Questo testo, “A proposito di un apunte di Juan de Mairena”, è una lezione dottorale tenuta da José Saramago il 16 febbraio del 1990 presso l’Università di Torino, in occasione dell’attribuzione della laurea honoris causa. Il testo, rimasto inedito in Italia, nel marzo di quello stesso anno era stato poi pubblicato in Portogallo sul “Jornal de Letras, Artes e Ideias”. Il testo fa parte del libro “Lezioni italiane” (edito da La Nuova Frontiera, pp. 160, € 16,90), in libreria dall’8 novembre, che raccoglie dieci testi del Nobel portoghese che affrontano con coraggio questioni sociali e temi filosofici e politici tra i più delicati e urgenti per la società contemporanea.
La politica, signori – seguita a parlare Mairena – è un’attività importantissima… Io non vi consiglierei mai l’apoliticismo ma, in ultima analisi, il disprezzo per la cattiva politica fatta da arrivisti e scrocconi, senza altro scopo che quello di trarne profitto e sistemare parenti. Voi dovete fare della politica, anche se quelli che intendono farla senza di voi e, naturalmente, contro di voi, vi diranno il contrario. Oso solo consigliarvi di farla a viso aperto; nel peggiore del casi con la maschera politica, senza altro travestimento, ad esempio: letterario, filosofico, religioso. Poiché altrimenti contribuireste a degradare attività così eccellenti, almeno, come la poetica, e a intorbidare la politica in modo tale che non potremo mai più capirci.
E a chi vi rinfacciasse i vostri pochi anni, potrete ben rispondere che la politica non deve essere necessariamente affare di vecchi. Ci sono movimenti politici che hanno il loro punto di partenza in una giustificata ribellione di minori contro l’incapacità dei sedicenti padri della patria. Questa politica, vista con gli occhi della confusione giovanile, può sembrare troppo rivoluzionaria mentre, nel fondo, è perfettamente conservatrice. Perfino le madri – c’è qualcosa di più conservatore di una madre? – potrebbero consigliarla con parole simili a queste:
«Prendi il volante, figliolo, perché vedo bene che con tuo padre andremo a finire tutti quanti nel fosso.»

Quando Antonio Machado scrisse questo, in un giorno qualsiasi tra l’anno 1934 e il 1936, aveva abbastanza esperienza e cognizione di causa per parlare di giovani e vecchi con quel misto di scetticismo e illusione che riconosciamo in questa pagina di Juan de Mairena. Sessant’anni bastano per comprendere determinati meccanismi del mondo, anche quando si è così tanto estranei ai loro vantaggi e alle loro schiavitù, com’è regola generale dei poeti, e di questo in particolare. Si considerino, d’altra parte, le circostanze della vita pubblica nella Spagna di allora – crisi economica, conflitto istituzionale, instabilità politica, agitazione sociale –, e avremo definito il quadro ideologico propizio a quelle manifestazioni di fastidio e disincanto che si considerano caratteristiche della vecchiaia, ma che, non di rado, esprimono piuttosto la profonda amarezza, civicamente giustificata, di dover assistere al crollo, non dico dei sogni ideali, ma anche delle semplici speranze di una vita giusta. In Spagna si delineava all’orizzonte lo spettro della guerra civile, l’Europa e il Mondo contavano le armi e gli uomini.
Nonostante tutto, Juan de Mairena si mostra ancora fiducioso. Divide salomonico la politica in buona politica e cattiva politica, e condannando severamente i politici della cattiva politica, che sono, ma non a caso, i vecchi, fa appello ai giovani perché siano loro a fare la buona politica, quella che sarà, si suppone, foriera della salvezza della patria e della felicità dei cittadini. È vero che Juan de Mairena, un ironico, converrà sempre leggerlo due volte, non tanto per scoprire nelle parole secondi e terzi significati, ma per cogliere le sottigliezze del tono, comprendere i mutamenti del registro stilistico, seguire la linea del sorriso. È che, all’improvviso, diventa irresistibile chiedergli se crede davvero in ciò che sta scrivendo. Non mi riferisco, è ovvio, al disprezzo con cui trattò gli opportunisti che fanno, o rendono, cattiva la politica – quegli arrivisti e scrocconi che se ne servono per trarne profitto e sistemare parenti –, ma è improbabile che Mairena non avesse presente, nel riflettere sulla questione, la vita di Machado, il quale, da giovane, senza dubbio si sarà aspettato dal mondo ben di più e ben di meglio di ciò che il mondo stesso ora gli stava imponendo con l’indomabile forza dei fatti.
Trent’anni dopo, sarà la volta dei giovani del ’68 di rifiutarsi di accettare passivamente il cammino che era stato loro aperto e convalidato dai genitori – gli stessi (parlo di generazioni, non di Paesi o di popoli) dai quali Juan de Mairena, in questo suo apunte, sembrava aspettarsi tante e così diverse cose. Oggi, e non credo ci sia un’esagerazione critica in questo giudizio, genitori e figli di tutto il mondo, uniti, sono finalmente concordi sui fini utili della politica e sul suo scopo programmatico: trarne profitto e sistemare parenti. Uomo scettico, disilluso, filosofo di origine stoica, tuttavia ingenuo e semplice di natura, Juan de Mairena immaginava si potesse fare politica a viso scoperto, o, se una maschera era proprio indispensabile, che fosse almeno una maschera politica. Ora, noi sappiamo, e mi sorprende che lui allora non lo sapesse, che nessuno usa la sua stessa maschera e che la politica ha bisogno non solo di una maschera, ma di tutte, di cambiare volto, aspetto e modi in base alle necessità tattiche e strategiche, arrivando al punto, nei casi notoriamente geniali, di usare più di un travestimento allo stesso tempo, il che, come è ovvio, non significa che si riconosca in ugual modo in ognuno di loro. Anche la più succinta lezione della Storia ci dice che la maschera è stata mille volte religiosa, che in alcuni casi ha portato visiere filosofiche e in questi nostri tempi moderni è ormai scandaloso vedere con quanta frequenza la politica si approfitti della letteratura. Per non parlare dello spettacolo: basta leggere Mairena per sapere che non ha vissuto abbastanza per conoscere la televisione. Con queste riflessioni, di tono pessimista, non ho in mente di allontanare i giovani dalla politica. Al contrario, ciò che desidererei è che sapessero praticare, da vecchi, una politica tanto buona come quella che Juan de Mairena immagina per loro a partire dal momento in cui, giovanissimi, dopo aver allontanato il padre senile e irresponsabile dal volante, ci guidassero lungo la strada nella giusta direzione, portando con sé la nostra eterna gratitudine e il motivato orgoglio di tutte le madri del mondo. Ora, anche su questo punto Juan de Mairena si è sbagliato: i giovani, oggi, guidano le loro auto, generalmente verso gli stessi disastri.
Non prendete tuttavia alla lettera ciò che dico. In generale, noi vecchi sappiamo, in quanto vecchi, molte cose che voi, in quanto giovani, non sapete. E alcune – va detto – fareste bene a non impararle mai. Altre, tuttavia, ecc…, eccetera.
Insomma, Juan de Mairena non si faceva grandi illusioni sui benefici che i suoi alunni erano in grado di trarre dalle lezioni di Retorica e Poetica che propinava loro. Quest’altro apunte, con la sua ironica conclusione: ecc…, eccetera –, rimette al suo posto quella sana dose di scetticismo che consiste nello sperare che ognuno faccia il suo dovere – ieri, oggi, domani, in gioventù e in vecchiaia, fino alla fine –, per poi, tirate le somme, avere un’idea più o meno chiara riguardo a chi siamo e a ciò che abbiamo fatto. C’è motivo di credere che Juan de Mairena, al contrario di ciò che ha detto di sé stesso, sia stato il meno apocrifo dei professori...