Intervista
Una giornalista di Kiev. Un artista russo. Messi insieme dal tratto incisivo di una grande illustratrice. Su L’Espresso un progetto internazionale di graphic novel
di Sabina Minardi
Come si racconta la libertà violata, il sangue degli innocenti, l’orrore della guerra? Come si testimonia la Storia, che incalza con urgenza per compiersi sotto i nostri occhi? E quale linguaggio - tra richieste d’aiuto e parole contraffatte, cronache algide e voci esauste - è in grado di arrivare più vicino alla verità?
Nora Krug, illustratrice tedesco-americana tra le più apprezzate al mondo, vincitrice del National Book Critic Circle Award per la graphic novel “Heimat” (pubblicata in Italia da Einaudi nel 2019) e acuminata matita del saggio “On Tyranny” dello storico di Yale Timothy Snyder, ha contattato una giornalista ucraina, K., e un artista russo, D. Ha chiesto loro di raccontare l’esperienza dell’invasione. E ha cominciato a illustrare i loro “Diari di guerra”: un eccezionale lavoro che approda in esclusiva italiana sulle pagine de L’Espresso. In un potente work in progress che va ben oltre il progetto editoriale, e trasforma il resoconto di vite stravolte in toccante documento visivo. E in aiuto concreto.
«Non è più tempo per la letteratura. È troppo tardi per la memoria, le ideologie, la poesia. Ora è tempo solo di salvare vite», tuonava qualche settimana fa la scrittrice Katja Petrowskaja. Senza retorica, solo mostrando come si mettono in salvo i bambini, come si preservano i pensieri migliori, come si boicotta la paura, e l’ordinarietà che diventa straordinarietà, Nora Krug – e il suo linguaggio universale, che altri giornali come Los Angeles Times e El País stanno contemporaneamente pubblicando - sembra replicarle a distanza.
«Da persona non coinvolta direttamente nella guerra, che vive lontano, senza poter fornire un aiuto immediato, sento il bisogno di fare qualcosa in modo diverso. Sono convinta che le immagini e le narrazioni possano svolgere un importante ruolo: documentandomi con l’esperienza di K. e di D. posso far sì che le loro voci siano ascoltate. E forse posso avere un ruolo nel modo in cui i lettori si identificano nelle loro storie e, a loro volta, supportano economicamente le vittime della guerra. Donerò tutti i proventi di questo progetto a un’organizzazione caritatevole in Ucraina; attraverso il mio lavoro d’artista posso dare un contributo che spero impatti sulle vite delle persone».
Nessuna forma poteva essere più efficace di quella diaristica: «Leggere le notizie è fondamentale per la comprensione degli eventi, ma io penso che le storie personali possano farci entrare nei fatti in modo più emozionante. Assistere ai pensieri quotidiani e alle esperienze di K. e di D. permette di identificarci in loro e di dare uno sguardo alle conseguenze immediate e future che la guerra ha sulla psiche. In più, le illustrazioni possono fornire uno strato personale e poetico. Il mio obiettivo non è dare una panoramica degli eventi settimanali in Ucraina, ma scattare un’istantanea delle vite di queste persone, distillarne i pensieri e consentire una prospettiva più intima».
“La prima cosa che ho fatto quando ho saputo che la guerra stava arrivando a Kiev è stato un bagno”; “Putin sta uccidendo il mio paese. Bevo vino con mia moglie e parliamo della possibilità di emigrare”. Una tavola dopo l’altra le parole, l’incredulità, lo stordimento, la paura di chi è in guerra, faccia a faccia, calamitano l’attenzione, attanagliano il cuore. Fronte e retro della stessa tragedia: «Collaborando con un protagonista russo posso anche mettere in evidenza la complessità del punto di vista russo», ribadisce l’illustratrice, ben consapevole di quanto l’invasione stia lacerando, di quanto complicato sarà ricucire. E di come disinformazione e propaganda stiano intossicando le posizioni, a partire dall’uso di un verbo – “denazificare” - che è una freccia intrisa nell’ingiustizia: “Heimat”, graphic novel costruita attraverso archivi, memorie, cimeli di una famiglia di Karlsruhe nella Germania hitleriana, scandagliava proprio le conseguenze del nazismo, il senso di colpa, l’impossibilità di disperderlo.
«La retorica attuale è così banale dal punto di vista linguistico che è inconcepibile come qualcuno possa cascarci. Il fatto che la popolazione ebrea ucraina fosse uno dei target maggiori dei nazisti, e che il leader stesso degli ucraini sia ebreo discendente da vittime dell’Olocausto sottolinea la pericolosità di questo tipo di propaganda. Il linguaggio è sempre la radice della violenza», nota Krug. Felice che la graphic novel incontri i lettori il 25 aprile: «È cruciale che celebriamo la liberazione dal nazifascismo. Contemporaneamente, però, non dimentichiamo che ci sono altre storie con le quali fare i conti, per esempio quelle coloniali. C’è ancora molto da fare».
Specie in un tempo in cui la libertà è così minacciata: «Dobbiamo imparare a riconoscere schemi precedenti che conducono ai totalitarismi. La “resistenza” è una questione di responsabilità personale: le decisioni che prendiamo e le attività di tutti i giorni possono avere conseguenze sulle vite degli altri. Penso che la cosa più importante sia capire che la storia non è solo il passato, ma è il tessuto sottostante a chi siamo oggi e abbiamo la responsabilità di confrontarci con essa, non importa quanto doloroso possa essere. Spesso quelli che si fanno chiamare “patrioti” fuggono da questo confronto perché pensano che non riusciranno ad amare il loro paese se ne ammetteranno le parti oscure. Questo confronto, invece, deve assolutamente avvenire».