la Brasserie Lipp. Nel 2000 la piazza di fronte alla chiesa di Saint-Germain è stata ribattezzata “Place Simone de Beauvoir” e quest’anno, a meno di un anno dalla sua morte, il Consiglio di Stato ha deciso di dedicare la stessa piazza anche alla cantante Juliette Gréco.

Le due celebri donne hanno incarnato lo spirito di questo quartiere, uno spirito raccontato nell’accurata ricostruzione di Poirier. Di fronte al nuovo paesaggio della cultura e della vita contemporanea, definito in parte dalle necessità sanitarie e da un nuovo modo di fare politica, una domanda sorge spontanea: potremo ancora incontrare donne e uomini con pochi mezzi ma animati dal fuoco delle idee e della libertà?