Perché oggi la libertà delle donne è diventata in tutto il mondo così centrale. E perché questo non piace alle destre populiste. Parla la pioniera del pensiero femminista in Polonia

Il palcoscenico è un caffè, un po’ hipster, affollato più da donne che da uomini fra i trenta e cinquant’anni, nel rione Saska Kepa, sulla riva destra della Vistola a Varsavia: viali alberati, villette d’anteguerra e ampi spazi verdi. La protagonista è Agnieszka Graff, cinquantadue anni, storica di letteratura anglosassone, dottorato di ricerca su James Joyce, curriculum universitario fra Amherst College, Oxford e ora professoressa all’Università di Varsavia. Graff è una delle pioniere del pensiero femminista in Polonia, introdotto un quarto di secolo fa: un modo di percepire il mondo che trasformò le donne polacche in protagoniste e guide dei movimenti di protesta e delle iniziative della società civile, dalla difesa della Costituzione all’aiuto ai profughi dall’Ucraina, per non parlare della questione dell’aborto. Con lei abbiamo parlato del perché la libertà delle donne sia diventata centrale nel nostro immaginario e per quali motivi le destre populiste considerano quello che loro chiamano “l’ideologia gender” come nemico da combattere. Tutto questo dal punto di vista di un’intellettuale di quella che in Italia viene spesso chiamata “l’Europa dell’Est”, una definizione che, paradossalmente e polemicamente, Graff fa sua.

Si comincia con l’attualità, l’Iran. «La rivoluzione è iniziata quando una ragazza, Mahsa Amini, è stata uccisa dalla polizia per aver indossato l’hijab in modo non conforme alle regole. La domanda è: è stato un pretesto, un fattore scatenante, o si tratta davvero dell’hijab? La risposta è: si è trattato di entrambe le cose. Garantire che il velo sia indossato correttamente è diventato un simbolo di potere. Dall’altra parte, togliersi le sciarpe e bruciarle in piazza è diventato segno di ribellione. L’Iran è un caso estremo, ma per qualsiasi potere il controllo sui corpi delle donne è cruciale: come dovrebbero vestirsi, se hanno il diritto di muoversi liberamente, chi controlla la fertilità. È analogo, seppur diverso, il caso dell’aborto in Polonia: il corpo della donna è un campo di battaglia. L’atteggiamento nei confronti dei diritti delle donne e della sessualità fa la differenza fra sistemi autoritari e democratici, liberali e anti-liberali». Ci torneremo. Intanto, il fatto stesso che il corpo delle donne sia oggetto di battaglia (in Polonia comunque stiamo indisturbati in una città dove chiunque può vestirsi come vuole e la nostra interlocutrice vive in un legame con un’altra donna), una battaglia cui partecipano pure i maschi è la testimonianza del fatto che il femminismo ha cambiato il nostro sguardo sull’universo e sia vincente. Graff prende tempo, poi dice: «Merito del nostro attivismo, di generazioni di donne in molti Paesi, ma anche dell’atmosfera spirituale e culturale in cui viviamo e che ha le sue radici nel pensiero illuminista. La persona umana è sempre più al centro dell’attenzione». Sorride: «Però, dire che il femminismo abbia cambiato il modo di percepire il mondo anche dei maschi mi sembra un’affermazione azzardata. Di alcuni sì, di altri no. E comunque, il femminismo è un’idea semplice: le donne sono esseri umani». Chiarisce: «Dal momento che ripetiamo il credo illuministico e liberale per cui tutti gli uomini sono stati creati uguali e tutti hanno diritto alla felicità, parole della Dichiarazione d’Indipendenza americana, si pone la domanda: solo gli uomini?». Aggiunge: «Per me la storia del femminismo è una serie di moniti per cui la democrazia ha dimenticato le donne. Sembra che tutti i diritti che abbiamo oggi ce li siamo conquistati con le nostre lotte e la capacità di rivolta. Ma c’erano pure necessità storiche. In conseguenza delle guerre mondiali le donne sono entrate massicciamente nel mercato del lavoro. Ecco: il femminismo può essere raccontato come la causa di cambiamenti radicali oppure come il sintomo dei cambiamenti. Penso che ambedue le narrazioni siano vere. Però». Però? «È pure cambiato il paradigma del pensiero liberale».

Spiegazione: «È entrata a farne parte la psicanalisi, la cultura della terapia». Si ferma. Guarda l’interlocutore e chiede: «Ha presente Eva Illouz?». L’abbiamo presente, è una studiosa franco israeliana nata in Marocco e l’abbiamo intervistata per questo settimanale. «Adoro i suoi libri», dice Graff: «La sua tesi è la seguente: la psicanalisi come forza culturale è in forte connessione con il femminismo. Certo, il femminismo trattava Freud da nemico. Lo psicoterapeuta era la persona che normalizzava le donne e le riportava fra le mura domestiche dicendo: la tua rivolta è solo sintomo della tua nevrosi. Ma possiamo raccontare il femminismo partendo dai gruppi di autocoscienza degli anni Sessanta e Settanta, come terapia psicanalitica trasformata da un processo politico e sociale in corso. In breve: il femminismo è anche una specie di terapia della civiltà mediante la conversazione, un po’ come la psicanalisi».

Terapia è anche Riparazione - un concetto che nella tradizione ebraica si chiama “Tikkun” - la Riparazione del mondo o, forse, l’attuazione della grande promessa della modernità per cui tutti gli esseri umani sono liberi di scegliere l’appartenenza, il genere, i modi con cui amare l’altro.

E così si torna all’attualità. La domanda è perché in un Paese considerato spesso periferico e arretrato, la Polonia, il femminismo, punta avanzata del pensiero occidentale, è fondamentale? Graff risponde: «Perché la Chiesa ha scelto di allearsi con il partito Diritto e giustizia (Pis). E così il femminismo si è liberato dall’impasse in cui si trovava fin dall’inizio del processo della transizione dal comunismo alla democrazia». Spiega: «Ci veniva detto: state zitte, non svegliate i demoni del cattolicesimo polacco; noi liberali abbiamo bisogno della Chiesa perché la Polonia entri e resti nell’Unione europea». E infatti la Chiesa si proclamava favorevole all’Europa: «Ma dal momento in cui quel contratto è stato stracciato dai vescovi, noi femministe da sovversive, guardate con sospetto o ridicolizzate dagli stessi liberali, siamo diventate le difensore principali della democrazia. Un cambio epocale nella storia polacca». Allarga: «Non si tratta di sola Polonia. In molti Paesi il populismo di destra mette in questione la democrazia liberale e ovunque la questione di genere è cruciale. C’è un’alleanza fra le destre populiste e radicali e l’ala ultraconservatrice della Chiesa o forse al plurale delle Chiese: negli Stati Uniti, come in Spagna o in Italia, e basti pensare alle conferenze del Congresso mondiale delle Famiglie». Uno di questi si era tenuto a Verona nel 2019 fra le manifestazioni di protesta delle femministe, un altro a Budapest. Però, per quanto riguarda l’Italia, le destre promettono che la legge 194 sull’aborto non si tocca. Risposta: «Certo. Si usano vari registri di retorica a seconda del Paese. In Polonia si promette qualunque cosa, dalla proibizione totale dell’aborto allo stop alla “Sodoma e Gomorra” . In Francia sono nel mirino i matrimoni dello stesso sesso». In Russia ci sono leggi che vietano la propaganda Lgbt. «La narrazione è sempre la stessa», dice Graff: «Il liberalismo ci ha portato a una situazione in cui è in pericolo la famiglia e noi vi difenderemo da questo obbrobrio». Riflette: «È senso comune pensare che il populismo anti-gender sia una reazione al femminismo. Io invece credo che sia al contrario. Il risveglio del femminismo è una reazione all’ondata di misoginia».

Una pausa nel colloquio. Graff risponde al telefono al figlio adolescente. Poi riprende: «In Occidente viviamo in un periodo che sa di tramonto e di paura. Da quando Putin ha spiegato che la sua “operazione speciale” non riguarda soltanto l’Ucraina quanto “l’Occidente collettivo”, il gender, la questione dei gay e delle lesbiche è oggetto di una guerra vera, combattuta. Ecco, il femminismo è così importante perché è diventato parte di una partita che non riguarda più e non solo i costumi. La guerra non è più su chi lava i piatti nelle coppie eterosessuali ma ha come oggetto la questione di chi governerà il mondo». Sorride: «Ciò detto, chi lava i piatti resta comunque importante».

Obiezione. Al tramonto siamo noi maschi, non il mondo. Lei ride e racconta un episodio. Mentre portava i suoi cani al guinzaglio un uomo con una postura molto da macho la redarguì e le intimò di liberare gli animali. «Ma era poco convinto della sua superiorità e anch’io non mi sono arrabbiata come invece sarebbe successo dieci anni fa». Insistiamo. Perché le donne hanno vinto. Nella sfera della cultura le cose più importanti le creano loro. Risposta: «Lo sguardo sul mondo oggi è delle donne. Ma il potere è nelle mani dei maschi. La storia dell’umanità non è storia delle idee ma prima di tutto di chi ha i soldi e il potere. E da questo punto di vista il potere maschile è in crescita. Siamo in un momento storico in cui il femminismo potrebbe diventare patrimonio generale dell’umanità ma potrebbe anche diventare storia, passato».

Silenzio, poi dice: «Secondo alcuni studiosi, lungo tutto il Novecento e fino a oggi le destre radicali hanno avuto un’ossessione per la questione della purezza, dell’identità certa e univoca. Le forme di questa ossessione cambiano, si trasformano con l’evoluzione della cultura e della società. Oggi, al centro, ripeto, è l’esaltazione della famiglia tradizionale». Ha detto tradizionale.

La guerra in Ucraina ha riportato i ruoli tradizionali. I maschi combattono, le donne aspettano a casa, oppure: «Oppure vengono stuprate. Ho l’impressione che molte fra le femministe occidentali non si rendano conto di quanto gli stupri sistematici siano un’arma di guerra». Tace e poi: «Questa guerra ha riportato la divisione fra un’Europa occidentale e una orientale, in un modo doloroso. Per noi, in Polonia è evidente quanto non siamo percepite come parte con pari diritti dell’Unione europea ma come una propaggine del Continente. Comunque, abbiamo scoperto la comunanza con la nostre sorelle dei Paesi dell’Est e dell’Ucraina e questa è stata una piacevole sorpresa».

Spiegazione (nostra ): è solo nei Paesi della “vecchia Europa”, in particolare in Italia, che è comune la convinzione per cui al di là del Muro di Berlino si sia sviluppata una specie di “cultura comune”, diversa dall’Occidente; non allo stesso modo la pensano i diretti interessati. E restituiamo la parola a Graff: «Poco tempo fa a Breslavia si è svolta l’assemblea annuale di Kongres Kobiet (il congresso delle donne, l’organizzazione che unisce varie istanze femministe e femminili). Finora abbiamo sempre invitato le sorelle italiane, olandesi, tedesche, per sottolineare la nostra appartenenza all’Occidente, i nostri “standard europei”. Quest’anno invece c’erano molte ucraine o donne che aiutano le ucraine. La guerra ha cambiato la nostra identità. Non dobbiamo cadere nella trappola del nazionalismo di nessun tipo (certamente non quello polacco e neanche ucraino) ma il tema dell’Ucraina è per il nostro femminismo centrale. Riguarda la nostra sicurezza, la nostra identità. Ma anche il nostro sguardo sulle sorelle occidentali. Abbiamo l’impressione che una parte del femminismo occidentale usi una mappa obsoleta dell’Europa e una retorica della pace che non dice niente. Hanno tanto criticato da sinistra la democrazia liberale da non aver percepito il montare delle destre radicali». Infine: «Non ho le energie per occuparmi di tutto questo. Ho già tanto da fare nel cercare case e lavoro alle ucraine rifugiate da noi». E alla domanda finale sul perché dalla periferia si vede l’Europa meglio che dal centro risponde così: «Sono americanista, ho studiato gli scritti di W.E.B. Du Bois (teorico del riscatto degli afroamericani). Parlava dell’importanza della voce degli ultimi per vedere meglio la natura del potere e del razzismo. Parafrasando dico: da qui, dall’Est, vediamo quel che succede prima delle altre» .